[13/09/2011] News

La pesca in acque profonde è insostenibile ed anche i sussidi pubblici

Alla vigilia della decisione dell'Onu di permettere o meno la continuazione della pesca in acque profonde in acque internazionali, in quelle che le Nazioni Unite chiamano "alto mare", Marine Policy pubblica lo studio "Sustainability of deep-sea fisheries" che lascia pochi dubbi sulla insostenibilità di questo tipo di pesca.

Un team internazionale di ricercatori statunitensi, canadesi, britannici, tedeschi, portoghesi, spagnoli e svizzeri, formato da ecologisti marini, biologi della pesca, economisti, esperti di politica internazionale e matematici, è convinto che «Le acque profonde, il più grande ecosistema del pianeta, sono nei guai», ed evidenzia «La necessità di fermare la pesca commerciale in queste acque e di concentrarsi invece sulle acque produttive».

Secondo i ricercatori «Le profondità fredde del mare non sono una buona nicchia per le creature marine. La luce solare che innesca la fotosintesi non si verifica a queste profondità e, ad aggravare il problema, c'è anche il fatto che il cibo è scarso e i processi vitali avvengono a un ritmo lento se confrontato con quel che avviene nelle acque di superficie. Anche se alcuni pesci a queste profondità possono vivere per oltre 100 anni e alcuni coralli possono vivere per 4.000 anni, le creature che si sono adattate a vivere in queste acque non riescono a riprodursi in un orizzonte temporale umano».

Ad aggravare ancora di più i problemi di questi delicatissimi ed in gran parte sconosciuti ecosistemi sono arrivate le nuove tecnologie della pesca industriale che li stanno letteralmente devastando, senza tener conto del lento equilibrio che l'evoluzione ha creato nelle profondità degli oceani.
Elliott Norse, direttore del Marine conservation institute Usa, spiega chiaramente un problema enorme in poche parole: «Le acque profonde sono il posto peggiore del mondo dove catturare pesci. I pesci che vivono nelle acque profonde sono particolarmente vulnerabili poiché non sono in grado di riprodursi velocemente dopo essere stati sottoposti a una pesca eccessiva. La pesca in acque profonde può essere sostenibile solo dove la popolazione ittica cresce rapidamente e la pesca viene condotta su piccola scala e usando strumenti che non distruggono l'habitat dei pesci. Con pesci che crescono lentamente, c'è un incentivo economico a ucciderli tutti e poi a reinvestire il denaro altrove per ottenere un più alto ritorno degli investimenti. Eliminare la vita nelle acque profonde, in un luogo dopo l'altro, non è un bene per i nostri oceani o per le nostre economie. Questi cicli, con una forte espansione seguita da una forte contrazione, ricordano più l'industria mineraria che non la pesca».

Secondo la ricerca «Il mare profondo fornisce meno dell'1% dei frutti di mare del mondo. Ma lì la pesca è soprattutto pesca a strascico, che causa danni gravi e permanenti gravi ai pesci e alla vita sul fondo del mare, come i coralli di alto mare». Dagli anni '70, quando la pesca costiera era stata sfruttata in eccesso, le flotte da pesca commerciale si sono spinte sempre più al largo e sempre in profondità nei mari ed ora i pesci si pescano anche a più di un miglio di profondità.

Uno dei principali autori dello studio, Selina Heppell, esperta di ecologia marina e pesca dell'Oregon State University, spiega: «Poiché questi pesci crescono lentamente e vivono a lungo, possono sopportare solo un ritmo di pesca molto basso, In alto mare è impossibile controllare o persino monitorare il volume della pesca che si sta verificando. Gli effetti sulle popolazioni locali possono essere devastanti».

Alcuni dei pesci più colpiti dalla pesca in acque profonde sono gli squali, il pesce specchio atlantico, i pesci topo e la molva blu. Il caso forse esemplare è il pesce specchio atlantico, che ha bisogno di circa 30 anni per raggiungere la maturità sessuale e può vivere fino a 125 anni, rispetto alla maggior parte dei pesci costieri, vivono al rallentatore ma, purtroppo per loro le acque profonde e i coralli tra i quali vivono non possono più nasconderli alla pesca industriale.

«Cinquanta anni fa nessuno mangiava il pesce specchio atlantico - sottolinea Daniel Pauly, un biologo della pesca dell'università canadese della British Columbia - In effetti, un tempo veniva chiamato "slimehead", per indicare che nessuno avrebbe mai pensato di mangiarlo. Ma, dato che abbiamo pescato in modo eccessivo le specie costiere, la situazione è cambiata e così è stato fatto anche il suo nome».

Malcolm Clark, del National institute of water and atmospheric research neozelandese, spiega che «La pesca del pesce specchio atlantico è iniziata in Nuova Zelanda ed è aumentata rapidamente negli anni '80 e '90 del secolo scorso. Tuttavia, la maggior parte degli stock sono stati sfruttati eccessivamente e i livelli di cattura o si sono ridotti in modo drammatico o la pesca è stata vietata del tutto. Lo stesso schema è stato ripetuto in Australia, Namibia, Oceano Indiano sudoccidentale, Cile e Irlanda. Questo dimostra quanto possano essere vulnerabili le specie ittiche che vivono in acque profonde alla pesca eccessiva e al possibile collasso degli stock».

In tutto il mondo ci sono pochissime eccezioni all'insostenibilità della pesca in acque profonde. Una è la pesca al pesce sciabola nero (Aphanopus carbo) nelle Azzorre: il governo portoghese ha vietato la pesca a strascico e questo pesce viene pescato solo con gli ami e dai piccoli pescatori locali. Ma la maggior parte della pesca in profondità avviene a strascico al di fuori delle 200 miglia delle Zone economiche esclusive nazionali, quindi senza la possibilità di un controllo efficace da parte dei governi.
Norse sottolinea che «La pesca in acque profonde può essere sostenibile solo se la popolazione di pesce cresce rapidamente e la pesca è di piccole dimensioni e utilizza attrezzi che non distruggono l'habitat dei pesci».

Alla pesca eccessiva in acque profonde si aggiunge la pesca illegale e le sovvenzioni che diversi Paesi danno a questa attività insostenibile.
Rashid Sumaila, un economista della pesca dell'università della British Columbia spiega che «I pescherecci a strascico di alto mare ricevono circa 162 milioni dollari ogni anno in elargizioni governative, che ammontano al 25% del valore delle catture della flotta.

Secondo gli autori dello studio pubblicato su Marine Policy «La migliore politica sarebbe quella di porre fine ai sussidi alla pesca in acque profonde, economicamente dispendiosi, e reindirizzare i sussidi per aiutare i pescatori sfollati e ricostruire le popolazioni ittiche nelle acque produttive più vicine ai porti ed ai mercati, luoghi di gran lunga più favorevoli alla pesca sostenibile».

«Invece dell'overfishing nel più grande ma più vulnerabile ecosistema della terra, le nazioni dovrebbero recuperare le popolazioni ittiche e la pesca nelle acque costiere più produttive - conclude Norse - Quasi ovunque guardiamo, i pesci di alto mare sono in guai seri. I governi non dovrebbero sprecare il denaro dei contribuenti mantenendo a galla la pesca insostenibile».

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