[21/08/2012] News

Ignoranza al potere: i cittadini non conoscono la storia. Ecco perché vince la politica del breve termine

Le crisi ritornano più o meno gravi, solo che non ce ne ricordiamo (o peggio non lo sappiamo)

A dispetto delle rassicuranti dichiarazioni del tandem Monti-Passera sulla luce in fondo al tunnel della crisi, il clima in cui viviamo è sempre quello dell'emergenza. Non solo dal 2007 ad oggi, nell'arco dei cinque anni di quest'ultima crisi economica (tanto profonda da essere definita una "crisi di civilità", più che finanziaria), ma da un bel pezzo a questa parte: solo che non ce ne rendiamo conto. Periodicamente le crisi ritornano, più o meno gravi, a farci inciampare nella strada del "progresso", solo che non ce ne ricordiamo. Sembra che per noi la storia sia un cattivo maestro.

Gabriel Lenz, assistant professor di Scienze politiche all'università della California, Berkeley ha portato avanti una ricerca domandandosi cosa gli americani sapessero della propria storia economica degli ultimi 50 anni. La risposta è, in pratica, niente. Negli Usa, in questo periodo, il Pil è aumentato del 400% (del 240% procapite, appena la metà), ma il 60% degli intervistati ha detto che non era cresciuto affatto (ed il 30% ha detto che la crescita è stata compresa nel range 25-75%). Un'osservazione non banale, alla luce di queste informazioni, è che il continuo pungolo della crescita materiale a tutti i costi per raggiungere maggiori livelli di benessere, nei cittadini delle economie già mature, può essere perpetuata all'infinito, dato che non c'è alcuna percezione della strada già percorsa e di come e quanto questa, di conseguenza, abbia influito sul tenore di vita raggiunto dai cittadini, nonché dalle disparità accentuate nel tragitto: «le famiglie più abbienti - scrive Lenz - si sono assicurate la maggior parte di questo aumento». Per il comune cittadino la crescita è stata all'incirca di un «misero 25%». 

Infine, le recessioni economiche. I cittadini sono abituati a vederle rappresentati come eventi rari: nell'ultimo mezzo secolo, assicura il 70% degli intervistati, il numero delle crisi economiche effettive è racchiuso tra 0 e 5. Per il 26%, il range è addirittura più ristretto: tra 0 e 2. In realtà, le crisi identificate da Lenz sono 8 (vedi immagine dove sono rappresentate con aree in grigio). «Questa percezione errata può aiutarci a capire perché gli elettori defenestrano i presidenti in carica durante le recessioni. Quando all'economia accade di sperimentare un calo in un anno elettorale, come ha fatto nel 1980 e nel 2008, i cittadini lo vedono come un evento inconsueto, con implicazioni sinistre, non rendendosi conto che le recessioni si verificano regolarmente. Di conseguenza, tendono più spesso votare contro il partito al potere». L'economia ha un impatto enorme sulle elezioni politiche, e una scelta di voto prettamente emozionale della maggioranza dei votanti influenza così in modo decisivo la risposta alla crisi (e non solo) negli anni successivi.

Quella di Lenz non è certo l'unica ricerca del genere. «Jeffrey Frankel, un economista di Harvard - scrive il Washington Post - ha recentemente studiato i processi di budgeting in 33 paesi in tutto il mondo. Ha scoperto che la maggior parte delle previsioni di bilancio tendono a ritenere che boom economici dureranno molto più a lungo di quanto non facciano in realtà». Ecco spiegato (in parte) perché «così pochi Paesi seguono il percorso standard keynesiano», ovvero accantonare parte dei surplus durante i momenti di grassa, in modo da aver risorse da spendere per ripartire in caso di recessione. Come dovremmo fare adesso, dirigendo risorse pubbliche e private per mettere in moto la macchina dello sviluppo sostenibile.

Siamo dunque di fronte ad un bell'esempio della faccia storta degli strumenti democratici. Posta la democrazia come un valore irrinunciabile cui appigliarsi, come migliorarla? Cercando di favorire nei cittadini una presa di coscienza dei loro (nostri!) errori di previsione affettiva, come suggerisce ad esempio l'economia comportamentale: quando ci troviamo a decidere, non sappiamo che cosa vogliamo. Una determinata rappresentazione della realtà (da cui discende un relativo "effetto framing") non è mai imparziale, ed oggi come ieri sarà fondamentale per il nostro presente e futuro. Trovare e raccontare una convincente visione politica da proporre ai cittadini è il passo che separa uno sviluppo sostenibile dal continuare a vivere nella crisi perpetua del modello di crescita che già conosciamo.

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