[30/07/2012] News

La via del dattero: rivoluzione bio dinamica

«Per  curare l'uomo si deve curare il terreno»: è lo ieratico Kilani Ben Abdallah, agricoltore biodinamico tunisino, a parlare così mentre ci illustra i tre diversi livelli delle coltivazioni della sua "parcella" di terreno all'interno dell'Oasi di Nouayeil, regione di Nefzaoua, sud-est della Tunisia. Orticole nel livello più basso, alberi da frutto e poi le tante palme da dattero, circa 200.

Ai margini del deserto del Sahara e luogo un tempo molto turistico, questa è ancora oggi la zona da cui proviene il 90% dell'intera produzione di datteri Deglet Nour. L'unica varietà esportata e conosciuta nel resto del mondo. «Eppure - racconta Kilani  - ne esistono moltissime altre che possono essere utilizzate. La monocoltura  e le mono varietà stanno distruggendo l'ecosistema dell'oasi». 

La coltivazione intensa della palma del Deglet infatti richiede un utilizzo intensivo del terreno, maggiore utilizzo dell'acqua delle falde (già in forte esaurimento), maggiore  densità di palma per ettaro  (si arriva anche a 200 palme per ha, circa il doppio di quello che sarebbe  salutare per  le piante) con conseguente impoverimento del terreno che diventa via via meno fertile. «Le palme del Deglet inoltre sono molto delicate e il rischio che un virus le attacchi è molto alto. In questo caso l'intera economia della zona andrebbe distrutta, dato che tutte le famiglie dipendono strettamente da questa attività».

Kilani Ben Abdallah, coltivatore diretto (ha una piccola azienda di produzione, trasformazione e commercializzazione dei datteri che impiega  anche 9 ragazze)  e formatore per COSPE nell'ambito di un progetto di sviluppo sostenibile e gestione integrata delle risorse,  ha un'altra idea per lo sviluppo agricolo delle oasi di Kebili: «Dobbiamo recuperare le forme tradizionali dell'agricoltura. Utilizzare al meglio il terreno, diversificando le coltivazioni, coltivare e curare anche le altre varietà di datteri, come per esempio l'Alig, che possono essere più facilmente trasformate (sciroppo, zucchero, farina, marmellata) e iniziare a commercializzare anche queste. Un modo per diversificare l'economia e salvare la biodiversità».

Attualmente sono 23 gli agricoltori che hanno aderito a un'azione pilota del progetto COSPE  che tenta di sviluppare un' agricoltura tradizionale e  biologica, introducendo il compost e  sostenendo la coltivazione a tre livelli, con una prima fornitura di piante come limone, albicocco, ulivo e susino. «Ad oggi però, dal punto di vista della vendita,  l'etichetta biologica in Tunisia non ha ancora un valore aggiunto. Non c'è sufficiente sensibilizzazione in questo senso». 

Nonostante la scarsa ricezione sul mercato Kilani Ben Abdallah ha fatto però anche un ulteriore passo: si è spinto verso l'agricoltura biodinamica: «E'  stato un amico molti anni fa a parlarmene, poi ho fatto una formazione in Svizzera e attualmente i miei prodotti sono sia certificati biologicamente (etichetta LACON) che biodinamicamente (certificato tedesco Demeter). Ho iniziato nel 2000 e dopo tre anni di riconversione del terreno ho ottenuto la certificazione».

Negli anni successivi è stato lui a formare altri agricoltori e attualmente la sua certificazione è estesa ad un gruppo di 7 agricoltori che seguono la sua "scuola".  Perché la commercializzazione, in fondo, non c'entra: «La biodinamica è una filosofia. Dobbiamo ascoltare la natura, l'ambiente e farne parte nella maniera meno invasiva possibile». E alla domanda se la Rivoluzione avesse portato dei cambiamenti anche nell'equilibrio dell'oasi Kilani risponde che sebbene ci vorranno alcuni anni per la riconversione dalla dittatura alla democrazia, come per il terreno, ma intanto la Rivoluzione ha liberato anche l'ambiente: come? «Beh per esempio l'emiro arabo, amico di Ben Ali, non viene più a cacciare in queste zone e la natura è salva».

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