[31/05/2013] News

Il debutto a Tehran: il caso Ilva raccontato al pubblico iraniano

Greenreport.it ospita in cinque puntate la straordinaria esperienza raccontata in prima persona dal protagonista

È il 7 maggio e sono le 18.00, orario per noi singolare per entrare in scena, eppure ci siamo, è la prima dell' Eremita contemporaneo - MADE IN ILVA all' IIFUT International Iranian Festival of University Theatre, il nostro primo incontro con il pubblico iraniano, che riempie la sala grande del Molavi Theatre, uno spazio meraviglioso situato nell'Università, nella zona centrale di Tehran, circondato dal verde.

Sono nel mio camerino, che sembra un set cinematografico per la sua luce verdastra che dalle lampadine ai lati degli specchi illumina una vecchia poltrona in pelle da barbiere, lasciando intravedere un lavandino che scandisce puntuale i secondi che mancano all'inizio dello spettacolo con un gocciolante "drop".

Proprio mentre aggiusto allo specchio gli ultimi dettagli del mio minimale costume di scena: canottiera grigia e pantalone blu operaio, irrompe nel camerino una delle organizzatrici del festival con un evidente imbarazzo che le si legge nel volto, rigorosamente coperto dal velo nero. Alla direzione è sfuggito un piccolo dettaglio: la canottiera grigia che lascia le spalle scoperte, non è ammissibile in pubblico. In Iran non è consentito mostrare alcune parti del corpo nudo, perciò la canotta viene sostituita da una T-shirt con le mezze maniche. Potrebbero essere presenti tra il pubblico dei funzionari del governo, che non  ammetterebbero di vedere un corpo seminudo in scena.

L'imbarazzo della mia interlocutrice si trasforma in panico quando le spiego che la canottiera o T-shirt che sia, non resterà sul mio corpo per l'intera durata dello spettacolo. Infatti, ad un certo punto mi libero di quell'indumento, durante un momento intenso ed estremamente fisico dove compio un'azione frenetica una rielaborazione del fenomeno del tarantismo, calato però in un contesto di isteria da lavoro seriale e trasposto dalle campagne salentine alla fabbrica tarantina. Presto intuisco però che non è il caso di insistere per salvaguardare le necessità artistiche di quella scena e comincio ad abituarmi all'idea di affezionarmi alla mia nuova t-shirt dato che non me ne separerò per tutto lo spettacolo.

Queste sono le regole. E questo è pur sempre un teatro, un luogo dove il minimo dettaglio può diventare così carico di comunicazione ed emozione da lasciare un segno nel tempo. Così ciò che per noi, abituati a vedere corpi integralmente nudi sulla scena, è un elemento trascurabile, diventa un segnale troppo forte, che rivela a chi guarda, che abbiamo un corpo, "carne calda" che si contrappone al "ferro freddo" della lastra metallica su cui esegue i miei movimenti. Una semplice t-shirt diventa una gabbia imposta al corpo, un elemento con cui convivere nel tentativo di affermare la propria libertà artistica. Un limite minimo se penso alle attrici ed alle danzatrici che si esibiscono con il capo coperto e che mi confessano quanto sia faticoso sentirsi libere nel movimento, lasciarsi andare, con la preoccupazione costante che il velo scivoli e lasci intravedere ciò che in pubblico è vietato mostrare. Con questa consapevolezza mi abbandono alle regole, pronto per entrare in scena con un anonima t-shirt bianca.  Al di là del vetro lo staff tecnico che il festival mi ha fornito è pronto. Non è stato semplice istruire in un paio d'ore tre tecnici che non hanno mai visto lo spettacolo e che soprattutto non parlano nemmeno inglese. Ma proprio grazie a questa esperienza sono riuscito ad imparare le mie uniche parole in Farsi, cercando di indicare i colori delle gelatine dei proiettori luci, la velocità e l'intensità con cui regolarli. Il personale di sala conta i posti a sedere realizzando che non basteranno e aggiungendo prontamente parecchie file di cuscini a terra. Intuisco che ci saranno più di 300 persone considerando che i sedili numerati non sono sufficienti e penso "Da quanto non vedo un teatro così pieno?". "Do work ! Lavora !" Così inizia il racconto della vicenda ILVA, ma potrebbe trattarsi di un insediamento per lo sfruttamento del gas o del petrolio, cresciuto in poco tempo dal nulla per opera delle imprese straniere che lavorano in Iran. Così dal buio della scena appaiono Taranto, i suoi morti, i suoi reduci, ma potrebbe trattarsi dei mutilati della guerra Iran-Iraq quando l'attore racconta che "Alla fine della giornata sembra un bollettino di guerra, con incidenti di tutti i tipi, sul campo di battaglia restano, feriti, mutilati, e qualche volta ...si muore".. L'attore abbandona la maschera da lavoro, dando l'addio al compagno deceduto. Molti tra gli spettatori, anche i più giovani, ricordano le bombe, i razzi, le persone uccise per strada. Nel momento che segna il culmine dello spettacolo quando l'attore urla il suo rifiuto al sistema in cui è intrappolato, tra il pubblico si sente qualcuno piangere. E' un momento forte e condiviso che trova il suo sfogo nell'applauso finale, quando all'unisono, oltre 400 persone si alzano in piedi per battere le mani.

"L'Eremita contemporaneo - MADE IN ILVA" è una novità per gli spettatori di Teheran, abituati ad un teatro piuttosto classico e con diverse limitazioni. In tutto l'Iran due sono i festival internazionali che offrono la possibilità di gettare uno sguardo sul teatro contemporaneo internazionale. Gli spettatori sono curiosi, aspettano fuori dal camerino, fanno domande, portano fiori e regali per noi.

Tutto lo staff messo a nostra disposizione dal festival, comincia ad appassionarsi allo spettacolo giorno dopo giorno, si sente parte di qualcosa di diverso che gli permette di uscire dai propri schemi di lavoro. Così dall'appuntamento con i tecnici 1 ora prima dello spettacolo si passa a 2 a 3 a 5 ore prima, per lavorare insieme, perfezionare i passaggi di luce e di musica. Tutti vogliono dare il massimo per la buona riuscita della rappresentazione che anche nelle sue repliche continuerà a strappare minuti di applausi ad un pubblico numeroso ed emozionato.

-seconda puntata-

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