[28/05/2013] News

Ilva di Taranto: commissariamento o "nazionalizzazione"?

Oggi sul sempre più ingarbugliato caso dell'Ilva di Tatanto, che rischia di trascinare nel baratro la già disastrata siderurgia italiana, Ermete Realacci, presidente della Commissione ambiente territorio e lavori pubblici della Camera, scrive: «La gravità della situazione che si è venuta a creare con la drammatica ipotesi di chiusura dell'impianto, tragica sia per l'occupazione che per l'economia del Paese, e le evidenti grandi inadempienze aziendali rispetto alle prescrizioni dell'Autorizzazione integrata ambientale (Aia), unica garanzia di un percorso  che consenta al contempo la continuità produttiva dell'azienda, la tutela della salute dei cittadini e la tutela dell'ambiente, rendono a mio avviso possibile e indispensabile un'azione di commissariamento dell'azienda, volta a garantire la piena applicazione delle misure previste. È infatti evidente che il rispetto delle prescrizioni dell'Aia in molti casi non c'è: penso alla movimentazione del carbone,  al  superamento di alcuni  limiti di emissione registrato dalla stessa Ispra in data 5-6-7 marzo 2013, o ancora alla chiusura nastri e cadute di materiali sfusi  che l'Aia imponeva entro gennaio 2013 e che l'Ilva pospone al 2015. Ci sono tutti gli elementi per procedere al commissariamento dell'Ilva di Taranto come per altro previsto dall'Aia stessa per gravi inadempienze. E' altrettanto evidente che le risorse per tali azioni di risanamento e bonifica non potranno che provenire dai beni della famiglia Riva».

Ieri il segretario  Segretario generale della Fiom-Cgil, Maurizio Landini, aveva detto: «Ritengo che la famiglia Riva abbia gravissime responsabilità rispetto a quanto è avvenuto all'Ilva di Taranto. Se le leggi fossero state rispettate, se non si fosse prodotto l'inquinamento ambientale e se, poi, fossero stati effettuati gli investimenti per il necessario risanamento, non si sarebbe arrivati alla situazione drammatica in cui oggi ci troviamo. Adesso l'obiettivo da perseguire, nella nostra valutazione, è quello di far sì che la produzione di acciaio a Taranto abbia continuità. Ciò affinché l'Italia rimanga un grande produttore di acciaio sia per l'importanza di questo settore, sia per le ricadute che la sua presenza ha sul resto dell'industria metalmeccanica. D'altra parte, è necessario dare all'Ilva un diverso assetto proprietario che, escludendo la famiglia Riva, ridia fiducia a tutti quelli che hanno a che fare con l'Azienda e ridia forza al suo progetto industriale. A questo scopo è altresì necessario un intervento diretto dello Stato, a carattere straordinario, che, come peraltro previsto dalla legge 231 del 2012, ne muti assetto proprietario e struttura gestionale. Ciò sia per salvare l'impresa, con tutto ciò che questo significa, sia per garantire gli investimenti necessari al risanamento ambientale. Ripeto oggi, inoltre, quello che abbiamo già detto: non va messa in discussione l'azione della Magistratura che, peraltro, ha supplìto alle assenze di chi avrebbe dovuto operare in precedenza. Assenze cui si sono aggiunti anche alcuni ritardi nell'iniziativa sindacale. Tuttavia, è necessario uscire dalla situazione di conflitti decisionali che si è creata e quindi, come detto, determinare un cambiamento dell'assetto proprietario dell'Ilva che consenta al soggetto giuridico risultante di assumere le opportune misure. In conclusione, non si tratta certo di rispolverare le vecchie Partecipazioni statali, ma di applicare le leggi già esistenti avendo di mira la salvaguardia non solo di una grande azienda, ma di un intero settore industriale. Il tavolo sulla siderurgia, che si aprirà il 31 maggio al ministero dello Sviluppo Economico e cui parteciperà anche Federacciai, dovrà dunque definire quella politica industriale che è mancata da un tempo troppo lungo e che è necessaria per dare nuove prospettive al settore, a partire dalle aziende che versano oggi in maggiori difficoltà».

Anche i presidente della Regione Puglia, Niki Vendola,  al termine dell'incontro svoltosi ieri a Roma con il ministro dello sviluppo economico, Flavio Zanonato e il ministro dell'ambiente Andrea Orlando, ha detto che «A questo punto occorra pensare all'applicazione di una norma contenuta nel decreto Taranto (convertito in legge nella 231 del 2012) che prevede, a fronte di contestazioni specifiche e di inadempienze della proprietà relative ai processi di ambientalizzazione, l'istituto dell'amministrazione straordinaria. Credo che questo sia il segnale del cambiamento reale, è il segnale che Taranto attende, e cioè l'affidamento dell'ambientalizzazione ad un organo dello Stato. Separiamo le vicende, i Riva da un lato e l'Ilva dall'altra. L'Ilva è un'azienda che, a condizione che tutte le prescrizioni dell'Aia vengano effettivamente incardinate nei processi reali di ambientalizzazione, merita di essere salvata. E' una realtà che può rappresentare ancora, per Taranto e per la Puglia, un polmone produttivo fondamentale. Il tema è, forse, fare i conti con l'inaffidabilità e lo stile che hanno avuto i Riva».

Vendola ha chiesto al Governo di istituire un tavolo permanente di crisi a Palazzo Chigi: «È una grande crisi si parla di un prospettiva di 40mila posti di lavoro che potrebbero andare in fumo. Per Taranto sarebbe il più grande disastro sociale, per la Puglia una tragedia, ma anche per il Sud, per l'Italia, per l'industria, per la siderurgia, per la manifattura. Sarebbe l'inizio di un effetto domino incredibile». Il presidente della Puglia ha  però ribadito che «Il salvataggio dell'Ilva è condizionato dalle bonifiche, dalla restituzione della possibilità di esercitare, con pienezza, il diritto alla salute e alla vita da parte dei cittadini di Taranto».

Il Governo sta riflettendo e quella di ieri è stata una discussione preliminare, ma è chiaro che il commissariamento potrebbe essere il preludio di una clamorosa nazionalizzazione che fino a poche settimane fa veniva respinta come una follia. Di fronte alla situazione tarantina, che potrebbe trascinarsi con sé tutta la siderurgia italiana, a cominciare da siti già in fortissima crisi come Piombino, un intervento delle Stato deciso, rapido ed eccezionale sembra inevitabile ed urgente  per evitare un disastro prima economico e sociale e poi inevitabilmente ambientale che farebbe probabilmente impallidire la già gravissima situazione attuale e consegnerebbe Taranto ad una bonifica infinita senza "padroni" e con i colpevoli eclissati.

Per Roberto Della Seta e Francesco Ferrante, già senatori del Pd, che nella scorsa legislatura furono i due soli parlamentari democratici a non votare la fiducia al governo Monti sul cosiddetto decreto salva-Ilva, «Il damma ambientale, sanitario, sociale dell'Ilva di Taranto certo è figlio di una famiglia, i Riva, che come si legge negli atti della magistratura ha agito da associazione a delinquere più che da imprenditore. Ma non ci si può fermare a questo, bisogna dire con forza e con chiarezza che a generarlo, questo dramma, è stata anche una politica, di destra e di sinistra, locale e nazionale, che per decenni e fino a ieri con rare eccezioni ha fatto finta di nulla nei casi migliori e nei peggiori si è comportata da complice di chi avvelenava Taranto impunemente e contro ogni legge. Lasciare l'Ilva un minuto in più in mano agli attuali proprietari, da chiunque rappresentati, equivarrebbe a perpetuare tutto questo. Oggi, come è evidente a tutti, la situazione dell'Ilva e di Taranto è quasi in un vicolo cieco. La sola via, strettissima, per uscirne è togliere la fabbrica dal controllo dei Riva, recuperare all'uso pubblico il loro bottino, affidare la gestione dello stabilimento a persone non solo competenti ma indiscutibilmente libere da ogni condizionamento di parte e decise ad agire nell'esclusivo interesse della città e del suo futuro. Ogni ulteriore apertura di credito all'attuale proprietà, comunque travestita, sarebbe pura follia».

Dopo il primo sequestro di 1,2 miliardi di euro alla famiglia Riva, ordinato perché frutto, secondo la procura e il gip di Milano, di frode fiscale, truffa allo Stato e riciclaggio è arrivato il  maxi sequestro, disposto dai magistrati di Taranto, di 8,1 miliardi di euro sui beni e le disponibilità economiche e finanziarie della finanziaria Riva Fire Spa che controlla l'Ilva di Taranto. Una somma che equivale a quello che l'Ilva avrebbe risparmiato non adeguando alle normative ambientali gli impianti, in particolare quelli dell'area a caldo, pregiudicando l'incolumità e la salute della popolazione tarantina.

In questo clima di completa irresponsabilità di una classe imprenditoriale che non sembra volersi assumere nessuna responsabilità della crisi italiana, il  Consigliere regionale pugliese Donato Pentassuglia (Pd)  ed i suoi colleghi  Arnaldo Sala, Marcello Rollo, Maurizio Friolo e Fabiano Amati, hanno pensato bene di presentare  un ordine del giorno per far diventar i territori di Taranto e Brindisi "No tax area" e spiegano  che «Alla luce anche degli ulteriori accadimenti e della attenzione posta ai due territori martoriati e in grande crisi, questo riconoscimento riproporrebbe una attenzione ecosostenibile per il rilancio socio-economico di un territorio assai utilizzato e poco risarcito concretamente. Vorremmo che si passasse dalle parole e dai buoni propositi ai fatti. Ci aspettiamo da parte del Governo nazionale un favorevole riscontro e con questo Ordine del giorno vogliamo dare forza al Presidente Vendola e a tutta la rappresentanza parlamentare pugliese perché questa opportunità, prevista dalla legge, diventi reale ed operativa a condizione che, come per le bonifiche, si garantisca la copertura finanziaria e non mere enunciazioni legislative». Certo che presentare una "No tax area" in un posto dove Riva e company a quanto pare la avessero realizzata in proprio suona in questo momento un po' fuori luogo. Fra l'altro l'ultimo Consiglio di ministri europei, su richiesta della Commissione Ue, ha deciso di dare un forte giro di vite ai paradisi fiscali ed al fiorire di iniziative per eludere od evadere le tasse.

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