[09/12/2011] News

Land grabbing, la Cina respinge le accuse di saccheggio delle terre in Africa

Sudafrica: «una nuova forma di colonizzazione»

A Durban il ministro sudafricano dell'agricoltura, Tina Joemat-Pettersson, ha duramente attaccato «i paesi stranieri che acquistano terre agricole in Africa per assicurarsi il loro approvvigionamento di cibo, sono colpevoli di una nuova forma di colonizzazione. Scoprirete che se un altro Paese, o un governo di un altro continente, acquista la terra, se il terreno ospita una foresta la distruggeranno e produrranno alimenti per loro».

Intervenendo il 7 dicembre  ad un meeting sulle foreste della Cop17 Unfccc di Durban, la Joemat-Pettersson ha detto: «una nuova  forma di colonizzazione sta avvenendo in Africa. Molte persone non amano che diciamo questo».

All'Afp il ministro sudafricano ha fatto l'esempio del neonato Stato del Sud Sudan: «circa il 40% delle terre sono già state vendute ad interessi stranieri. Portano la loro manodopera, portano il proprio materiale, le loro sementi, utilizzano il suolo del Paese ospite e dopo se ne vanno».

La Joemat-Pettersson non ha fatto i nomi dei Paesi che praticano il land grabbing, ma il Sudafrica ha avviato un'iniziativa con l'Unione africana perché tutti i Paesi stabiliscano un registro di gestione delle terre: «il registro ci permetterà di vedere quale proporzione di terre agricole o di foreste è stata venduta a gente di un altro Paese e quale sia l'impatto sul Paese ospite».

Nel 2009 un rapporto Fao e di due Ong valutava in 2,5 milioni di ettari le terre agricole acquistate o affittate dal 2004 in cinque Paesi africani esaminati: Cina, India, Corea del sud, i Paesi arabi del Golfo e le società occidentali risultavano quelli più implicati nell'accaparramento delle terre, per produrre cibo e biocarburanti.

La Cina è accusata di land grabbing perché deve far fronte alla crescente urbanizzazione ed inquinamento industriale ed all'impoverimento dei suoli. Con i suoi 1,4 miliardi di abitanti la sicurezza alimentare sta diventando un incubo per il governo comunista di Pechino, da qui l'interesse a coltivare altrove il cibo di cui ha bisogno. Già oggi il 60% dello'olio di soia cinese è prodotto all'estero da imprese cinesi al 100% come il gigante Cosco.

Per questo a Durban la Cina è passata al contrattacco. Il portavoce del ministero degli esteri cinese, Hong Lei, ha convocato una conferenza stampa  per respingere le accuse di accaparramento delle terre in Africa chiedendo di «fare piuttosto degli sforzi concreti per aiutare lo sviluppo agricolo sul continente africano in maniera sostenibile. La Cina cerca sempre l'autosufficienza alimentare grazie alla sua produzione interna. Piuttosto che appropriarsi delle terre in Africa, la Cina ha apportato tutta l'assistenza tecnica possibile al fine di aiutare a sviluppare l'agricoltura ed a rafforzare la capacità del continente di utilizzare le sue risorse naturali e far fronte a degli impegni quali il cambiamento climatico e la sicurezza alimentare. Questi sforzi sono ben accolti dalle nazioni africane».

Hong Lei ha rigettato (senza citare il Sudafrica) le accuse di neocolonialismo cinese: «in effetti, il neocolonialismo esiste in Africa, ma assolutamente non a causa della Cina. I Paesi africani hanno raggiunto un vasto consenso a proposito di questa questione». Ha poi citato il presidente sudafricano Jacob Zuma, «che ha qualificato come "menzognere" le accuse di neocolonialismo in Africa contro la Cina. Come partner strategico importante, la Cina ha apportato un grande contributo allo sviluppo economico ed al miglioramento delle condizioni di vita degli abitanti in Sudafrica». Poi ha ricordato «la cooperazione su piccola scala tra le imprese cinesi ed i loro partner africani, attraverso i modelli di commercio correnti nel mondo, e che vendono le loro produzioni per rispondere alla domanda locale. Quest'anno, la Cina ha fatto dono di 443,2 miliardi di yuan (70 milioni di dollari) in cereali ed in fondi ai Paesi del Corno d'Africa che soffrono la fame, cioè il dono più importante fatto dalla Cina dal 1949. L' Africa è vittima del neocolonialismo agricolo. È un obbligo comune per la comunità internazionale promuovere lo sviluppo del settore agricolo in Africa». Hong Lei ha concluso con la solita tecnica cinese di spostare il problema altrove: ha chiesto ai Paesi «che possiedono vaste terre di ascoltare la voce dell'Africa e di prendere delle misure concrete per contribuire alla sicurezza alimentare a lungo termine sul continente africano».

 

Ma questa immagine da disinteressato Babbo Natale dell'Africa che i cinesi vogliono dare stride non solo con quanto quotidianamente avviene nel continente con le attività delle sempre più aggressive e spregiudicate imprese cinesi, ma anche con quanto dicono diversi rapporti di Organizzazioni non governative e della stessa Onu.

Il recente rapporto "Comprendre les investissements fonciers en Afrique - Rapport Mali"  dell'Oakland  Institut denuncia l'accaparramento delle terre agricole nel poverissimo e desertico Mali, dove attualmente il land grabbing riguarda 500.000 ettari (ha). Lo studio prende in esame quattro operazioni che violano i principi della Banca Mondiale sugli investimenti agricoli responsabili. Malibya (filiale dei fondi sovrani della Libia Libye): 100.000 ha, riso ibrido e sviluppo di infrastrutture (canale/strada); Moulin moderne du Mali (Mali): 20.000 ha, grano e sviluppo di infrastrutture (canale/strada); Hui coma/Tomota (Mali): 100.000 ha, obiettivo dichiarato «produzione di  olio alimentare», ma prevede di coltivare la jatropa; Petrotech-Afn Agro Mali (filiale di Petrotech-ffn Usa): 10.000 ha, colture oleaginose/jatropa, mais ancora alla ricerca di finanziamenti (alla fine del 2010).

Ma, scorrendo la lista dell'accaparramento delle terre in Mali tra i 16 investitori stranieri, ci si imbatte anche nei cinesi (oltre che in sudafricani, canadesi, francesi, inglesi, sauditi ed africani). In Mali la Chine Light Industrial Corporation detiene il 60% del  progetto N'Sukula (40% il governo del Mali): un accordo che prevede la concessione di 18.300 ha da parte dell' l'Office du Niger (On), un vero e proprio Stato nello Stato. L'accordo stipulato nel 2009 con i cinesi prevede che 13.000 ettari siano attribuiti immediatamente, 7.000 in 3 anni; 50 anni di concessione (rinnovabili); 857 ha ceduti alla  Cletc  a titolo di 1,5 miliardi di franchi Cfa (3 milioni di dollari); 19.143 ha in affitto a lungo termine per 382.747.500 F Cfa  (772.778 $), per 50 anni, cioè un total di 19.137.375.000 F Cfa (38.638920 $), ma il governo concede anche terre ad un prezzo fisso per 50 anni a 2,038 miliardi di  F Cfa (41.147.810 $).  

Secondo il rapporto «gli investitori stranieri costituiscono la maggioranza dei grandi investitori agricoli in Mali. La zona controllata dagli interessi stranieri è aumentata di due terzi tra il 2009 ed il 2010. Alla fine dell'anno scorso, almeno 544.567 ha di terre fertile erano state affittate o erano oggetto di negoziato in Mali, secondo i documenti ufficiali. La cifra raggiunge gli 819.567 ha tenendo conto dei piani di espansione ufficiali». Più del 40% degli investimenti stranieri riguardano gli agro-carburanti, mentre il 60% che produce cibo non ha, a termini di contratto, l'obbligo di mettere la produzione sul mercato del Mali. Il tutto malgrado la disponibilità di terre arabili e la carestia che si sta nuovamente trasformando in fame proprio in questi giorni. Il rapporto sottolinea che le popolazioni locali subiscono  senza possibilità di concertazione o compensazione o mezzi per contestare queste operazioni di cessione delle loro terre e segnala «abusi violenti e flagranti dei diritti umani ed attacchi alle popolazioni di piccoli agricoltori».

La Cina sta pensando di comprare terre anche in Europa: la municipalità di Tianjin ha firmato un contratto da 10 milioni di euro con la Bulgaria per coltivare mais, girasoli e foraggio su 2.000 ha nel territorio di Boynitsa, nella regione di Vidin, vicino alla frontiera con la Serbia. Altri 20 milioni di euro dovrebbero essere investiti dai cinesi per allevare bovini.

La Bulgaria, che beneficia delle sovvenzioni della Politica agricola comune (Pac) è diventata l'eldorado degli investitori agricoli europei (soprattutto francesi) e per attirarli dal 2007 ha aumentato del 24% le sue aree coltivabili, senza tener conto delle ricadute ambientali. A novembre il ministro bulgaro dell'agricoltura si è opposto alla nuova Pac che prevede aiuti Ue solo se nel Paese almeno il 30% della produzione agricola sarà bio. Ma i cinesi sono pronti comunque a piantare i loro semi nell'Ue, anche se l'accordo con la Bulgaria non precisa se verrà utilizzata manodopera locale o cinese e se potranno essere utilizzati Ogm e concimi di tipo europeo, quasi sconosciuti sul mercato cinese.

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