[09/01/2012] News

Forse possiamo vivere di debito pubblico, ma non di debito ecologico

Di fronte all'aumento della popolazione mondiale e alle conseguenti sempre più scarse risorse del pianeta, conflitto che dovrebbe interessare il 100% dei governi mondiali visto che si parla della sopravvivenza dell'uomo sulla terra, il noto giornalista e scrittore Moisés Naím sull'Espresso arriva a una conclusione che purtroppo anche noi da tempo facciamo: «Nel passato, l'umanità ha trovato soluzioni per problemi senza precedenti. Non bisogna supporre che non ci riuscirà ancora una volta, ma prima di trovarle occorre avere la volontà di cercarle». Ecco dunque ancora una volta il nodo dei nodi: la volontà politica, che ahinoi manca.

Tra i pochissimi meriti della crisi, uno è stato quello di evidenziare al massimo la situazione reale in cui versa il genere umano, ma come dimostrato da Durban la montagna continua a partorire il topolino. Oggi la discussione verte sul debito. Sulla "necessità" addirittura del debito per far tornare in marcia l'economia. Il premio Nobel Krugman ha spiegato con una similitudine azzeccata e a lui molto cara che bisogna spendere per salvarsi, altrimenti si fa come i medici medievali che «salassavano i loro pazienti e quando il salasso faceva peggiorare le loro condizioni li salassavano di nuovo».

Dunque rigore sui conti è una cosa, ma guai a usare solo questa leva perché se al paziente si toglie troppo sangue, le conseguenti sono notoriamente mortali. Sul tema si sono spesi un po' tutti gli analisti, da Paolo Leon a Valentino Parlato, ma se anche in questo contesto si può essere d'accordo, nessuno pone la questione che se anche si può (e dentro al paradigma attuale) si deve spendere e vivere a debito (soprattutto pubblico) per sopravvivere, non si può vivere a debito ecologico. Come si può fare di più con meno è il tema che i governi dovrebbero affrontare soprattutto in una fase di austerity.

Quando, sempre con un esempio storico, Forquet sul Sole24Ore sostiene che per uscire dalla crisi bisogna tener presente che cosa fu fatto per spegnere il grande incendio di Londra: non un secchio di acqua in ogni casa ma nuove fondamenta di pietre e mattoni al posto del legno, si apre per noi la discussione sul fatto che queste fondamenta debbono essere quelle dell'economia ecologica.

Che non è solo tecnologia; ma è anche cultura della sostenibilità. Non è energia rinnovabile incentivata per essere un driver dell'economia e quando non lo sarà più si pensa ad altro. Questo serve solo per gonfiare una bolla verde che potrebbe anche aiutare, tuttavia finendo presto o tardi con un'esplosione.

L'Italia, ritrovata la credibilità europea, può sfruttare questa occasione per dire la sua e porre il tema in questo vecchissimo continente che sembra incapace totalmente di mettersi in discussione. La riforma dei trattati Ue, se andrà verso un'attenuazione degli obblighi di riduzione del debito proprio come richiesto dal governo Monti, dovrebbe dare un po' di respiro per poter elaborare un modello "cresci-Italia" che diventi "cresci-Europa" ma fondato con mattoni e pietre che almeno a parole i ministri di questo governo  (Clini su tutti vedi Sole24Ore con proposta per Pmi) sembrano aver chiari.

La nostra industria può ripartire dal risparmio energetico; dalla riduzione degli sprechi; dal riutilizzo e dal riciclo dei materiali; dallo sviluppo di un'edilizia sostenibile di ristrutturazione dell'esistente; dalla ricerca; dalla letteratura, perché anche di questa c'è bisogno. Non un pensiero unico, sia chiaro, ma un comune denominatore che permette un orizzonte globale verso cui tendere.

La crisi attuale con tutta la sua forza distruttiva ancora non è una crisi ecologica. O meglio: non è la crisi ecologica ad aver generato questa crisi ed è una vera fortuna. Perché quando questo accadrà, e se si continua così i tempi sono stretti, non ci sono "banche di ultima istanza" ecologiche pronte a fornire risorse naturale a "tassi scontati".

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