[31/05/2011] News

Biocarburanti e uso del suolo

La sfida più complessa tra gli obiettivi assegnati dall'Unione Europea nella lotta per il clima riguarda senz'altro i trasporti, e in particolare l'obbligo per ogni Stato membro di sostituire al 2020 almeno il 10% dei carburanti fossili in commercio con carburanti alternativi. Se nel caso della produzione di elettricità e calore infatti esistono ormai diverse tecnologie commercialmente valide, per alimentare i motori delle nostre auto non ci sono molte alternative. Il continuo aumento di efficienza delle rinnovabili può farci sperare di disporre fra qualche anno di auto elettriche o a idrogeno con rese energetiche ed economiche accettabili, ma nel frattempo dobbiamo affidarci alle colture agricole come fonte di carburanti liquidi. Si calcola che due terzi del fabbisogno al 2020 di carburanti alternativi in Europa sarà fornito dal biodiesel (derivato principalmente da olio di colza e girasole), un terzo dal bioetanolo (derivato da mais e altri cereali) e una quota marginale dal biometano. Il 10% dei carburanti è una quota enorme: solo in Italia, malgrado il progressivo calo di consumi di benzina dal 2002 a oggi, richiederebbe  3,5-4 milioni di tonnellate di biocarburanti. Se dovessimo produrre tutto da noi usando colture energetiche dedicate, occorrerebbero oltre 5 milioni di ettari, ossia l'intera superficie nazionale attualmente utilizzata per i cereali a uso alimentare. Con effetti ovviamente devastanti sulla nostra bilancia alimentare, sulla biodiversità e forse sullo stesso bilancio della CO2, che ricordiamolo è il principale obiettivo per cui l'Europa ci chiede di adottare carburanti alternativi. Per questo motivo diverse associazioni ambientaliste e la stessa Unione Europea stanno concentrando l'attenzione sul concetto di "cambio d'uso indiretto del suolo" che avviene quando si seminano colture energetiche su terreni in precedenza destinati a colture alimentari.

D'altra parte rinunciare all'obiettivo 10% implicherebbe la scomoda scelta di importare biocarburanti dall'estero (come del resto stiamo già facendo) o di pagare multe salate per le inadempienze. Ma è proprio inevitabile il conflitto tra produzione di biocarburanti e produzione di cibo? I pareri tra gli stessi esperti è discorde, come ha mostrato la bella e accesa discussione dell'incontro recentemente organizzato a Terra Futura da Legambiente e Chimica Verde. E' evidente che l'agricoltura non può risolvere i problemi del fabbisogno energetico della nostra società e l'obiettivo del 10% forse è troppo ambizioso se dovessimo colmarlo solo con biocarburanti. Tuttavia un'accorta "politica agro-energetica" (utopia nell'attuale  contesto italiano) potrebbe garantire risultati interessanti per i suoli italiani. Suoli poveri, in quanto progressivamente privati di sostanza organica da decenni di gestione chimica delle coltivazioni in monosuccessioni di cereali (mais su mais al Nord, grano su grano al Sud), fino a giungere in alcune aree meridionali a condizioni di pre-desertificazione.

In sintesi i cardini di una buona politica nazionale dovrebbero essere i seguenti:

Questo insieme di politiche ci permetterebbe di colmare, senza danni all'agricoltura, una quota importante dell'obiettivo 10%. Ma per centrare in pieno l'obiettivo, abbiamo assoluta necessità di indirizzare la ricerca e sviluppo dell'industria nazionale in due settori principali:

Infine, ma sicuramente è l'obiettivo prioritario, coglieremmo più agevolmente la sfida del 10% con una decisa politica in favore del ferro, a partire dall'ampliamento delle reti metropolitane, in modo da ridurre sensibilmente gli usi e i consumi impropri dell'auto in città.

Torna all'archivio