[11/01/2013] News

L'economia scende, la temperatura del pianeta sale. Ecco cosa ci aspetta nel 2013

Mentre la situazione economico finanziaria non sembra certo avviarsi su di una strada di ripresa, quella relativa allo stato di salute dei sistemi naturali, che costituiscono la base stessa della nostra sopravvivenza, anche all'alba di questo nuovo anno sembra sempre di più avviata verso soglie pericolosissime.

Inutile sottolineare, in questo quadro complessivo e globale, la profonda amarezza anche rispetto al "dibattito" politico italiano verso le nuove elezioni circa la totale assenza di comprensione della centralità del valore del capitale naturale come base essenziale per qualsiasi tipo di sviluppo socio-economico attuale e futuro.

A fine dicembre dello scorso anno il Met Office britannico - l'autorevole ufficio meteorologico della Gran Bretagna - ha reso noto il documento relativo alle previsioni meteorologiche per le temperature globali che dovrebbero aver luogo nel 2013. Gli esperti britannici affermano che la temperatura media della superficie terrestre per il 2013 si prevede possa essere tra gli 0.43 e gli 0.71°C (la migliore stima che si attesta su 0.57°C) più calda rispetto alla media globale di lungo termine (per quanto riguarda il periodo più recente delle registrazioni globali, quello 1961-1990) di 14.0°C. Tenendo conto dei margini di incertezza presenti nelle previsioni e nelle osservazioni, è comunque altamente probabile che il 2013 possa essere uno dei dieci anni più caldi da quando esistono registrazioni globali attendibili (che sono in atto dal 1850), ed è probabile che possa essere più caldo del 2012.

Queste previsioni seguono i dati delle temperature osservate nel 2012, che mostrano un media globale della temperatura della superficie terrestre di 0.45°C superiore alla media di lungo termine che viene utilizzata formalmente dalla World Meteorological Organization (WMO) e che proviene da i tre dataset più autorevoli a livello internazionale sull'argomento, che sono quelli del Goddard Institute for Space Studies (Giss) della Nasa, della National Oceanic and Atmospheric Administration del governo statunitense con il suo Climatic Data Center e del Climate Research Unit dell'università britannica dell'East Anglia, coordinato insieme allo stesso Met Office.

La temperatura media globale del 2012 è ricaduta nel range previsto dal Met Office per il 2012 che era tra 0.34°C e 0.62°C con un valore molto probabile di 0.48°C sopra la media di lungo termine.

Lo stato nel quale ormai si muove da diversi decenni il sistema climatico a causa del ruolo dell'intervento umano è veramente preoccupante. Ricordiamo che il Carbon Budget 2012, prodotto dal più autorevole progetto mondiale di ricerca sul ciclo del carbonio, il Global Carbon Project dell'Earth System Science Partnership (Essp) ha fornito un ulteriore e chiarissimo allarme sulla situazione del cambiamento climatico in atto.

Nel 2011 le emissioni di anidride carbonica derivanti dall'utilizzo dei combustibili fossili e dalla produzione del cemento è incrementato del 3% rispetto al 2010, con un totale di 34.7 miliardi di tonnellate, ai quali bisogna aggiungere le emissioni derivanti dalle modificazioni nell'uso del suoli dal punto di vista agricolo o degli incendi.

Questo livello di emissioni è il più alto che si sia mai registrato nell'arco della storia umana e costituisce un livello superiore del 54% rispetto al 1990 (l'anno che viene preso come riferimento per il Protocollo di Kyoto, che fu approvato nel 1997 e che nel 2012 è andato in scadenza mantenuto in vita da un meccanismo di transizione verso un nuovo accordo globale sul cambiamento climatico che dovrebbe veder la luce nel 2015). Per il 2011 la combustione del carbone ha rappresentato il 43% delle emissioni, del petrolio il 34%, del gas il 18% e del cemento il 5%. Per il 2012, rispetto ai dati disponibili sino alla pubblicazione del Carbon Budget 2012 avvenuta ai primi di dicembre dello scorso anno, si prevede un incremento del 2.6% per un totale di 35.6 miliardi di tonnellate di anidride carbonica emesse nell'atmosfera.

La crescita della concentrazione di anidride carbonica nell'atmosfera per il 2011 è di circa 1.7 ppm, poco meno dei 2 ppm che è stata la media degli ultimi dieci anni (2002 - 2011). Tale concentrazione ha raggiunto nel 2011 le 391 ppm, il 40% in più di quella presente all'inizio della Rivoluzione Industriale (era di circa 278 ppm nel 1750). La concentrazione attuale sulla base di tutte le ricerche scientifiche di paleoclimatologia viene ritenuta sulla base delle evidenze scientifiche la più alta degli ultimi 800.000 anni.

Le ricerche sull'acidificazione degli oceani sulle quali è stato fatto un esaustivo punto nel terzo simposio "The Ocean in a High - CO2 World. Ocean Acidification" a Monterey dal 24 al 27 settembre, ci stanno fornendo ulteriore documentazione della gravità della situazione.

Infatti l'utilizzo dei combustibili fossili non produce soltanto un impatto diretto sull'atmosfera come abbiamo già brevemente ricordato con le ultime informazioni sulla concentrazione dell'anidride carbonica nella composizione chimica dell'atmosfera stessa ma sta cambiando anche la chimica degli oceani del nostro pianeta.

Gli oceani infatti riescono ad assorbire l'anidride carbonica prodotta dalle nostre attività ad un tasso di circa 22 milioni di tonnellate al giorno, rimuovendo così il 30% dell'anidride carbonica emessa nell'atmosfera ogni anno e mitigando quindi gli effetti nefasti del Global Warming, ma questo straordinario servizio curato dagli oceani sta richiedendo sempre di più un alto costo ecologico.

Quando l'anidride carbonica si dissolve nelle acque marine si forma acido carbonico, il fenomeno che viene appunto definito "acidificazione degli oceani" (Ocean Acidification) e che fa decrescere la disponibilità di carbonato provocando serie difficoltà agli organismi marini che formano le parti "dure" del loro corpo con i minerali di carbonato di calcio. Inoltre la combinazione dell'incremento dell'acidità da una parte e della disponibilità della concentrazione di carbonato dall'altra ha anche profonde implicazioni sulle funzioni fisiologiche di numerosi organismi marini.

Dalla Rivoluzione industriale ad oggi gli oceani sono diventati più acidi del 30%, un cambiamento che è tre volte più grande e 100 volte più veloce di qualsiasi altro mutamento nell'acidità degli oceani che, secondo i dati che ci provengono dalla paleoclimatologia, ha avuto luogo nell'arco degli ultimi 21 milioni di anni. Ovviamente non siamo in grado di prevedere come questo fenomeno, che come tutti i fenomeni legati all'attuale cambiamento climatico dovuto all'intervento umano sta avendo luogo in tempi brevi e sembra seguire andamenti accelerati, influisca sugli organismi e sugli ecosistemi marini e, conseguentemente, sugli andamenti di quanto le società umane prendono dal mare per il loro sviluppo socio-economico.

Infatti a differenza dei grandi mutamenti del lontano passato, oggi l'acidificazione degli oceani provoca gravi problemi a risorse fondamentali per l'umanità come, ad esempio, ostriche, barriere coralline e salmoni. Dalla metà di questo secolo il danno prodotto agli ecosistemi marini dall'acidificazione degli oceani potrebbe provocare un livello di erosione delle barriere coralline superiore alle loro capacità di formazione e gli effetti sulle reti trofiche marine potrebbe essere devastante a causa della sparizione di tanti organismi marini fondamentali per l'utilizzo che ne viene fatto da tante specie di pesci che sono fonti alimentari e commerciali per l'umanità.

L'acidificazione inoltre causa seri problemi alle larve dei pesci e a diverse specie creando significative presenze di acido carbonico nei fluidi del corpo, abbassando le difese immunitarie, creando depressioni metaboliche e situazioni si asfissia.

Anche sul fronte dell'acidificazione degli oceani gli studiosi lanciano un allarme molto significativo. Cosa dobbiamo ancora aspettare per prendere provvedimenti seri e concreti per limitare le emissioni di anidride carbonica?

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