[26/11/2012] News

Al via la Conferenza Onu di Doha: global warming evidente, ma non gli impegni per combatterlo

Continua lo scontro su Protocollo di Kyoto e finanziamenti. Ue: ĢI Paesi poveri vogliono assegni in biancoģ

Oggi Abdullah Bin Hamad Al Atttiyah ha aperto al Qatar national convention centre di Doha la 18esima Conferenza delle parti dell'United Nations framework convention on climate change (Cop18/Cmp8  Unfccc) con un invito ad agire: «Il cambiamento climatico è una sfida per l'umanità - ha detto il presidente della Cop18 -  La Conferenza è un'occasione d'oro: dobbiamo farne il migliore uso» rivolgendosi alla presidente della Cop17 di Durban, alla segretaria esecutiva dell'Unfccc  Christiana Figueres ed ai 17.000 partecipanti provenienti da tutto il mondo. «Mai come adesso i temi al centro di questi negoziati sono al centro del dibattito e dei discorsi mondiali. Tutti e sette i miliardi di persone che vivono sul pianeta sono di fronte ad una singola sfida. Questo è il motivo per cui ci riuniamo ai più alti livelli ufficiali in un contesto internazionale, questa è la nostra missione. Se non facciamo i cambiamenti di cui abbiamo bisogno ora, presto sarà troppo tardi. Dobbiamo decidere se lasciare che i nostri stili di vita mettano a repentaglio la nostra vita».

In una città che è un inno alla grandezza tecnologica, la Cop18/Cmp8 di Doha punta anche simbolicamente sul risparmio di energia e di materia, infatti, sarà prima conferenza Unfccc organizzata con il programma PaperSmart dell'Onu: i partecipanti saranno dotati di copie digitali dei documenti, in modo da stampare solo i documenti di cui hanno bisogno;  per ridurre l'inquinamento del traffico i delegati si sposteranno lungo una "green route" con un centinaio di autobus a gas liquefatto, due a metano e 6 autobus ibridi . La Cop18/Cmp8  lascerà un'eredità verde al Qatar: il Sustainability Expo  espone i progetti di tecnologia verde di imprese locali e internazionali, un "network of information pods" fornirà dati sul cambiamento climatico in tutta la capitale del Qatar  e gli organizzatori hanno dichiarato che l'intero evento sarà carbon neutral, con le emissioni prodotte che saranno compensate da investimenti in progetti di riduzione o assorbimento della CO. L'emirato,  con queste ed altre iniziative «Intende puntare l'attenzione di Qatar e dei visitatori sulle conseguenze potenzialmente disastrose del cambiamento climatico e sulle misure necessarie per combatterlo». Ma, nonostante l'enorme sforzo organizzativo dispiegato dal piccolo e ricchissimo emirato petrolifero del Qatar, l'appello di Al Atttiyah rischia di essere inascoltato: anche se l'evidenza del global warming non è mai stata così forte, l'attenzione quasi 200 governi riuniti a Doha  e dei media non sembra mai stata così bassa e, mai come oggi, di fronte all'aumento dei gas serra sembra esserci poco più che parole.

Lo scontro è ancora quello sulla seconda fase del Protocollo di Kyoto, l'unico accordo giuridicamente vincolante che a permesso di tagliare le emissioni di gas serra, e continuano le dispute bizantine tra Paesi sviluppati, emergenti e in via di sviluppo per capire chi dovrà sostenere il peso di una crisi planetaria che da ambientale è già diventata economica e sociale.

Come ha ricordato oggi alla Reuters Andrew Steer, presidente  del think-tank  Usa World resources institute, «La situazione è molto urgente... Non possiamo più dire che il cambiamento climatico è un problema di domani. La supertempesta Sandy è stata un campanello d'allarme per molti americani, il tipo di evento estremo predetto da scienziati del clima in un mondo in riscaldamento. Anche se i singoli eventi meteorologici non possono essere imputati al global warming».

Solo pochi giorni fa due diversi rapporti dell'Unep e della Banca Mondiale hanno rivelato che, con l'attuale livello di impegni, l'aumento delle temperature sarà più alto del target di 2 gradi centigradi fissato a Durban come limite massimo per evitare la catastrofe climatica: dai 3 ai 5 gradi, con un aumento delle ondate di calore e del livello dei mari. Ma anche la Figueres, a detto che i Paesi mostrano una scarsa ambizione ed alla vigilia della Cop18 ha sollecitato tutti a fare di più: «Una risposta più veloce ai cambiamenti climatici è necessaria e possibile. Doha deve assicurarsi che la risposta acceleri».  «Il tempo non è certamente dalla nostra parte» ha detto all'Afp  Marlene Moses, presidente dell'Alliance of small island States (Aosis) -  I maggiori responsabili delle emissioni storiche hanno la responsabilità di fare di più, molto di più, di quello che hanno fatto fino ad oggi».

Secondo Samantha Smith, responsabile  global climate and energy work del Wwf, «I climate talks finora non hanno prodotto nulla di simile ai risultati di cui la scienza ci dice che abbiamo bisogno». L'Institute for environment and development ha fatto i conti ed ha scoperto che i  Paesi ricchi hanno fino ad ora stanziato solo 23,6 miliardi dei 30 promessi ai Paesi poveri per aiutarli a combattere ed adattarsi al cambiamento climatico e che «La maggior parte sono in prestiti che dovranno essere rimborsati dai poveri». Un altro studio di Oxfam rivela che solo  il 33% dei finanziamenti "fast-start" promessi al summit Unfccc di Copenaghen del 2009 possono essere considerati davvero in più di somme già stanziate e che i livelli di finanziamento sono destinati a calare nel 2013, visto che  i Paesi ricchi diminuiranno gli stanziamenti per gli aiuti perché sono oppressi da problemi di bilancio, debiti ed instabilità finanziaria.  I Paesi ricchi a Durban hanno anche promesso aiuti per 100 miliardi di dollari all'anno entro il 2020, ma non c'è nessun impegno reale per il periodo  2013-2019.

Le associazioni ambientaliste appoggiano la richiesta dei Paesi in via di sviluppo ed emergenti di prorogare il Protocollo di Kyoto, ma gli Usa non hanno mai aderito al protocollo e Canada, Russia, Giappone e Nuova Zelanda se ne sono tirati fuori dopo Durban, mentre il nucleo dei Paesi industrializzati difensori di Kyoto, guidato dall'Unione europea e dall'Australia, rappresenta ormai più o meno il 14% delle emissioni mondiali.

I Paesi in via di sviluppo dicono che solo un secondo periodo del Protocollo di Kyoto garantirà che le nazioni sviluppate imbocchino la  strada verso il nuovo accordo mondiale vincolane da approvare nei negoziati che partiranno nel 2015 e da avviare nel 2020. Ma Seyni Nafo, portavoce del gruppo degli Stati Africani, non è ottimista: «Il protocollo di Kyoto sarà molto importante per noi. Ma l'ambizione è molto bassa». Devono addirittura essere ancora concordati i dettagli per un eventuale periodo prolungamento di Kyoto: sarà di 5 o 8 anni come vorrebbe L'Ue? La stessa Ue ha detto che aumenterà il taglio previsto delle sue emissioni dal 20 al 30% entro il 2020 solo se lo faranno anche gli altri: «Teniamo la porta aperta per andare oltre, al 30%, anche se ciò non accadrà quest'anno», ha detto il rappresentante della Commissione europea Artur Runge Metzger. Per i Paesi poveri il 30% è il minimo dell'impegno che dovrebbero avere i Paesi ricchi.

Runge Metzger ha però aggiunto che l'Ue in crisi economica non può permettersi di prendere ulteriori impegni a Doha e che i Paesi in via di sviluppo devono presentare programmi "bancabili" dettagliati per sperare di ricevere finanziamenti: «A volte, i Paesi in via di sviluppo sembrano dire, "OK ci danno un assegno in bianco"». Meena Raman, di Third world network, ribatte: «Molti Paesi in via di sviluppo hanno già indicato per quali tipi di programmi e progetti hanno bisogno di un finanziamento. Hanno bisogno del sostegno finanziario e tecnico dell'Unione europea e di  altri. Eppure continuano a promettere loro   milioni "jam tomorrow"».  

Wael Hmaidan, direttore di Climate action network, è molto preoccupato: «"Se non si raggiungerà un  accordo a Doha, entreremo nel 2013  senza alcun sostegno per aiutare molti Paesi in via di sviluppo a ridurre le emissioni» e Kelly Rigg, direttrice esecutiva di Global campaign for climate actions, conclude: «Doha deve inviare segnali importanti sul fatto che il mondo possa ancora riuscire a mantenere il riscaldamento entro limiti tollerabili, oppure chiarire se siamo diretti verso un grave caos climatico».  

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