[02/05/2011] News

Nucleare a chi conviene? Le tecnologie, i rischi, i costi -Gianni Mattioli, Massimo Scalia

Edizioni Ambiente-Kyoto books 2011

Le drammatiche notizie che ci giungono dal Giappone riguardo alla centrale di Fukushima, danneggiata dal terremoto e poi dallo tsunami che l'11 marzo ha distrutto il paese tecnologico per antonomasia, potrebbero già dare una risposta alla domanda che fa da titolo al libro appena uscito di Gianni Mattioli e Massimo Scalia, "i Rolling Stones dell'ecologismo politico", come li ha efficacemente appellati Pietro Orsatti.

Tecnici iperpreparati quelli giapponesi della Tepco e non certo arruffoni come quelli che determinarono lo scoppio del IV reattore di Chernobyl; un paese modello e abituato a fare i conti con gli eventi catastrofici naturali e quindi anche a prevenirne gli effetti; eppure anche il Giappone si è trovato impreparato e inerme di fronte ad un disastro che gli è sfuggito di mano sin dal primo giorno e che dimostra - semmai ce ne fosse bisogno -che l'Homo Tecnologicus non è in grado di rimediare a tutti i danni che può procurare grazie alla propria presunzione. E soprattutto che la sicurezza intrinseca in ogni intervento antropico non esiste, men che meno se si parla di energia atomica.

In realtà il libro scritto da Mattioli e Scalia dà molti più elementi di quelli che da più parti vengono definiti "fattori emotivi" per spiegare il motivo per cui il nucleare non serve se non «alle industrie e alle aziende che ci guadagnano sopra» come gli stessi autori hanno dichiarato.

E sfata molti degli argomenti che vengono addotti dai sostenitori dell'energia atomica per giustificare la necessità di quello che è stato definito il "rinascimento nucleare" per un paese che vi ha rinunciato dopo un referendum, votato nel 1987, in cui più dell'80% della popolazione disse NO all'energia atomica.

Una storia, quella del movimento antinucleare che poi riuscì a vincere anche il referendum, che viene raccontata come "un libro nel libro"e che ricorda quello che era lo spirito che lo animava e le anomalie che lo contraddistinguevano - e che ne hanno, forse, determinato la forza- dai movimenti antinucleari del resto d'Europa. Un libello e non un'appendice al libro che racconta i successi e i fallimenti di quel movimento antinucleare e che rende giustizia a tutti coloro, noti e meno noti alle cronache politiche e mediatiche, che l'hanno tratteggiata portando a segno un risultato: quello dell'uscita del nostro paese dal nucleare che sarebbe ingeneroso affidare solo all'onda emotiva (che certo aiutò) del disastro di Cernobyl.

Un'onda emotiva che avrebbe senza dubbio aiutato anche questa volta ad ottenere un risultato vincente al referendum cui di nuovo gli italiani sono chiamati ad esprimersi il prossimo 12 e 13 giugno. Tanto che questo timore ha indotto il governo a tentare la carta di scippare alla popolazione il referendum, intervenendo con un emendamento che ricalca i quesiti referendari per renderlo quindi superato.

Ed è stato lo stesso Berlusconi a scoprire le carte dichiarando nel corso del recente vertice con Sarkozy a Roma, il vero obiettivo di quell'emendamento: "Se fossimo andati oggi a quel referendum il nucleare in Italia non sarebbe stato possibile per molti anni a venire. La moratoria è per far sì che dopo un anno o due si possa tornare a discuterne con un'opinione pubblica consapevole e non influenzata da Fukushima. Siamo convinti che il nucleare sia il futuro". Queste le parole di Berlusconi e chissà che la mossa di scoprirle queste carte, mostrando il re già nudo - e mettendo al pubblico ludibrio i suoi ministri di fronte agli italiani -riuscirà al premier: ma se il referendum ci sarà o meno lo deciderà la Corte e l'auspicio è davvero quello di poter andare in massa ancora una volta a dire un secco no.

I motivi che stanno dietro questo secco no sono  sviscerati in ogni dettaglio dal libro di Mattioli e Scalia, che partono dallo spiegare la situazione in cui si pone lo scenario nucleare rispetto a quello cui si era affacciato il nostro paese trent'anni fa. Ovvero quello della questione climatica, o per meglio dire dell'instabilità climatica; uno scenario assai diverso per conoscenza, consapevolezza e, ormai anche per consuetudine con gli effetti che ne conseguono, rispetto appunto al periodo in cui - non solo nel nostro paese- fu fatta la scelta del ricorso al nucleare.

Il nuovo paradigma come gli stessi autori lo definiscono è rappresentato dalla pubblicazione del rapporto Abrupt climate change da parte dell'Academy of Science degli Usa nel 2002. In quel rapporto, basandosi su dati geoclimatici sperimentali, e quindi su misurazioni condotte sui sedimenti  marini e sui ghiacciai delle calotte polari, si arriva alla descrizione della situazione attuale. Ovvero quella del raggiungimento della soglia che porta al repentino passaggio da uno stato di stabilità ad uno instabile.

"Tale passaggio - descrivono gli autori- non dipende dal tempo ma, appunto, dal raggiungimento di un valore critico, di una soglia. Al di là di essa l'equilibrio si rompe, il clima cambia bruscamente".

Proporre in alternativa a questo scenario la scelta nucleare è allora come non aver capito - nemmeno lontanamente- il problema che si pone di fronte al pianeta, prima ancora che al nostro paese.

"Siamo di fronte- dicono gli autori- a una sfida caratterizzata da un'accelerazione drammatica degli eventi, che non ha visto sinora un' adeguata percezione e, di conseguenza, la disponibilità ad una pari accelerazione nella riconsiderazione degli stili di vita, dei modelli di produzione".

Possibile mai, allora riproporre il modello dell'energia nucleare, ormai obsoleto in tutte le sue forme- da quella tecnologica, che non è riuscita ad avanzare se non nelle speranze di ottenere ancora fondi di ricerca, a quella del modello energetico centralizzato- come risposta a questa esigenza di accelerazione?

No non è cosa possibile e ce lo spiegano nei minimi dettagli Mattioli e Scalia.

Ripercorrendo le tappe della ricerca tecnologica verso l'agognata Generation IV, o verso sistemi di sicurezza impossibili da ottenere- Fukushima insegna se ancora non lo avessimo imparato- così come verso sistemi di contenimento a prova di millenni per le scorie.

Tutte strade che sino ad ora hanno portato solo a sperpero di denaro ma a nessuna risposta concreta, se non a quella di avere la certezza che i rischi sanitari dell'energia atomica non si materializzano soltanto in caso d'incidente ma nella routinaria conduzione di una qualsiasi centrale.

E che, come ha confermato dopo Cernobyl il disastro giapponese di Fukushima, c in caso d'incidente le conseguenze sono difficilmente immaginabili e difficili da contabilizzare.

I quesiti che esistono sin dalla prima generazione di centrali nucleari, sono rimasti tutti irrisolti: proliferazione atomica, contaminazione radioattiva, gestione delle scorie, disponibilità del combustibile. Perché perseverare allora, a chi conviene?

"Alle industrie e alle aziende che ci guadagnano sopra, non certo ai cittadini e al paese" come dicono gli autori.

Non serve per contrastare i cambiamenti climatici, anzi farebbe perdere tempo prezioso e porterebbe ad eludere il vero nodo della questione: il troppo peso dei combustibili fossili per l'aumento dell'effetto serra.

Con l'atomo si produce solo energia elettrica che è solo una parte e nemmeno quella più preponderante del fabbisogno energetico e che corrisponde nei paesi industrializzati solo a un terzo del totale. Se poi si considerano non solo il fabbisogno energetico ma i "consumi energetici finali" il nucleare rappresenta appena il 2% su scala mondo e solo il 6% per i paesi industrializzati. Davvero una parte esigua che non giustifica il fatto di  investirci sopra le ingenti risorse  che richiede.

Non serve a ridurre la bolletta energetica, anzi tornare al nucleare costerebbe al nostro paese decine di miliardi di euro (già oltre dieci milioni sono stati spesi per mettere in piedi la società Sviluppo nucleare Italia! Che rimarrà in piedi nonostante la moratoria annunciata) distogliendo risorse finanziarie, economiche, industriali e organizzative dagli obiettivi UE  dei 3 tre 20% da raggiungere al 2020.

E sicuramente il nucleare non conviene a chi vorrebbe - e non vuol perdere la speranza di ottenerlo- un mondo diverso da quello attuale.

Ma comincia a non convenire più nemmeno a chi questo mondo lo vorrebbe mantenere così com'è perché sino ad ora è quello che gli ha garantito maggiori profitti.

E chissà se chi questo modello vorrebbe mantenerlo uguale a se stesso si sta finalmente  rendendo conto che proseguendo su questa strada sta segando - inesorabilmente- proprio il ramo sul quale sta seduto?

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