[18/07/2012] News

Caro Polito, l'Italia non è keynesiana

di Guido Iodice e Daniela Palma, Keynesblog.com per greenreport.it

 

L'editoriale di Antonio Polito pubblicato sul Corriere della Sera del 18 luglio 2012 (Le risorse immaginarie) purtroppo non si distingue nel panorama degli articoli che, almeno da due anni a questa parte, ripropongono i luoghi comuni sull'eccessiva spesa pubblica italiana e sulle ragioni della crisi. Tuttavia è interessante che Polito abbia esplicitamente accusato l'Italia di "politiche keynesiane". Ma partiamo dall'inizio. 

Polito esplicitamente assume come vero il punto di vista di Berlino: «In Germania - scrive il giornalista - sono convinti che l'Italia di oggi sia proprio il frutto di un lungo ciclo di politiche keynesiane. E in effetti è legittimo pensarlo di un Paese che ha accumulato la bellezza di duemila miliardi di euro di debiti». Ma la crisi che oggi porta lo spread vicino a quota 500 è davvero originata da ciò? Un confronto con gli altri Piigs dice esattamente il contrario. 

Prima della crisi del 2007/2008 il rapporto debito/Pil di Spagna, Irlanda e Portogallo era decisamente basso. La Spagna, ad esempio, aveva ridotto il rapporto dal 67% del 1997 al 36% nel 2008. Un record. L'Irlanda nel 2008 presentava un rapporto del 25%, il Portogallo, meno "virtuoso", del 68%. Per fare un confronto è utile ricordare che nel 2007 la Germania aveva un rapporto debito/Pil del 67%. Se guardiamo poi i deficit annuali ci accorgiamo che la Spagna ha avuto deficit minuscoli (minori dell'1%) dal 2000 al 2005. Successivamente ha avuto addirittura avanzi di bilancio. L'Irlanda dal canto suo ha accumulato costantemente avanzi per tutto il periodo pre-crisi. Ben diversa la situazione tedesca: la "locomotiva" ha sforato i parametri di Maastricht per ben 4 anni consecutivi, dal 2003 al 2006 compreso. In altre parole, tra i Piigs si trovano alcuni dei paesi più virtuosi del continente. Al loro confronto la Germania è stata "spendacciona" tant'è - molti lo dimenticano - che insieme alla Francia ha dovuto chiedere una deroga (ottenuta) alla mannaia dei trattati. 

E l'Italia? Ebbene, la cosa forse sorprenderà, ma il nostro paese è stato più "virtuoso" della Germania stessa. L'avanzo primario (cioè la differenza tra entrate e uscite al netto degli interessi) italiano è stato costantemente positivo dal 1992 ad oggi, con l'unica eccezione del 2009. Il grafico sopra riportato mette a confronto la nostra "virtuosità" con la relativa "dissolutezza" del gigante tedesco. 

Sostenere quindi, come fa Polito facendosi interprete del "punto di vista di Berlino" che noi abbiamo fatto "tax and spending" non ha alcun riscontro nei dati oggettivi. Al contrario, noi abbiamo fatto "tax and saving", tassa e risparmia. Lo Stato ha prelevato da cittadini e imprese più (molto di più) di quanto abbia restituito. L'obiettivo era quello di ridurre il debito pubblico pregresso, formatosi dopo il "divorzio" tra Banca d'Italia e Tesoro nel 1981, che ha causato l'impennarsi dei tassi di interesse. Non deve a questo punto sorprendere che la crescita italiana sia stata così stagnante. 

Polito farebbe bene anche a ricordare un dato molto banale: lo spread italiano è poco più basso di quello spagnolo e decisamente imparagonabile a quelli di Irlanda e Portogallo, paesi con un debito/Pil minore del nostro. Ancora convinto che la crisi sia originata dai debiti pubblici? 

Da cosa origina quindi la crisi dei debiti sovrani? Ebbene, i mercati, dopo aver creduto per 10 anni che l'euro funzionasse, alla fine sembrano essersi accorti che non funziona affatto: la rigidità della moneta, unita alla mancanza di riequilibratori automatici a livello di Unione (welfare, tassazione, spesa pubblica) e alla risoluta politica di deflazione salariale relativa della Germania, hanno causato crescenti squilibri della bilancia commerciale tra "centro" e "periferia". In altre parole, si è creata una moneta senza uno stato. I paesi più deboli hanno così conosciuto l'importanza del debito estero crescente, legato all'importazione sistematica di merci dal "centro".

Si noti che in tutti i paesi del mondo, compresi gli Stati Uniti, la Gran Bretagna e la Germania, esistono aree "ricche" e aree "povere". Il fatto che non esplodano è dovuto all'esistenza del bilancio pubblico che funge da riequilibratore, bilancio che per l'UE ammonta appena all'1% del Pil dell'Unione. Nulla, in termini pratici, considerando che ad esempio il bilancio federale negli USA arriva ad un quarto del Pil

E infine arriviamo alla falla logica nel ragionamento di Polito, che si chiede: «Dove intendono attingere le ingenti risorse che servono (perché uno stimolo keynesiano o è ingente o non è)? Poiché in cassa non c'è un euro, e poiché non possiamo battere moneta per inflazionare il nostro debito, si presume che i keynesiani di ritorno pensino a un ricorso ai mercati». Polito in sostanza assume il vincolo esterno (l'euro, Maastricht, il fiscal compact, ecc.) come un dato di fatto e non una scelta precisa compiuta dalle classi dirigenti italiane, a partire da quelle che Polito, ci pare di ricordare, elogiava fino a poco tempo fa. 

Il problema è appunto quello di rimuovere o almeno alleggerire il vincolo esterno. Mutualizzare il debito con gli eurobond e riformare la Bce in modo che possa monetizzare il debito pubblico degli stati membri sono il minimo sindacale in una situazione così esplosiva. Ma non basta: se si vuole risolvere la crisi e fare in modo che non si ripresenti negli stessi termini, servirebbe un ingente bilancio circa 20 volte quello attuale, un welfare europeo, regole comuni contro la deflazione salariale, un salario minimo continentale, insomma tutto ciò che concorrerebbe a trasformare l'UE in uno Stato. Il tutto controllato non da organismi senza nessuna legittimazione democratica, o peggio dalla Bce, ma da un parlamento sovrano. E servirebbe subito, non tra 10 anni.

E' possibile? Difficile, molto difficile. Per questo, volenti o nolenti, alcuni paesi potrebbero lasciare l'euro a causa della rigidità con la quale la Germania si oppone a qualsiasi esperimento di bilancio federale, con conseguenze sull'economia mondiale che ridurrebbero il fallimento di Lehman Brothers ad una nota a piè di pagina. 

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