[02/11/2012] News

Oltre i confini planetari c'è il nulla: ci avviciniamo ai punti di non ritorno dell'ecosistema

Il nostro impatto sui sistemi naturali è ormai vicino a raggiungere quei punti critici (Tipping points), oltrepassati i quali, gli effetti a cascata che ne derivano, possono essere veramente ingovernabili e devastanti per l'umanità. Per questo motivo gli studiosi hanno cominciato ad indicare "i confini planetari" (Planetary Boundaries) che l'intervento umano non può superare, pena effetti veramente negativi e drammatici per tutti i sistemi sociali.

Continua dunque - riprendendo proprio quanto già dichiarato nel 2001 alla prima grande Conferenza sui cambiamenti globali tenutasi ad Amsterdam - l'affascinante dibattito scientifico sul concetto dei Planetary Boundaries, i confini planetari che ho trattato in questa rubrica sin dalla pubblicazione del primo lavoro pubblicato su "Nature" nel 2009, frutto della collaborazione di 29 tra i maggiori scienziati delle scienze del sistema Terra e della scienza della sostenibilità, primo firmatario Johan Rockstrom direttore dello Stockholm Resilience Centre.

Originariamente, il lavoro di "Nature" indicava nove grandi problemi planetari sui quali è importante fissare dei confini planetari: il cambiamento climatico, l'acidificazione degli oceani, la riduzione della fascia di ozono nella stratosfera, la modificazione del ciclo biogeochimico dell'azoto e del fosforo, l'utilizzo globale di acqua, i cambiamenti nell'utilizzo del suolo, la perdita di biodiversità, la diffusione di aerosol atmosferici, l'inquinamento dovuto ai prodotti chimici antropogenici.

Per tre di questi e cioè il cambiamento climatico, la perdita di biodiversità e il ciclo dell'azoto gli studiosi autori del testo del 2009 hanno scritto che ci troviamo già oltre il confine indicato dagli scienziati. Per il cambiamento climatico il confine proposto riguarda sia la concentrazione dell'anidride carbonica nell'atmosfera (calcolata in parti per milione di volume -ppmv) sia la modificazione del forcing radiativo, cioè per dirla in maniera molto semplice, la differenza tra quanta energia "entra" e quanta "esce" dall'atmosfera (calcolato in watt per metro quadro). Per la concentrazione di anidride carbonica nel periodo pre industriale si registrava un valore di 280 ppm, nel 2009 eravamo a 387 mentre oggi siamo a 391 e dovremmo scendere, come obiettivo,  al confine, come abbiamo visto purtroppo già superato, di 350 (immaginatevi la portata della sfida di questo limite che, tra l'altro, non è neanche oggetto di discussione nelle trattative  negoziali delle Conferenze delle Parti della Convenzione Quadro sui Cambiamenti Climatici dell'Onu la prossima delle quali si terrà a Doha dal 26 novembre al 7 dicembre prossimi). Per quanto riguarda il forcing radiativo, in era preindustriale è stato calcolato equivalente a zero, oggi è 1.5 watt per metro quadro, mentre il confine accettabile viene indicato dagli studiosi, a 1 watt per metro quadro.

Per la perdita di biodiversità si valuta il tasso di estinzione, cioè il numero di specie  per milione estinte all'anno. A livello pre industriale si ritiene che questo tasso fosse tra 0.1 e 1, oggi viene calcolato a più di 100, e deve invece rientrare, come obiettivo, nel confine ritenuto accettabile di 10.

Per il ciclo dell'azoto si calcola l'ammontare di azoto rimosso dall'atmosfera per l'utilizzo umano (in milioni di tonnellate l'anno). A livello preindustriale si ritiene che tale ammontare fosse zero, oggi è calcolato in 121 milioni di tonnellate l'anno, mentre il confine accettabile, come obiettivo, viene indicato in 35 milioni di tonnellate annue.

Nel 2011 due noti scienziati dei sistemi naturali, Stephen Carpenter, dell'Università di Wisconsin-Madison ed Elena Bennett della McGill University hanno dimostrato che il confine planetario per il fosforo, relativo ai fenomeni di eutrofizzazione provocata negli ecosistemi di acqua dolce da parte dell'inquinamento da fosforo si è già incrociato con gli eventi di anossia nelle zone degli oceani e dei mari dove si verifica la perdita di tante forme di vita dovute proprio all'eccesso di fosforo derivante dall'inquinamento agricolo e urbano.

Gli autori fanno però presente che il lavoro originale apparso su "Nature" relativo ai Planetary Boundaries,  non ha considerato i fenomeni di eutrofizzazione degli ecosistemi di acqua dolce, focalizzandosi solo su quelli marini. Considerando entrambi, come hanno fatto con i loro calcoli, Carpenter e Bennett dimostrano che il nostro confine planetario sul fosforo è già superato. Il fosforo è un elemento essenziale alla vita ma la sua produzione industriale, non solo erode le disponibilità degli stock di fosforo presenti sul Pianeta concentrati in poche nazioni e con un rischio di esaurimento in tempi molto brevi nei prossimi venti anni, ma il suo eccesso nelle acque è la causa primaria delle proliferazioni algali (alcune delle quali contengono i Cianobatteri tossici) che degradano la qualità delle acque, inquinandole e privandole della vita.

I depositi di fosfati che costituiscono miniere importanti per l'agricoltura ci hanno messo milioni di anni per formarsi (le nazioni con le riserve maggiori sono Stati Uniti, Cina e Marocco), ed è una pura follia distruggerli in tempi brevi provocando un drammatico inquinamento da fosforo. 

Un'attenzione particolare sta suscitando un altro indicatore che ci aiuta a comprendere le modifiche delle dinamiche evolutive dei sistemi naturali e dei flussi di materia ed energia che in essi circolano è quello  relativo all'appropriazione umana della produttività primaria netta (Human Appropriation of Net Primary Production - HANPP) sul quale hanno indagato per primi i grandi ecologi della Stanford University.

Lo studioso Steven Running, che dirige il Numerical Terradynamic Simulation Group dell'Università del Montana, in un recentissimo lavoro apparso su "Science" propone proprio l'indicatore della produzione primaria netta terrestre (NPP - Net Primary Production) come un nuovo "confine planetario" da considerare, tenuto conto, come egli scrive, che la NPP integra gli aspetti di ben cinque confini planetari indicati nel lavoro originale di Rockstrom ed altri e cioè i cambiamenti nell'uso del suolo, l'utilizzo di acqua dolce, la perdita di biodiversità e i cicli globali dell'azoto e del fosforo. Inoltre l'NPP è influenzato anche dal cambiamento climatico e dall'inquinamento chimico.

Questo indicatore cerca di rendere conto dell'ammontare netto dell'energia solare che viene trasformata dalle piante, attraverso i processi di fotosintesi, in materia organica. Una parte significativa dell'NPP viene poi viene poi utilizzato dalla nostra specie.

E' utile ricordare che solo circa l'1% dell'energia solare irraggiata sulla Terra viene catturata dalle piante verdi e convertita nella produzione primaria. Inoltre i calcoli più recenti sulla produttività primaria netta per la superficie terrestre ottenuti con il supporto dei dati da satellite, indicano, come ricorda Running un totale di 53.6 petagrammi (ricordiamo che un petagrammo è equivalente a 10 grammi elevati alla quindicesima) con una variabilità annuale di circa un petagrammo. I dati più recenti documentano un'appropriazione umana della NPP del 38% che potrebbe raggiungere persino il 62% nel futuro proseguendo negli attuali livelli di consumo.

L'appropriazione umana della produttività primaria netta, oltre a sottrarre materia organica al resto della vita sulla Terra, altera la composizione dell'atmosfera, i livelli di biodiversità, i flussi di energia attraverso le catene alimentari nonché l'approvvigionamento di importanti servizi degli ecosistemi.

Il dibattito scientifico può solo contribuire a migliorare le indicazioni dei Planetary Boundaries, ma questi concetti devono ormai diventare oggetto prioritario dell'agenda politica internazionale, come fortunatamente sta già avendo luogo nelle Nazioni Unite. 

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