[07/09/2012] News

La Bce abbatte gli spread. È una boccata d'ossigeno, usiamola per dare fiato a nuove proposte

Il ‘big bazooka' alla fine è arrivato: la Bce ha dato quasi all'unanimità - «nel consiglio direttivo c'è stato solo un no, vi lascio indovinare di chi», ha sparato Mario Draghi (Nella foto) al capo della Bundesbank con insolito sarcasmo - il via libera allo scudo anti-spread. «Gli acquisti illimitati di titoli sovrani a breve termini sui mercati secondari, partono»: Draghi ha usato la parolina magica, «illimitati», e sui listini borsistici è stata baldoria. Lo spread tra Btp e Bund è (provvisoriamente?) sceso sotto la soglia dei 350 punti. La sensazione è che, stavolta, un concreto passo avanti è stato fatto, ma vi vorrà del tempo prima di emettere sentenze definitive. Quel che è certo è che, comunque, non siamo ancora al ‘day after' della crisi.

Perché è presto detto. Quella della Bce è finalmente una presa di posizione decisa, che alla prova dei fatti non sarebbe di così comoda applicazione. Il rastrellamento di titoli di Stato (sterilizzato da un corrispettivo ed equivalente drenaggio di liquidità, con l'obiettivo di lasciare inalterata la massa monetaria circolante, con l'obiettivo di tenere sotto controllo il pallino dell'inflazione) sarà subordinato ad una richiesta esplicita del Paese europeo in crisi. Questo sarà dunque sottoposto all'obbligo di firmare nuovi e più impegnativi obiettivi di "risanamento" e di "riforme", sotto lo stretto controllo della Troika: altrimenti, niente aiuti.

Volendo rimaner positivi, non è da scartare l'ipotesi che questi vincoli stringenti rimangano un teatrino degli equilibrismi, per tener buoni i teutoni rigoristi. Ancora, l'aspettativa principale è che basti l'effetto annuncio a raffreddare la speculazione e la paura, senza dover mai ricorrere davvero agli aiuti della Bce. Fatto sta che, sulla carta, le condizioni al momento sono queste: come scrive Maurizio Ricci su La Repubblica, «per far funzionare il bazooka bisogna metterselo in spalla e premere il grilletto. Possono farlo solo il premier spagnolo Rajoy o quello italiano, Monti. Ma il bazooka è pesante: non è detto che ne abbiano voglia. Se i mercati se ne accorgono, ci aspettano settimane da mozzare il fiato».

Soprattutto, però, il grande entusiasmo per la presa di posizione della Banca centrale europea rincara tristemente la visione di una via di fuga dalla crisi possibile solo se tecnocratica. La Bce è infatti un'istituzione indipendente dalla politica europea, e quando questo principio viene anche solo rimesso in discussione la stessa Banca si sente in dovere di affrettarsi a liberarsi dell'onta. È dalla stessa Eurotower, per bocca di Draghi, che ci si sbilancia contro le mancanze politiche: «Tocca a loro (i politici, ndr), non alla Bce, continuare il consolidamento e le riforme».

Continuare sulla strada delle riforme, così come sono già state tracciate, ci permetterebbe forse di rimettere il treno dell'economia sui binari dai quali è deragliato nel 2007, ma non sarebbe poi un gran progresso. Qualche anno ancora, e deraglierebbe di nuovo, forse con maggior forza. Man mano che passano gli anni, dall'inizio della crisi ad ora, si affievolisce sempre più il desiderio di cambiar rotta, di cercare il progresso in un nuovo e sostenibile modello di sviluppo.

La crisi sta mordendo, sfiancando la società. Prima che vengano spezzate definitivamente le reni ad ogni velleità riformatrice, è ora di organizzare una risposta alternativa a quella calata dall'alto del pensiero mainstream, che sia articolata e credibile. Qualcuno, ogni tanto, ci prova. In questi giorni, ad esempio, a far da contraltare al tradizionalissimo forum economico di Cernobbio, si tiene a Capodarco di Fermo il decimo forum di Sbilanciamoci!, la campagna che raccoglie pensatori di varia estrazione attorno al motto "L'economia com'è e come può essere".

«È necessario ribadire che il neoliberi­smo e le politiche di austerity che ne conseguono hanno fallito - scrive sul Manifesto il portavoce di Sbilanciamoci!, Giulio Marcon - alimentan­do la crisi e la recessione». Riassume le priorità della campagna in 7 punti, ponendosi contro la speculazione in Europa; per un welfare migliore; per la lotta alla precarietà del lavoro; per gli investimenti in cultura; per un'economia più "verde"; per tagli mirati alla spesa pubblica; per una più equa tassazione e la lotta all'evasione fiscale. Tutte proposte di assoluto valore, magari sulle quali accendere una discussione - pure accesa - su un loro miglioramento, sulla possibilità effettiva di un'applicazione pratica.

La discussione però puntualmente manca. Non certo per colpa di Sbilanciamoci!, e non solo in questa occasione. Sembra ogni volta sfuggire la possibilità di spostare una riflessione in questi termini vicino alle stanze dei bottoni. Di manifesti e decaloghi se ne legge sempre più spesso (ed è anche un bene, perché non è di certo diminuito il bisogno di nuove proposte), ma non si riesce ad andare avanti.

Zygmunt Bauman mette in guardia contro «l'assenza delle "classi colte" a cui un tempo spettava il compito di sollevare dalla miseria gli oppressi e gli emarginati», ed ha perfettamente ragione. La gravità del momento impone la responsabilità morale di riunire le intelligenze disponibili (che, si badi bene, non necessariamente si nascondono soltanto in quell'èlite ufficialmente riconosciuta) per formulare una risposta pragmatica alla crisi della nostra civiltà: chi ha un'idea, è l'ora che la metta in gioco.

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