[18/10/2011] News

Salviamo l'Artico, anche con regole internazionali che ne limitino la conquista

Il ritiro del ghiaccio è solo una parte del problema. La biodiversità e più in generale l'ambiente, lassù, è in pericolo perché "la conquista del Grande Nord" è già iniziata. Occorre stabilire al più presto regole precise che evitino conflitti e riducano l'impronta umana sul Polo Nord.

È questo il senso della copertina e dello speciale che la rivista scientifica Nature ha dedicato nei giorni scorsi all'Artico e, in particolare, è il senso dell'editoriale firmato da Lawson Brigham, docente di geografia e politica artica presso la University of Alaska Fairbanks ed ex presidente Arctic Council's Arctic Marine Shipping Assessment.

Tutti sanno che i ghiacci artici sono in ritirata - o meglio, che in estate un'area crescente dell'Oceano artico è libera da ghiacci - perché il dato statistico è ormai consolidato. Pochi sanno, invece, che lo scioglimento dei ghiacci non prelude a una futura conquista umana del Grande Nord, semplicemente perché l'invasione è già iniziata. L'Artico è sempre più un nodo cruciale di quella rete di produzione e distribuzione dei beni che chiamiamo economia globale.

Per dimostrarlo, Lawson Brigham ricorda il traffico estivo di navi che arrivano e partono dal porto di Red Dog, prospiciente la più grande miniera di zinco del mondo, in Alaska. Del traffico di navi che si svolge lungo tutto l'arco dell'anno per caricare il metallo prodotto dalla più grande miniera di nichel del mondo, a Norilsk in Russia (nella foto). Dei rompighiaccio che vanno e vengono per caricare petrolio presso la piattaforma offshore nel Mar di Pechora. E, ancora, il via vai estivo di petroliere dai pozzi petroliferi della Groenlandia occidentale.

Nelle scorse due estati, sostiene ancora Brigham, abbiamo assistito alla navigazione di un numero crescente di petroliere e di grandi navi da trasporto di nazionalità russa che hanno sperimentato le rotte migliori per trasportare ogni genere di combustibili e di merci lungo tutto le coste che vanno dalla Norvegia settentrionale alla Cina. Ma non sono solo i russi. Una flotta di rompighiacci sta per lasciare i porti del Canada per assicurare il trasporto di ferro dalle miniere delle isole nel Mar di Baffin alle industrie siderurgiche europee.

E, ultimo ma non ultimo, ecco intere flotti di navi da crociera che trasportano un numero crescente di turisti oltre il Circolo polare artico, soprattutto lungo le coste della Groenlandia.

Tutto questo dimostra che la conquista del Grande Nord non è uno scenario possibile del futuro, ma un'operazione già in atto nel presente. E che, come dicevamo all'inizio, il ritiro estivo dei ghiacci artici è solo uno dei problemi e, per certi versi, uno dei catalizzatori della crescente impronta umana sull'ambiente artico.

Un ambiente che è ricco di biodiversità e di risorse naturali. Ed è tra i meno antropizzati del mondo. Occorre tutelarlo, quell'ambiente temprato dal freddo, con norme e regolamenti internazionali, prima che la sua "scoperta" dia luogo da un lato a conflitti tra le nazioni per accaparrarsi le risorse naturali e dall'altro al combinato disposto di pollution e di depletion, di inquinamento e di riduzione dei medesimi capitali naturali.

In realtà l'IMO (International Maritime Organization), l'agenzia delle Nazioni Unite che si occupa della navigazione, della sua sicurezza e dell'inquinamento dei mari, ha già stabilito linee guida per la presenza nell'Artico. Ma si tratta di regole cui si aderisce su basi volontarie. Occorrerebbe, secondo Brigham, darle forza di leggi internazionali.

Ma, al di là degli aspetti giuridici, Brigham e Nature sostengono che se vogliamo tutelare l'ambiente artico occorre mobilitare l'opinione pubblica mondiale. A riprova da un lato che quella della conservazione della natura è una scienza un po' speciale: ha una dimensione politica imprescindibile (la scelta, politica appunto, di tutelare l'ambiente che si vuole studiare). E dall'altro che senza la partecipazione attiva (e consapevole) del grande pubblico i problemi ambientali, a ogni dimensione, globale, regionale e locale, non si risolvono. 

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