[28/02/2013] News
Le cifre del rapporto "Scopri il marchio" di Oxfam rivelano quanto pesi sull'economia, l'ambiente, la salute e l'intera società la globalizzazione del cibo e delle merci. «Fermati a pensare per un momento - scrive l'associazione - in tutto il mondo le persone bevono più di 4.000 bicchieri di Nescafé ogni secondo e consumano 1,7 miliardi di volte al giorno prodotti della Coca Cola. Tre aziende controllano il 30% del mercato globale del cacao, e Nestlé nel 2010 ha registrato introiti maggiori del prodotto interno lordo (Pil) del Guatemala o dello Yemen. Le 10 più grandi aziende dell'alimentare - Associated British Foods (Abf), Coca-Cola, Danone, General Mills, Kellogg's, Mars, Mondelez International (ex Kraft Foods), Nestlé, PepsiCo e Unilever - generano collettivamente entrate superiori a 1,1 miliardi di dollari al giorno e impiegano, direttamente e indirettamente, milioni di persone nella produzione, trasformazione, distribuzione e vendita dei loro prodotti. Oggi queste aziende fanno parte di un settore il cui giro d'affari è stimato intorno ai 7.000 miliardi,18 volte superiore perfino al settore dell'energia e che rappresenta all'incirca il 10% dell'economia globale.
Ma, diversamente dalla produzione di scarpe da ginnastica di marca o dalla creazione di nuovi gadget elettronici, il cibo che si coltiva, dove lo si coltiva, e come viene distribuito è una questione che ha un impatto su ognuno di noi: su ogni singola persona del pianeta».
In questo quadro che delinea il grande affare dell'industria alimentare, 1 essere umano su 8 soffre la fame, anche se la maggior parte di queste persone produce cibo.
Selezionando un marchio dal rapporto Oxfam si scopre a quale grande multinazionale appartiene, come vengono trattati i lavoratori della sua filiera, se sono garantiti i diritti delle lavoratrici , che uso viene fatto della terra e dell'acqua. Oxfam spiega: «Abbiamo messo sotto la lente d'ingrandimento le loro politiche su temi che vanno dall'acqua alle donne, dai cambiamenti climatici all'impatto sui braccianti e sui contadini nei Paesi in via di sviluppo, analizzando anche cosa chiedono ai loro fornitori. Abbiamo dato vita alla pagella "Scopri il Marchio" che misura l'operato di queste aziende mettendo a confronto le loro politiche con gli impegni che hanno preso. Cosa abbiamo scoperto? Che tutte, nessuna esclusa, devono fare di più, molto di più, per tutelare i produttori di cibo, le loro famiglie e il pianeta e per dare vita ad un mondo in cui nessuno debba più soffrire la fame». Il rapporto valuta le politiche sociali e ambientali delle "10 Grandi Sorelle" del settore alimentare, esaminando sette aree cruciali per il raggiungimento di una produzione agricola sostenibile, ma storicamente trascurate dall'industria alimentare: donne, produttori agricoli di piccola scala, braccianti agricoli, acqua, terra, cambiamento climatico e trasparenza.
Sono Nestlé e Unilever a registrare la performance migliore, «Avendo sviluppato e reso pubbliche il numero maggiore di policies volte a fronteggiare i rischi sociali e ambientali lungo la catena di produzione. All'opposto, Abf e Kellogg's hanno adottato poche policies volte a mitigare l'impatto delle loro attività sui produttori e sulle comunità. La pagella dimostra comunque chiaramente che tutte le '10 Grandi Sorelle' , incluse quelle con voti più alti, non hanno usato il loro enorme potere per contribuire alla creazione di un sistema alimentare più equo. In alcuni casi queste aziende compromettono la sicurezza alimentare e le opportunità economiche per i più poveri, rendendo ancora più affamati coloro che già soffrono la fame».
Tra le principali lacune riscontrate nelle politiche delle multinazionali dell'alimentare il rapporto individua: la poca trasparenza delle informazioni relative alle catene di approvvigionamento delle aziende in agricoltura, che rende le dichiarazioni di ‘sostenibilità' e la "responsabilità sociale" delle aziende stesse difficili da verificare; la mancata adozione, da parte delle 10 più grandi aziende, di politiche che proteggano le comunità locali da fenomeni di accaparramento di terre e acqua lungo la filiera di produzione; l'insufficienza delle misure di riduzione nel settore agricolo delle ingenti emissioni di gas a effetto serra, responsabili del cambiamento climatico che sta già avendo un impatto sugli agricoltori; la mancanza di misure, in molte di queste aziende, che diano ai piccoli produttori parità di accesso alla filiera. Inoltre, in tutte le aziende prese in esame, si rileva una mancanza di impegno volto a corrispondere un prezzo equo ai produttori di piccola scala e l'azione ancora parziale contro lo sfruttamento dei braccianti e delle produttrici di piccola scala nelle proprie catene di approvvigionamento.
Le "10 Grandi Sorelle" considerano i loro margini di intervento limitati dalle pressioni fiscali e dalle esigenze dei consumatori. «Ma non è vero - ribatte Oxfam - in realtà hanno tutto il potere di debellare la fame e la povertà lungo la propria filiera produttiva, pagando adeguati salari ai lavoratori, un prezzo equo ai piccoli agricoltori, valutando ed eliminando l'ingiusto sfruttamento di terra, acqua e lavoro». Secondo l'Ong però non ci sono solo cattive notizie: «Eccone una buona: nessuna compagnia è così grande da poter ignorare ciò che pensano i propri clienti. Ed è qui che TU puoi fare la differenza. Tu hai molto più potere di una qualsiasi di queste dieci grandi aziende. Perché senza di te, non rimarranno così grandi ancora a lungo». Il rapporto evidenzia come «Nell'ultimo secolo, le potenti aziende del settore alimentare hanno avuto un successo commerciale senza precedenti, accrescendo i loro profitti. Ciò è avvenuto mentre i milioni di persone che forniscono i beni necessari alla produzione, terra, acqua e lavoro, hanno affrontato crescenti difficoltà. Oggi queste persone e le loro comunità, insieme a una crescente fetta di consumatori, chiedono sempre di più alle aziende di rivedere il loro modello di business».
Il rapporto fa alcuni esempi: «In Pakistan, le comunità rurali dicono che la Nestlé sta imbottigliando e vendendo acqua vicino a dei villaggi che non hanno accesso ad acqua potabile. Nel 2009, la Kraft (oggi Mondelez) è stata accusata di acquistare carne bovina da fornitori brasiliani implicati nel disboscamento delle foreste pluviali dell'Amazzonia per far pascolare il bestiame. E oggi, Coca-Cola si trova a dover affrontare le accuse di sfruttamento del lavoro minorile nella sua catena di produzione nelle Filippine. Purtroppo, non si tratta di anomalie. Per più di 100 anni le aziende più potenti del settore alimentare si sono servite di terre e lavoro a basso costo per produrre al minimo dei costi e con elevati profitti, spesso a danno dell'ambiente e delle comunità locali in varie parti del mondo. Tutto questo ha contribuito all'attuale crisi del sistema alimentare».
Tutto questo mentre un terzo della popolazione mondiale dipende per il proprio sostentamento da piccole aziende agricole. L'agricoltura produrrebbe abbastanza cibo per tutti, ma un terzo viene sprecato, oltre 1,4 miliardi di persone sono in sovrappeso e altre 900 milioni di persone soffrono la fame, tra questi ultimi la maggioranza sono piccoli contadini e braccianti che coltivano e producono cibo per sfamare circa 2-3 miliardi di persone in tutto il mondo. «Circa il 60% dei braccianti agricoli vive in povertà - si legge nel rapporto - Allo stesso tempo, il cambiamento climatico provocato dalle emissioni di gas a effetto serra (di cui un'ampia percentuale è dovuta alla produzione agricola) determina una sempre maggiore instabilità delle rese agricole. Inoltre, la selvaggia fluttuazione dei prezzi alimentari, dovuta alla crescente domanda di soia, mais e zucchero per soddisfare le diete della popolazione ricca, aumenta la vulnerabilità degli agricoltori e dei braccianti nei paesi poveri. E come se non bastasse, le basi stesse del sistema alimentare, ovvero la terra fertile e l'acqua pulita, stanno diventando sempre più scarse, così come sempre più instabili sono le condizioni meteorologiche».
Questi dati sono ben noti alle grandi imprese che sanno bene che l'attività agricola è sempre più a rischio e per questo stanno prendendo provvedimenti per garantirsi anche in futuro i rifornimenti di materie prime e ridurre i fattori di rischio sociale ed ambientale lungo la loro catena di produzione. «Oggi, le aziende del settore alimentare denunciano la produzione di biocarburanti, costruiscono scuole per le comunità e riducono il consumo di acqua - dice Oxfam - I programmi di responsabilità sociale e le dichiarazioni di impegno sulla sostenibilità stanno proliferando». Come ha detto nel 2011 l'amministratore delegato della Pepsi, Indra Nooyi, «Non è sufficiente fare cose che sanno di buono. PepsiCo deve anche essere una "buona azienda" e tendere a valori più alti del semplice e quotidiano business di produzione e vendita di bevande e snack». Ma Oxfam fa notare che «Tuttavia, tali dichiarazioni volte all'adozione di migliori pratiche ambientali e sociali sono poi molto difficili da valutare, nonostante vi siano sempre più consumatori che chiedono di conoscerne l'attendibilità».
Scopri il Marchio rivela che la responsabilità sociale e i programmi di sostenibilità che le aziende ad oggi hanno realizzato «Sono generalmente poco focalizzati, ad esempio, sulla riduzione dei consumi di acqua o sulla formazione delle donne che lavorano nei campi. Questi programmi non riescono ad affrontare le cause profonde della povertà in quanto le aziende non sono dotate di adeguate politiche volte ad orientare le attività delle loro catene di approvvigionamento».