[25/10/2012] News

L'estinzione delle specie diminuisce la resistenza al cambiamento climatico

La grande biodiversità agisce come una polizza di assicurazione per la natura

La rapida estinzione di specie in corso è un grave rischio per la vita così la conosciamo sul nostro pianeta ed anche per il benessere umano, ma ora, secondo quanto scrive il bollettino scientifico dell'Ue Cordis «sembra che le conseguenze della perdita di specie siano di vasta portata, molto più di quanto si riteneva in precedenza. La relazioni simbiotiche che si sviluppano nell'ambiente come risultato della grande biodiversità rendono gli ecosistemi più resistenti al cambiamento. La perdita di una specie può rompere l'equilibrio di quell'ecosistema, indebolendo la sua resistenza e rendendolo quindi più vulnerabile a eventi come il cambiamento climatico».

Lo ha scoperto un team di biologi svedesi dello Sven Lovén centrum för marina vetenskaper della Göteborgs universitet che ha pubblicato uno studio (Experimental climate change weakens the insurance effect of biodiversity) su Ecology Letters dal quale emerge che «l'impatto dei cambiamenti climatici potrebbe essere molto più grave se si estinguono delle specie». La ricerca  suggerisce che «La grande biodiversità agisce come una polizza di assicurazione per la natura e anche per la società poiché aumenta le probabilità che almeno alcune specie saranno sufficientemente resistenti da portare avanti importanti compiti come la depurazione dell'acqua e l'impollinazione dei raccolti in un ambiente che cambia». Johan Eklöf, leader del team di ricerca, spiega che «si tratta dello stesso principio di un portafoglio investimenti, sarebbe da pazzi puntare tutto su una carta sola».

I ricercatori hanno fatto esperimenti nelle distese di vallisneria, una pianta acquatica, forma praterie nelle insenature poco profonde della Svezia occidentale che costituiscono importanti ambienti di riproduzione per il merluzzo, ma dagli anni '80 la diffusione di questa pianta è diminuita in modo drastico lungo la costa del Bohuslänche, ed hanno scoperto che «Il cambiamento climatico può aggravare gli effetti negativi della perdita di specie sensibili, e che l'effetto protezione della biodiversità può essere più debole di quanto generalmente pensiamo. Si ritiene che questo sia in parte dovuto all'eutrofizzazione, la risposta di un ecosistema all'aggiunta di sostanze artificiali o naturali. Quando si verifica l'eutrofizzazione, favorisce la formazione di tappeti di alghe filamentose nocive che fanno ombra e soffocano la vallisneria. La perdita di merluzzi nella zona ha in parte anche prodotto un grande aumento nel numero di pesci predatori più piccoli. Questi pesci predatori, a loro volta, riducono il numero di Gammarus locusta, crostacei erbivori che brucando queste piante normalmente tengono sotto controllo le alghe filamentose». 

Un effetto a cascata è diventato sempre più comune, non soltanto nei mari e negli oceani del mondo, ma anche sulla terraferma e molti tipi di predatori si sono estinti a causa della caccia e della pesca. I ricercatori svedesi sono preoccupati perché sia la teoria che le osservazioni indicano che «Questi effetti possono amplificare gli effetti del global warming, che favorisce le piante resistenti al caldo ma sensibili al pascolo come le alghe filamentose». 

La stazione di ricerca marina Kristineberg, nel fiordo Gullmar del centro di scienze marine Sven Lovén, ha realizzato ecosistemi in miniatura dentro acquari all'aperto ed ha studiato come il riscaldamento e l'acidificazione previsti per gli oceani potrebbero influire sull'equilibrio tra vallisneria e delle alghe filamentose e i ricercatori della Göteborgs universitet si sono trovati di fronte ad effetti inaspettatamente chiari e inequivocabili: «Era la diversità degli erbivori che si nutrono di alghe che determinava la misura in cui l'ecosistema veniva colpito da riscaldamento e acidificazione». 

Eklöf sottolinea che «un'alta diversità significava che né il riscaldamento né l'acidificazione avevano un reale effetto poiché le alghe venivano mangiate prima di riuscire a crescere e a oscurare la vallisneria. Ma quando abbiamo simulato contemporaneamente gli effetti della pesca e abbiamo eliminato l'efficace ma vulnerabile erbivoro Gammarus locusta, le alghe si sono diffuse nell'ecosistema, in particolare nelle condizioni più calde». 
Secondo i ricercatori svedesi ci dovremmo preoccupare molto di questi risultati: «La maggior parte delle gestioni si basa sulla supposizione che ci possiamo permettere di perdere le specie più sensibili perché altre specie più resistenti prenderanno il loro posto. Ma questo potrebbe non accadere con i futuri cambiamenti climatici, poiché l'efficienza finale delle specie resistenti ne può uscire ridotta, senza che queste specie siano colpite in modo diretto». Ma qualche speranza c'è ancora speranza se i governi e la società si decidono ad agire: «Se proteggiamo la biodiversità locale che ancora abbiamo e ripristiniamo la diversità che abbiamo perso, ad esempio proteggendo le popolazioni di pesci predatori nelle aree costiere e riducendo il carico di sostanze nutrienti, allora probabilmente saremo in grado di aumentare la resistenza degli ecosistemi ai cambiamenti climatici».

 

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