[28/03/2012] News

Survival: «Foto dimostrano che le piantagioni etiopi uccidono il fiume Omo»

Il controverso progetto agro-industriale promosso nella valle del fiume Omo del governo dell'Etiopia, che prevede espropri delle terre delle tribù e land grabbing ,  «sta uccidendo l'Omo inferiore, fonte diretta di vita per almeno 100.000 indigeni - dice oggi Survival international, l'ong internazionale che protegge i popoli indigeni  - e a provarlo sono anche le immagini».

Il corso verso valle del fiume Omo è stato deviato all'altezza della famigerata diga Gibe III - appaltata alla società italiana Salini Costruttori - il più grande progetto idroelettrico mai concepito in Etiopia. Ora  il corso dell'Omo è stato immesso in un canale di irrigazione di recente apertura, «uno dei tanti che andranno ad alimentare un progetto estremamente ambizioso di piantagioni su vasta scala, concepito per investitori privati e statali - spiega Survival. La realizzazione di questi canali artificiali è fondamentale per il progetto etiope, che sta già avendo un impatto negativo enorme sulla regione della bassa valle dell'Omo, dichiarata Patrimonio Mondiale dell'Umanità dall'Unesco» nel 1980 per la sua particolare importanza geologica e archeologica. La diga sbarrerà il corso centro-settentrionale dell'Omo, che scorreva impetuoso per 760 km dall'altopiano etiope fino al Lago Turkana, attraverso i parchi nazionali Mago e Omo. 

Gibe III, in costruzione 200 km a monte, priverà migliaia di indigeni delle loro terre agricole più preziose, interrompendo il ciclo delle esondazioni annuali. Ma il Kenya, anche se la diga sta prosciugando sul suo territorio il lago Turkana, ha recentemente firmato un accordo con il regime di Addis Abeba per l'importazione di energia elettrica prodotta dalla diga etiope Gibe III, che alla fine dovrebbe produrre 6.500 GWh  di elettricità all'anno.

Secondo l'Ong che tutela i diritti dei popoli autoctoni, Il governo etiope «non aveva rivelato quasi nulla sull'esistenza del programma agro-industriale, ma una mappa ufficiale pervenuta a Survival International comprova l'ambiziosa imponenza del progetto».

Un membro di Survival recatosi recentemente nella zona ha parlato con un uomo appartenente ad una delle tribù della bassa valle dell'Omo, che gli ha spiegato: «Non ho mai visto il fiume così basso. Solitamente, durante la stagione secca, com'è ora, si può attraversare il fiume a piedi perché l'acqua arriva alle ginocchia. Oggi potrei passare senza bagnarmi nemmeno i piedi».

Survival International sottolinea un altro pericolosissimo aspetto di questo gigantesco intervento idroelettrico ed agro-industriale: «Le piene del fiume Omo alimentano la ricca biodiversità della regione e garantiscono a tribù come i Bodi, i Mursi e i Dassanach di poter alimentare il loro bestiame e di produrre fagioli e cereali grazie al fertile limo depositato. Lo scorso anno la piena c'è stata, ma la maggior parte dei Bodi e dei Mursi non hanno potuto sfruttarla per le coltivazioni a causa del progetto d'irrigazione. Quest'anno non ci saranno esondazioni perché il bacino della diga comincia a riempirsi, né ce ne saranno negli anni a venire. Alla gente è stato detto che riceveranno in risarcimento degli aiuti alimentari. Le comunità indigene stanno anche subendo violenti abusi dei loro diritti umani, poiché l'attuazione dei progetti governativi prevede il reinsediamento forzato di coloro che ne intralciano lo svolgimento e il trasferimento del loro bestiame»

Stephen Corry, direttore generale di Survival International, accusa la politica di Addis Abeba: «Il governo etiope sta distruggendo la bassa Valle dell'Omo e la sopravvivenza di decine di migliaia di indigeni nel nome dello  "sviluppo".  Ma i costi umani di questa operazione non possono essere dimenticati. Deviare un corso d'acqua che è un'ancora di salvezza per interi popoli è irresponsabile e sconsiderato».

 

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