[12/01/2012] News

Terre rare, crociate energetiche e la geopolitica del futuro

Alexandre Latsa, un giornalista francese che vive in Russia, dove collabora con l'Istituto di relazioni internazionali e strategiche (Iris) ed anima il sito "Dissonance" che ha l'obiettivo di presentare un "Altro sguardo sulla Russia", scrive su Ria Novosti che «Per i Paesi che non hanno risorse minerarie, l'approvvigionamento energetico è vitale. Dopo il carbone nel XIX secolo, il petrolio e il gas sono diventati nel XX secolo gli obiettivi strategici più importanti per i Paesi industriali che devono importare. Questo commercio internazionale dell'energia è così importante che può essere un pretesto per delle operazioni militari».

Latsa si riferisce chiaramente ad "altri" Paesi, non certo alla Russia che ha petrolio e gas in abbondanza. Infatti spiega che «Le recenti crociate dell'Iraq o della Libia ne sono una perfetta dimostrazione. L'intensità di questa battaglia per l'energia dovrebbe crescere perché, nonostante la crisi finanziaria, c'è una crescita economica mondiale ed i bisogni di energia dei Paesi emergenti o in via di sviluppo continuano ad aumentare».

Ma all'esperto franco-russo preme soprattutto sottolineare un altro problema troppo spesso dimenticato: quello delle "nuove" materie prime, diverse dai "vecchi" prodotti energetici (carbone, petrolio, gas ed uranio), «Le industrie consumano anche un gran numero di minerali indispensabili. Tra questi minerali le " terre rare" sono divenute un impegno strategico vitale, la cui importanza dovrebbe considerevolmente crescere negli anni a venire, soprattutto nel settore delle nuove tecnologie della "crescita verde"».

Latsa fa notare che, nonostante il nome, il gruppo dei 17 elementi chimici che fanno parte delle "terre rare" sono abbastanza sparsi in tutta la crosta terreste, «Ma il problema è quello di trovare dei giacimenti con una concentrazione sufficiente per essere sfruttati». E' questa scarsità di terre rare che rende incerto e probabilmente caro il futuro della green economy e dell'elettronica di consumo che ha invaso le otre case e le nostre vite, ma anche tecnologia delle energie rinnovabili.

Latsa però fa emergere un altro aspetto troppo spesso nascosto all'opinione pubblica ma più che noto ai governi: «Le terre rare sono anche utilizzate nel settore della difesa, soprattutto nella costruzione dio missili guidati e di radar. Il loro utilizzo si è quindi considerevolmente accresciuto dalla fine del XX secolo ed hanno quindi un'importanza geostrategica di primordine, diventando una inaggirabile leva politica».

Fino agli anni '50 la maggioranza delle terre rare veniva da Brasile ed India, poi è stato il Sudafrica razzista (e teoricamente sotto embargo) a fare la parte del leone fino agli anni '80, quando gli Usa presero per un breve periodo la vetta di questo mercato. La svolta è avvenuta negli anni 2000, quando la Cina della globalizzazione ha fatto calare i prezzi ed è praticamente diventata il monopolista delle terre rare, con fino al 95% della produzione mondiale. Questo ha permesso ai cinesi, come nel caso della crisi diplomatica con il Giappone del 2010 per rivendicazioni territoriali su un pugno di isole sperdute, di bloccare le forniture di terre rare, spaventando a morte le industrie occidentali ed asiatiche.

Ma il monopolio cinese potrebbe avere vita breve: nel 2010 Pechino ha prodotto 120.000 delle 125.000 tonnellate di terre rare di tutto il mondo, ma la Russia è ormai seconda: ha prodotto 2.000 tonnellate di terre rare, davanti ad Usa (1.700 t.), Brasile (650 t.), Malaysia (380 t.) ed India (75 t.).

Latsa sottolinea che i cinesi potrebbero avere più problemi di quanto sembri: «Più della metà della produzione cinese viene dal sito di Bayan Obo, in Mongolia Interna, e il 35% dalla provincia del Sichuan. E' interessante sapere che più della metà della produzione cinese è consumata dalla Cina e che, nel 2009, il 50% delle sue esortazioni sono andate al Giappone, il 19%, agli Usa ed il 15% verso i Paesi industriali dell'Unione europea (principalmente Francia, Germania, Italia ed Olanda)».

Le riserve mondiali di terre rare nel 2010 erano stimate in 110 milioni di tonnellate: il 50% in Cina, seguita con il 17% dalla Comunità degli Stati Indipendenti (Csi: Russia, Paesi dell'Asia centrale ex Sovietica, Bielorussia, Moldova e Armenia), dagli Usa con il 12%, dall'India (2,8%) e dall'Australia (1,9%).

L'egemonia cinese preoccupa molto perché Pechino, per garantire la sua crescita, ha imposto delle quote sulle esportazioni di terre rare e nel 2011 ha ridotto la produzione del 10% per problemi ambientali. Nemmeno la condanna della Cina da parte dell'Organizzazione mondiale del commercio, in seguito ad una denuncia presentata nel 2011 da Ue, Usa e Messico sembra aver convinto i cinesi a mettere fine alle quote che hanno provocato un aumento dei prezzi delle terre rare. «inoltre - evidenzia Latsa - la domanda mondiale aumenta ogni anno e nel 2015 il consumo totale dovrebbe raggiungere le 185.000 tonnellate, cioè il 50% in più che nel 2010, mettendo così il mercato delle terre rare sotto pressione».

I Paesi consumatori si trovano quindi nell'impellente necessità di assicurarsi gli approvvigionamenti di terre rare e di provare a limitare l'impatto della loro rarefazione a livello mondiale. Secondo l'esperto franco-russo esistono tre mezzi: «Ridurre il loro utilizzo; diversificare le fonti di approvvigionamento (fuori dalla Cina) o riciclare questi minerali. La riduzione del consumo sembra quasi impossibile ed il riciclaggio non permetterà di far fronte alla domanda crescente di terre rare, almeno a breve e medio termine. La sola soluzione è dunque nella riapertura delle miniere abbandonate e nella ricerca di terre rare al di fuori della Cina».

Le aree che sembrerebbero più appetibili sono il giacimento di Mountain Pass, negli Usa, dove la produzione è stata fermata nel 2002 e che secondo gli esperti potrebbe ritornare a produrre fino a 20.000 tonnellate all'anno a partire dal 2012; il giacimento di Mount Weld, in Australia, che potrebbe produrre 22.000 tonnellate/anno dal 2012; il giacimento di Lofdal, in Namibia, che sta esplorando una società canadese; il giacimento di Hoidas Lake, in Canada, dove si stanno facendo prospezioni. Il Giappone, dopo la lezione cinese, sta realizzando o joint venture in diversi Paesi per esplorare alcuni giacimenti: la Sumitomo con Kazatomprom, in Kazakistan, la Toyota in Vietnam e la Mitsubishi a Pitinga, in Brasile.

Ma la bilancia che pende dalla parte dei cinesi potrebbe subire forti oscillazioni, insieme all'equilibrio geo-strategico del pianeta: sono stati scoperti numerosi giacimenti di terre rare. Il Brasile ha annunciato da poco di aver trovato immense riserve di terre rare e che le sfrutterà. In Argentina sono stati triovasti diversi piccoli giacimenti. Il Giappone ha trovato enormi quantità di terre rare nei fondali tra i 3.550 r i 6.000 metri dell'Oceano, in una superficie che sarebbe di migliaia di km2.

Ma a Latsa interessa soprattutto la Russia che attualmente è il secondo fornitore mondiale di terre rare ed ha il 20% delle riserve mondiali conosciute: «Questa stima potrebbe essere rivista al rialzo in maniera abbastanza forte dopo le ultime scoperte nella regione di Murmansk o nella penisola di Kola. La caccia alle sostanze strategiche non si limita alle terre rare. Nelle isole Curili (rivendicate dal Giappone, ndr) è stato scoperto un giacimento di renio. Questo metallo rarissimo è utilizzato in diversi settori della chimica. Il giacimento delle Curili potrebbe produrre più di 26 tonnellate all'anno, mentre la domanda mondiale di renio raggiunge solo le 30 tonnellate all'anno. Le isole Curili sono anche ricche di altri elementi rari: germanio, indio, afnio. Ma per il momento nessuno parla di una loro prospezione perché, secondo la legge, in Russia questi giacimenti sono dichiarati strategici, vale a dire che la loro prospezione è limitata ed inquadrata. D'altronde, è di buon augurio per rafforzare il posto della Russia come fornitore di terre rare o di metalli rari destinati ai Paesi importatori».

La guerra per le risorse, a cominciare da quelle più rare, sembra appena cominciata e potrebbe cambiare il mondo, terremotando l'instabile equilibrio geo-politico dei combustibili fossili con un ancora più cangiante futuro dei materiali rari che saranno necessari per cambiare e sostenere l'economia del futuro.

Resta da vedere quanta sostenibilità, ambientale, sociale e politica, ci sarà in questa rivoluzione tecnologica che sembra saldamente nelle mani di governi non proprio democratici e di multinazionali potenti come Stati, e che annuncia una new economy che si basa su risorse tanto rare e difficilmente accessibili, mentre quelle tradizionali della old economy si impoveriscono sempre di più.

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