[02/08/2011] News

Con la cultura si mangia eccome, basta saperla usare

 

Illuminate dai riflettori dell'Ocse, le prestazioni dell'Italia in fatto di produttività del lavoro (Pil per ora lavorata) sono preoccupanti: la classifica stilata nel Factbook 2010 vede il nostro livello di produttività appena al di sotto della media dei Paesi Ocse ma, osservando il trend di crescita, siamo il fanalino di coda nel periodo nel 2001-2008, l'unico Paese con un andamento negativo. Il lavoratore italiano è al 12° posto per ore lavorate, sopra la media Ocse, ma il relativo salario si colloca alla 23° posizione (su 30), ad un -16,5% dalla media (rapporto Ocse "Taxing Wages").

Bassa produttività porta a bassi salari, e non sembra una buona idea - specialmente in tempo di crisi - tentare di rilanciare la capacità competitiva delle nostre imprese infierendo ulteriormente sui salari ed i diritti dei lavoratori per ridurre il costo del lavoro, poiché meno reddito disponibile si traduce in minore domanda aggregata, con conseguenti ed ulteriori impulsi recessivi. Urge piuttosto un riassetto del tessuto imprenditoriale italiano, con una virata decisa verso sostenibilità, innovazione ed eccellenza. Per imboccare questo sentiero è però prioritario investire sul capitale umano, che in Italia viene colpevolmente trascurato, ed aumentare così la qualità della forza lavoro.

La conoscenza è il nutrimento del capitale umano, su cui si può fare perno per lo sviluppo di un Paese: in Italia il tasso di rendimento privato dell'istruzione è pari a circa il 9%, un valore superiore a quello ottenibile da investimenti finanziari alternativi, mentre il rendimento sociale è stimato attorno al 7% (nel Sud Italia è addirittura superiore a quello derivante dall'investimento in infrastrutture). Dal solo punto di vista fiscale, la maggiore spesa pubblica sostenuta per finanziare un dato aumento del livello di istruzione è più che compensata da un valore attuale netto dell'investimento compreso tra i 2.900 e i 3.700€ pro capite.

Ben il 47,2% degli italiani in età 25-64 anni ha conseguito la sola licenza di scuola media inferiore: è evidente perciò che dobbiamo ancora migliorare molto, investendo sulle nuove generazioni.

Ma quale rilevanza viene data alla risorsa "giovani"? La situazione è piuttosto deficitaria. Partendo da un'analisi preliminare, si osserva come l'Italia sia il secondo paese più vecchio d'Europa, con 143 anziani ogni 100 giovani, ed un tasso di natalità tra i più bassi a livello comunitario. Nonostante ciò, non vale il precetto economico per il quale un bene più scarso è anche più prezioso: investiamo molto poco nei nostri giovani ed il dato Ocse per cui, complessivamente, la spesa pubblica nella scuola è pari al 9% di quella totale - il livello più basso tra i paesi industrializzati, 13,3% la media Ocse - ne è testimonianza emblematica.

Se si considera l'istruzione terziaria, la percentuale di studenti che centra l'obbiettivo della laurea è appena del 16% in Italia per la fascia 25-34 anni, la metà della media Ocse. Un'interpretazione possibile di questa poco onorevole performance è data dai relativamente scarsi vantaggi che comporta la laurea, per gli studenti italiani: il differenziale retributivo tra diplomati e laureati in Italia è pari al 53%, mentre in Germania al 63% e negli USA all'81%(4).

La scarsità numerica di laureati non è poi neanche compensata dalla qualità dell'istruzione ricevuta, bocciata dalle indagini PISA-Ocse. Lo studio, volto ad accertare le competenze dei 15enni scolarizzati sottolinea come in Italia il 25,3% degli studenti si collochi al di sotto del livello base di competenza scientifica, il 32,8% al di sotto di quello in matematica ed il 50,9% al di sotto di quello in letteratura; impressionante il dato secondo cui il 60% dei quindicenni ignora il perché dell'alternarsi notte-giorno. Tutto ciò mentre, in modo paradossale, in Italia le ore di istruzione previste sono ben 8.200 per la fascia 7-14 anni, quando la media Ocse si ferma a 6.777.

Se, alla fine del percorso di studi, questo non potrà essere adeguatamente sfruttato nel mondo del lavoro, invece di rivelarsi un investimento sarà solo una grande perdita per tutti, Stato e privati. E non si tratta di una perdita da poco: la spesa cumulativa per uno studente dalla prima elementare alla maturità è di 101.000$, cui vanno aggiunti i 39.000$ per l'università.

Fanno più di 100.000€ per studente, ed è inaccettabile pensare che l'Italia abbia il maggior numero in Europa di giovani "Neet", con più del 20% di 15-29enni che non studia, non lavora e non si forma, composti per un 21,9% di laureati e per un altro 20,2% di diplomati. Per questo è necessario pensare a migliorare non solo la quantità di spesa in istruzione, ma anche quella in ricerca&sviluppo per non dare spago all'ormai cronica fuga di cervelli italiani, che vanno ad ingrassare altri Stati a spese nostre, ed operare di concerto insieme alle imprese perché la professionalità accumulata durante gli studi sia poi effettivamente valorizzata nella carriera lavorativa dello studente - e non gettata al vento o sottosfruttata - dando al Paese la spinta tecnologica di cui ha bisogno.

Osservando da vicino la classifica Ocse 2009 (grafico in basso) per gli investimenti in conoscenza, forse non è solo un caso che, uno dopo l'altro, figurino in fondo alla classifica i cosiddetti Paesi PI(I)GS, comprendenti l'Italia. Un intervento migliorativo in tal senso non può essere ritenuto accessorio, procrastinato all'infinito in attesa di vacche grasse, ma diventare chiave di volta per il rilancio del Paese.

 

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