[01/03/2012] News

L’Africa e la crisi idrica, tra satelliti, pastori, carenze gestionali e profughi climatici

Il Sudafrica ha stanziato 75 miliardi di rand (circa 9,8 miliardi di dollari) per evitare la crisi idrica che si prospetta per i prossimi tre anni. Secondo lo studio del bilancio 2012 del ministero delle finanze, senza una migliore gestione dei servizi idrici, in  Sudafrica comincerà a mancare l'acqua entro 13 anni. Presentando il rapporto la settimana scorsa, Il ministro delle finanze, Pravin Gordhan, ha evidenziato che «secondo le proiezioni attuali, la  richiesta di acqua in Sudafrica supererà l'offerta disponibile tra il 2025 e il 2030»,

Il ministro per l'acqua, Edna Molewa, ha spiegato che «il denaro sarà utilizzato per le infrastrutture idriche, la gestione della qualità, la pianificazione delle risorse ed il sostegno ai governi locali. Il governo prenderà le seguenti misure per regolamentare il problema dell'acqua: costruzione della seconda fase del Lesotho highlands water project, che si prevede fornisca 151 milioni di m3 supplementari di acqua al Vaal River system nel 2020; lo sviluppo delle acque sotterranee, così come degli impianti costieri di dissalamento, anche se l'acqua fornita da quest'ultimi sarebbe costosa; il "riallineamento" dei prezzi dell'acqua in virtù di un progetto di esame del programma delle tariffe stabilito dal ministero degli affari idrici; dei piani miranti a risolvere il problema delle fughe nei sistemi di approvvigionamento idrici, in virtù delle quali, in alcune regioni, fino al 41% dell'acqua fornita và perduta prima che arrivi agli utilizzatori».

Dopo l'Australia, l'Africa è il continente più secco del mondo, con il 9% delle risorse idriche rinnovabili del pianeta e il 15% della popolazione mondiale (e in rapida crescita), cosa della quale si è discusso al terzo symposium international sur la gestion de l'eau en Afrique et l'utilisation des technologies satellitaires, che si è concluso ieri a Libreville, la capitale del Gabon, organizzato dall'Unesco, dal Group on earth observation (Geo) che riunisce le agenzie spaziali di numerosi Paesi, in collaborazione con l'università di Tokyo e l'Agence gabonaise d'etudes et d'observations spaziale.  Mohammed Bachiri, rappresentante dell'Unesco in Gabon, ha spiegato che l'incontro è servito a comprendere meglio «l'utilizzo delle immagini satellitari al servizio della gestione delle risorse idriche, la depurazione, la distribuzione e la loro ripartizione in Africa».

Per il ministro delle risorse idriche del Gabon, Régis Immongault, l'incontro di Libreville «segna l'impegno del Gabon a fare delle immagini satellitari uno strumento al servizio dello sviluppo del Paese». Secondo Charles Ngangoué, rappresentante del Consiglio dei ministri africani responsabili del settore idrico, «questo incontro segna l'agenda africana dell'acqua 2012 e costituisce un'occasione per riflettere sul ciclo dell'acqua in Africa, al fine di arrivare a delle conclusioni che permetteranno di migliorare la gestione di questa risorsa vitale e sensibile per tutta la vita. Il rafforzamento del dialogo sulla politica idrica è un'attività molto importante perché rappresenta sia una sfida per l'azione collettiva sia un'opportunità per il riavvicinamento della gestione delle risorse al fine di facilitare l'integrazione regionale».

Al convegno hanno partecipato anche le agenzie spaziali di Sudafrica, Ghana e Giappone e le amministrazioni che gestiscono i bacini idrici di Nilo, lago Ciad, fiume Senegal, Niger e Volta. In Africa le risorse idriche sono ripartite in modo ineguale, con sub-regioni e Paesi dove l'acqua è estremamente rara, costituendo così una delle principali cause dell'insicurezza alimentare e della fame. Dal convegno è emerso che «l'insufficiente valorizzazione delle risorse idriche, il degrado della qualità dell'acqua, l'inadeguatezza dei servizi di gestione e l'insufficienza delle competenze e delle conoscenze fanno della questione dell'acqua un grande  impegno  politico, sociale ed economico per l'Africa. Di fronte a queste numerose sfide, i Paesi africani, in partnership con organizzazioni internazionali quali Geo, hanno compreso che bisogna pensare a soluzioni globali, utilizzando le tecnologie spaziali»

Chissà se queste tecnologie serviranno anche ad affrontare la tragedia in corso nel Corno d'Africa,  che secondo il Programma Onu per l'ambiente (Unep) esige una «politica di apertura delle frontiere» se si vuole davvero gestire in maniera efficace il problema dell'espulsione forzata dei pastori, che fuggono dagli effetti del cambiamento climatico.

In un'intervista concessa all'agenzia cinese Xinhua, Peter Gilruth, direttore dalla Divisione allarme precoce e valutazione dell'Unep, dice che «migliorare la circolazione transfrontaliera degli allevatori e del loro bestiame sarebbe il modo più efficace di trattare la questione dei "rifugiati climatici", rispetto al limitare i loro movimenti. I governi della regione devono trovare delle soluzioni. La vita è già difficile e sarà ancora più difficile se riduciamo la mobilità delle popolazioni».

Gilruth, che fa parte di un team di 22 scienziati che ha definito la crisi alimentare (ed idrica) nel Corno d'Africa come «la terza più grande sfida ambientale al mondo», ha detto che «anche una gestione efficace dei viveri e del bestiame è di un'importanza vitale. Pensare di impedire alle popolazioni di spostarsi per accedere alle risorse porterebbe con tutta evidenza a creare più problemi».

Mentra in Gabon si discuteva di satelliti l'Unep sottolineava che la siccità nel nord del Kenya, in Etiopia, in Somalia ed a Gibuti sta provocando migrazioni transfrontaliere bibliche dovute ad una catastrofe naturale ed alla mancanza d'acqua, ma «la fame e la denutrizione che l'accompagnano sono di origine umana».

Gilruth conclude: «i pastori devono cambiare le loro abitudini di vita ed imparare a vendere il loro bestiame. Devono anche imparare a vendere le loro eccedenze agricole quando la produzione è buona. Questa pratica non fa parte della loro cultura, ma può rappresentare una soluzione ai loro problemi».  

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