[17/06/2011] News

Sinistra Strappacuore in cerca di un'alternativa al modello capitalista

Siamo momentaneamente sprovvisti di un modello alternativo al capitalismo, prego richiamare più tardi. Se la sinistra italiana avesse una segreteria telefonica forse risponderebbe così a chi, dopo il referendum, a parer nostro sta facendo questa domanda. E la sta facendo proprio alla sinistra. Persino da destra.

Il punto, però, è che - generalizzando - sappiamo quello che non vogliamo dell'attuale modello di sviluppo - la crisi lo ha fatto capire anche a chi ci non se lo voleva sentir dire nemmeno per sbaglio -  ma si fatica persino a desiderare, per non parlare del costruire, un'alternativa possibile.

Che sia tornato il tempo di almeno rimettere in discussione i fondamentali del capitalismo? Silvano Andriani sull'Unità di oggi pone questioni che a noi allargano il cuore. Perché da economista di sinistra fa un'analisi che pone almeno la questione che così non si può andare avanti. Tra l'altro focalizzando tra i tanti un punto che casualmente anche noi due giorni fa ci ponevamo: «A livello nazionale farà grande differenza se su scala mondiale prevarranno linee protezioniste o nuove forme di cooperazione. Perché la sinistra non ne discute?».

La scala mondo, appunto, quella alla quale bisogna rapportarsi se si vuole trovare il bandolo della matassa. Lecito quindi chiedersi innanzi tutto: è finita la sbornia turbo-liberista anche nel centrosinistra nostrano? Che poi non era altro che un gonfiare a dismisura sempre e comunque tutti i consumi/acquisti possibili ben oltre le capacità degli stati, delle regioni, dei comuni, fino purtroppo alle persone e poi dal basso di nuovo verso l'alto, come un cane che si morde la coda.

Il referendum ha detto almeno un paio di cose dirimenti: chi ha votato vuole la garanzia dello Stato sui beni comuni (che se si pensa alle rivendicazioni di alcuni comitati c'è da rimanere senza fiato, visto che invece per quanto riguarda i rifiuti spesso si battono in nome di un mercato che dovrebbe gestirseli da solo).

L'altra è che - come spiega bene Massimo Scalia in un altro pezzo del giornale (vedi link a fondo pagina)  - più di tutto il resto, è la catastrofe di Fukushima ad aver spaventato le persone e ad averle spinte in massa a partecipare al referendum. Boris Vian parlando dell'amore in "Strappacuore" scriveva a metà del secolo scorso che «Non si resta perché si amano certe persone; si va via perché se ne detestano delle altre. Sono sempre le cose brutte che ci fanno agire. Siamo vigliacchi».

L'uomo è così, certe cose preferisce non vederle e se ne occupa solo o quasi davanti alle emergenze. Ma la crisi ci impone di uscire da questo cul de sac. E ce lo impone a livello globale, perché non potrà mai essere l'Italia da sola a decidere del futuro dell'umanità. Come non potrà esserlo la sola Europa ed è demenziale che qualcuno pensi che la via d'uscita, sia l'uscita dall'Ue.

Sul Sole 24Ore di oggi si propone non a caso esattamente l'inverso, ovvero un'unione fiscale come ancora di salvezza. Non siamo certo noi in grado di dire se sia questa la strada ma è chiaro che il livello della discussione si è enormemente alzato. La sinistra deve prenderne atto. L'austerità di un Paese singolarmente o dell'altro, ha ragione sempre Andriani, seppur comprensibile non è risolutiva. L'asse economico si è spostato e a fare la voce grossa sono i paesi emergenti e la Cina. Sono loro che stanno muovendo i flussi di energia e di materia, lo dimostra anche l'analisi dell'Aie sui prezzi del petrolio pubblicata dal Sole24Ore.

«La situazione attuale - ha dichiarato ieri il direttore dell'Aie Nobuo Tanaka - comincia a ricordare quella del 2008. E tutti sappiamo che nel 2008 l'economia mondiale ha subìto un atterraggio davvero molto pesante». La Libia ormai produce appena 100mila barili al giorno, contro gli 1,6 milioni di prima della guerra, e secondo l'Agenzia le sue forniture non torneranno sul mercato fino al 2014. Nel frattempo la domanda è destinata ad aumentare, non solo negli anni a venire, ma anche nel brevissimo periodo.

Le potenziali tensioni sui mercati - si legge sempre sul Sole - sono evidenti anche se si guarda a un orizzonte temporale più ampio: nei prossimi 5 anni la domanda globale di greggio potrebbe salire dell'1,3% in media all'anno, portandosi dagli 88 mbg del 2010 a 95,3 mbg nel 2016 (se ci saranno problemi per l'economia si arriverà a 92,8 mbg). La responsabilità della crescita, che l'Aie vede oggi molto più vigorosa rispetto a quanto stimato un anno fa, sarà esclusivamente delle economie emergenti e per il 40% della Cina, mentre la domanda dei Paesi Ocse calerà di 1,5 mbg di qui al 2016. Nello stesso periodo, grazie allo sfruttamento di risorse più difficili da estrarre, anche l'offerta di petrolio salirà (da 93,8 a 100,6 mbg), ma con un ritmo più fiacco rispetto allo sviluppo dei consumi.

Scelte come la riduzione dei consumi tutti (materia e energia); il rilancio di un'economia che abbia questo dogma come cardine; l'utilizzo di energia e materia sostenibile e alterativa (rinnovabili e rifiuti provenienti dal riciclo) non sono rinviabili e non sono più nemmeno opzioni; un rilancio del lavoro in questa ottica è di conseguenza; come la progressiva uscita dall'economia finanziaria delle materie prime non è più rinviabile, e questo sappiamo essere la scalata dell'Everst ma ci sentiamo di dirlo. Perché spesso per veder bene bisogna salire più in alto e perché davvero non si può nemmeno sperare in un mondo più sostenibile socialmente e ambientalmente senza che sia tolta la speculazione e la finanziarizzazione sulla testa dei beni comuni, appunti, quelli che si vorrebbero tutelati dagli Stati.

Stati che, con l'informatizzazione della finanziarizzazione a livelli parossistici, non sono nemmeno in grado di regolare i mercati perché semplicemente non hanno i tempi giusti se anche avessero e condividessero le idee giuste. Qui si gioca il futuro. Qui ci si deve spendere politicamente. Qui la sinistra deve rispondere.  

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