[24/09/2012] News

La fine del lavoro manuale? Ottantamila persone (in lotta) per produrre l'iPhone5...

Quando ad inizio degli anni 2000 Jeremy Rifkin teorizzò la fine del lavoro manuale, come minimo non pensava alla Cina, e forse anche per questo oggi l'Europa è alla ricerca di un rilancio industriale. La riflessione viene leggendo le notizie che arrivano dalla fabbrica della Foxconn di Taiyuan, dove - racconta l'Ansa -  ieri sera ci sono stati scontri che hanno interessato oltre 2000 dipendenti e che per questo resterà chiusa. Non chiari i motivi della protesta scoppiata nei dormitori della fabbrica. Ma è paradigmatico il fatto che invece della fine del lavoro manuale, siamo di fronte a una società che impiega 1,3 milioni di persone con diversi impianti di produzione in Cina e in altri paesi, lavorando per primarie società mondiali come Apple, Sony, Nokia e altri e che produce e assembla pezzi per i prodotti per il nuovissimo iPhone5, quintessenza dell'obsolescenza programmata.  

L'impianto di Taiyuan, nella provincia centro-orientale dello Shanxi, impiega 79.999 persone e negli anni scorsi si è resa tragicamente famosa per una serie di suicidi fra i suoi dipendenti a causa delle pessime condizioni di lavoro. Se si mette insieme questo caso, con la situazione della Fiat, dell'Alcoa e della CarbonSulcis è evidente che Rifkin aveva ragione dicendo che la terza rivoluzione industriale, data l'incredibile progressione della potenza di calcolo dei moderni elaboratori, "pone in esubero un crescente numero di lavoratori", ma questo molto più in Occidente, rispetto al resto del mondo, inoltre il lavoro che c'è non è quello specializzato e che secondo l'autore "pone anche il problema di avere pochi lavoratori sovraccarichi di lavoro", bensì quello da sottopagati e di bassissimo livello. Non solo dati dall'esempio di Foxconn, basti pensare ai call center.  

Non solo. Questa situazione assai difficilmente si può migliorare riducendo soltanto le ore di lavoro e men che meno rivalutando un terzo settore in versione amena, quella del turismo a sé bastante, per intenderci. Senza industria, infatti, non c'è nemmeno terzo settore, oltre al fatto che la riconversione ecologica dell'economia che pure a Rifkin e a chi lo ha preso come guida propone, non potrà mai fare a meno dell'industria, ancorché sostenibile. La fine del lavoro manuale, insomma, non si vede, almeno in termini migliorativi. Dove c'è stata ha portato precarizzazione, diminuzione dei diritti della forza lavoro rimasta e, per gli altri, disoccupazione. Per non continuare a cancellare quel che di buono c'è nell'utopia della "fine del lavoro", semmai l'analisi (e la guida della mano pubblica) doveva essere concentrata su come migliorare quel lavoro, non dandolo per morto. Perché così si sono davvero condannati milioni di lavoratori alla disoccupazione che oggi ci chiedono il conto. E ai quali si può rispondere solo con un'industria sostenibile che, è solo apparentemente un paradosso, riprocessi gli scarti della società per farne nuovi prodotti e riesca a ridurre i consumi di energia e di materia...

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