[23/05/2011] News

Sud-Sudan: è cominciata la guerra tribale del petrolio?

Quello che in molti temevano, dopo il plebiscitario referendum che ha sancito l'indipendenza del Sud-Sudan, sta accadendo: l'esercito del Sudan si è posizionato nella zona di frontiera ricca di petrolio al confine con il nuovo Stato indipendente e ieri il governo di Khartoum ha annunciato di aver preso il controllo dello stato di Abyei e che procederà all'evacuazione delle forse sud-sudanesi. Secondo fonti Onu  la città di Abyei è stata bombardata con mortai e da una quindicina di blindati. Poi i militari sudanesi, probabilmente appoggiati dalle milizie etniche che si oppongono all'annessione al Sud-Sudan, hanno occupato la città. Il governo provvisorio sud-sudanese ha detto che ritiene questa offensiva una «Dichiarazione di guerra».

Secondo l'Office for the coordination of humanitarian affairs (Ocha) dell'Onu «La maggioranza dei civili sono fuggiti dalla città di Abyei a causa dei violento combattimenti tra le Forze armate sudanesi (Saf) e l'Esercito popolare di liberazione del Sudan (Spla). Durante la giornata di sabato 21 maggio, la città di Abyei è stata presa di mira da tiri di armi pesanti e le forze armate sudanesi sono entrate nella città dopo il Calare della note».

Secondo osservazioni sul terreno dell'Ocha, «La maggior parte dei civili hanno abbandonato la città di Abyei. Non sappiamo ancora chiaramente dove i civili sfollati abbiano trovato rifugio o se siano ancora in fuga. La maggioranza sembra si stia dirigendo verso dei villaggi nella regione di Abyei, a sud della città di Abyei (quindi verso l'area controllata dal Sud-Sudan, ndr), ma per adesso non ci sarebbe stato afflusso ad Agok», una città dove erano state inizialmente spostate le agenzie Onu, ma la situazione è diventata così pericolosa che le Ong umanitarie non possono più operare, quindi «L'ampiezza delle perdite umane tra i civili non è ancora conosciuta».

Il Consiglio di sicurezza dell'Onu ha condannato l'attacco del governo islamista del Sudan ad un territorio che dovrebbe far parte del nuovo Stato del Sud-Sudan ed ha chiesto l'immediato ritiro delle forze di Khartoum.

La festa della proclamazione dell'indipendenza del Sud-Sudan, che avverrà a luglio, rischia di avvenire con una nuova guerra con i nemici sudanesi e con l'esplodere della guerriglia etnica che ha già funestato il periodo post-referendum. Il regime sudanese ha prima attizzato la guerriglia tribale e poi è intervenuto per «riprendersi» uno Stato federale sudanese conteso e soprattutto pieno di petrolio.

Il segretario generale dell'Onu, Ban Ki-moon, ha condannato «La scalata della violenza nella regione di Abyei tra le forze di sicurezza del governo del Sudan e del Sud-Sudan che hanno aumentato i movimenti di truppe e che hanno scambiato tiri di artiglieria pesante e leggera». Ban chiede «Alle due parti di cessare immediatamente le loro operazioni militari ed a ritirare tutte le forze ed i movimenti armati da Abyei».

L'Onu chiede a Sudan e Sud-Sudan di «Confermare i loro impegni precedenti a mantenere la pace e la sicurezza nella regione di Abyei, attraverso i meccanismi già concordati e ad intavolare discussioni serie per arrivare ad un regolamento finale della questione di Abyei prima del 9 luglio. Il segretario generale resta profondamente preoccupato per la sicurezza della popolazione civile della regione, mentre la gran parte è stata sfollata a forza a causa dei combattimenti».

Lo Stato di Abyei è proprio nel punto più pericoloso: nel confine conteso tra il Sudan ed il Sud-Sudan dove gli scontri fra le milizie etniche e con le truppe del governo di Juba durano da mesi. L'accordo di pace firmato nel 2005 tra il governo di Khartoum e i ribelli del Spla che ha messo fine ad una feroce guerra civile tra il nord e il sud prevedeva un referendum di autodeterminazione ad Abyei nel gennaio 2011, insieme a quello per l'indipendenza del Sud-Sudan. Ma il referendum ad Abey non si è mai tenuto così ora il vecchio Sudan e il nuovo Sud-Sudan rivendicano entrambi l'area ricca di petrolio, ma dove vivono tribù bellicose fedeli sia a Khartoum che a Juba e molti tagliagole e mercenari che lavorano in proprio e non riconoscono nessun potere statale.

Nel mirino c'è anche l'Onu: Ban Ki-moon ha condannato «Le azioni delle persone responsabili del complesso delle Nazioni Unite con obici di mortaio che hanno ferito due caschi blu» ed ha chiesto di individuare i responsabili di questo bombardamento, chiedendo alle due parti di garantire la sicurezza del personale Onu. Non si tratta del primo attacco: le truppe dell' United Nations mission in Sudan (Unmis) erano già stata assalite il 10 maggio a Goli e il 19 maggio è stato attaccato un convoglio Onu.

Secondo il Consiglio di sicurezza dell'Onu (del quale fa parte anche la Cina che appoggia il governo del Sudan) le truppe di Khartoum occuperebbero ormai la città di Abyei e i dintorni e «Questo costituisce una violazione grave degli accordi di pace globale che minaccia di minare l'impegno comune delle parti ad evitare un ritorno alla guerra e a risolvere tutte le questioni in sospeso dell'accordo e del post-accordo in maniera pacifica». Impegni che sembrano annegare nel petrolio e nelle rispettive furbizie, trasformandosi in una guerra che rischia, come in molti temevano, di soffocare il nuovo Stato del Sud-Sudan nella culla e di far esplodere tutte le rivalità etnico-tribali.

Infatti il Consiglio di sicurezza dell'Onu «Deplora anche la dissoluzione unilaterale dell'amministrazione di Abyei e chiede il suo ristabilimento senza ritardo attraverso un mutuo accordo». Le due parti in questa nuova guerra sono invitare «Ad evitare di far uso della forza» e a «Ritirare immediatamente tutti gli elementi militari da Abyei». Inoltre viene richiamata «La responsabilità delle parti a proteggere i civili», un concetto molto difficile da far digerire in una zona da sempre in guerra e che ha visto innumerevoli massacri compiuti dai musulmani contro i cristiani e gli animisti e scontri tribali fra le varie, un posto dove distingue i civili dai combattenti e il guerrigliero dal pastore è un'impresa improba.

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