[09/08/2011] News

Corno d'Africa: la carestia era stata prevista un anno fa, ma ...

Avevamo previsto la carestia nel Corno d'Africa un anno fa, con largo anticipo. Ma nessuno è intervenuto, neppure quando le previsioni si stavano puntualmente avverando. Le accuse che Chris Funk, in forza al Climate hazard group del geography department della university of California di Santa Barbara, affida alla pagine della rivista scientifica Nature sono tanto dure quanto articolate.

Chris Funk fa parte del Famine early warning systems network (FEWS NET), la rete cui l'Agency for international development degli Stati Uniti affida il pronto allerta in fatto di carestie. Il gruppo di ricercatori, racconta Funk, ha drizzato le orecchie quando, la scorsa estate, i climatologi hanno previsto per i mesi a seguire l'arrivo di La Niña. Si sa che l'evento climatico che investe ciclicamente il Pacifico ha un'influenza globale e che, in genere, causa un periodo autunnale di siccità nel Corno d'Africa.

Il FEWS NET sa anche, per averlo più volte sperimentato sul campo, che un periodo di scarse piogge accompagnato da una contingenza economica con forte rialzo dei prezzi delle derrate agricole determina una forte erosione nella capacità del sistema agricolo di quelle zone di assorbire la siccità. Insomma, facilmente la siccità si trasforma in carestia.

Inoltre, Funk e i suoi colleghi hanno appreso, dalle misure dei climatologi, che la temperatura delle acque dell'Oceano Indiano sta aumentando a causa, appunto, dei cambiamenti climatici. Che un certo rialzo era previsto per la primavera. E che l'alta temperatura dell'Oceano Indiano avrebbe prodotto siccità in tutta l'Africa Orientale per l'intera primavera.

Sulla base di queste tre considerazioni la previsione era scontata: di lì a un anno il Corno d'Africa sarebbe andato incontro a un periodo di terribile carestia.

Il FEWS NET, sostiene Funk, lo ha detto e scritto. Ma è evidente che nessuno lo ha ascoltato.

Perché? Il motivo indicato dal ricercatore americano è preciso. I modelli di previsione dei cambiamenti climatici presi in esami dall'IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change) non hanno come obiettivo lo studio del cambiamento del regime delle piogge. E quindi, su questo fronte, è impreciso. In particolare i modelli prevedono che l'Africa orientale diventi più umida, mentre da molti anni le piogge primaverili stanno diminuendo. Cosicché le agenzie delle Nazioni Unite e altri che operano nel Corno d'Africa si sono attrezzate per un futuro umido mentre è arrivata la siccità.

Da questa analisi, se esatta, discendono due conseguenze pratiche. Da un lato occorre costruire un sistema che studi gli effetti dei cambiamenti climatici in Africa, proprio come ne abbiamo uno (basato in Italia) per l'area del Mediterraneo. Il secondo è che non solo la comunità internazionale, anche attraverso la rete delle Agenzie delle Nazioni Unite, si doti di un sistema di "pronto intervento" per combattere le carestie e le altre emergenze ambientali in grado di ascoltare e reagire al "pronto allarme" dei gruppi scientifici come il FEWS NET che già esistono. Altrimenti l'"enorme coscienza" che abbiamo diventa un'aggravante e si trasforma in "enorme impotenza".

 

Torna all'archivio