[26/06/2012] News

Nutrire il mondo con la chimica? La falsa promessa dell'agro-chimica

Cibo migliore, sicuro e per tutti grazie alla chimica. I tre paradossi di Federchimica

Definire il cibo "migliore e sicuro grazie alla chimica", come ha fatto il presidente di Federchimica, Puccioni, sul Sole24Ore, significa dare un'informazione quantomeno ingannevole. È ormai dimostrata, infatti, la correlazione tra l'esposizione a pesticidi e diserbanti e lo sviluppo di disfunzioni alla tiroide, o il maggior rischio di sviluppare il morbo di Parkinson.

Da ricordare inoltre che l'azione sinergica di diversi agrofarmaci assunti dall'ambiente può avere un effetto cancerogeno, così come attività neurotossica, o agire come interferente del sistema endocrino. Per questo è grave che nell'orto-frutta italiana da agricoltura convenzionale e prodotti derivati si registrino ancora residui di agrofarmaci, nonché casi di campioni multiresiduo (vedi dossier Pesticidi nel Piatto 2011 di Legambiente).   

Fatta questa doverosa premessa, riconosciamo che nel macrosettore della chimica c'è anche il settore della chimica sostenibile, grazie alla quale si sono ottenuti e si possono ottenere risultati positivi in termini di produttività e sicurezza alimentare. Tuttavia vorremmo ricordare che la rivoluzione verde non ha risolto il problema della fame nel mondo. Anzi. Rispetto a cinquanta anni fa, il numero di persone denutrite è cresciuto esponenzialmente.

Appare pretestuoso, quindi, anche lo slogan che per nutrire il mondo serva la chimica. Per quanto riguarda il problema della fame, infatti, il punto dirimente della questione non è tanto quanto si coltiva e produce, ma con quali finalità si coltiva la terra, per uso alimentare, per produrre mais, soia e foraggi finalizzati alla produzione di mangimi, o ancora per produrre biocarburanti?
Già oggi nel mondo si produce una quantità di cibo che basterebbe a sfamare 9 miliardi di persone, il problema vero, casomai, è garantire a tutti i popoli il diritto e l'accesso al cibo.

Negli ultimi 50 anni, come evidenziato anche dalla FAO nel recente rapporto The state of the world's land and water resources for food and agricolture - SOLAW 2011, sebbene sia aumentata la superficie coltivata (+12%) e sia aumentata anche la produzione agricola (+ 150%) non siamo riusciti a risolvere il problema della fame nel mondo e quasi un miliardo di persone sono oggi denutrite.
Oltre alle finalità con cui si coltiva e con cui si impiega il suolo agricolo, e oltre alla disparità nell'accesso al cibo, il problema della fame riguarda anche gli sprechi di cibo. Tanto per dare qualche numero che aiuti ad inquadrare il fenomeno, nella pattumiera degli italiani finiscono ogni anno ben 37 milioni di euro di alimenti, pari al 3% del PIL. Una cifra con cui in un anno si riuscirebbe a sfamare una popolazione pari a quella della Spagna, ovvero circa 44.5 milioni di persone1 (Un anno contro lo spreco 2010). Lo spreco è una pesante realtà in nazioni come la Gran Bretagna, dove l'associazione inglese Waste & Resources Action Programme (WRAP) stima si gettino ogni anno 6.7 milioni di tonnellate di cibo perfettamente commestibile per un costo annuale di 10 miliardi di sterline. O ancora in Svezia dove in media ogni famiglia getta via il 25% del cibo acquistato. Di male in peggio, gli USA sprecano circa il 40% del cibo prodotto nel loro territorio.

Piuttosto che di chimica tout court, quindi, abbiamo bisogno di garantire a tutti i popoli l'accesso al cibo e di convertire il settore primario verso più alti standard di sostenibilità ambientale e sociale, magari prendendo esempio proprio dal biologico. Un modello di agricoltura che mantiene la fertilità dei suoli, obiettivo prioritario che non si può raggiungere con la chimica ma solo grazie all'uso oculato di sostanza organica.

Per risolvere il problema della fame nel mondo, infine, abbiamo bisogno anche di rimettere al centro del dibattito e delle politche agro-alimentari i piccoli produttori e l'agricoltura contadina, quindi i saperi contadini e locali, l'agricoltura di piccola scala e la conduzione dei terreni per finalità legate al cibo. Tutte esigenze   riconosciuto dalla stessa FAO nel rapporto "Save and Grow" del 2011.  

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