[27/03/2013] News

Cresce la «piaga della cultura del consumatore»: nel mondo la pubblicità non conosce crisi

Nel 2012, la spesa globale in pubblicità è aumentata del 3,3%. È a quota 497,3 miliardi di dollari

Vital Signs del Wolrdwatch Institute ha pubblicato il rapporto Advertising Spending Continues Gradual Rebound Driven by Growth in Internet Media, dal quale emerge che nel 2012, nonostante la crisi, la spesa mondiale in pubblicità è aumentata del 3,3%, raggiungendo i 497,3 miliardi dollari. Gli Usa continuano a fare la parte del leone, anche se la loro quota sta diminuendo. Nel 2012 (anno elettorale) negli Usa le spese pubblicitarie sono aumentate del 4,3% e sono ancora quasi un terzo del totale mondiale. Ma ancora una volta è la regione Asia-Pacifico a mostrare la crescita più rapida: un incremento del 7,9% che fa sembrare il più 3,1% del Giappone poca cosa.

Purtroppo, la crisi europea si misura anche dal calo delle spese pubblicitarie: meno 2,2%, l'unico continente che segna un declino. «In gran parte a causa della crisi dell'euro in corso», dice il rapporto. L'Italia, che nel contesto europeo rientra nel novero di Paesi particolarmente colpiti dalla crisi - i cosiddetti Piigs - soffre di un calo ancor più vistoso: il settore delle comunicazione risulta spesso in cima alla lista dei tagli per quelle aziende che, stordite dall'avvitarsi del contesto economico, non riescono a progettare una via di fuga per il rilancio - nel caso in cui, come altrove nel mondo, la comunicazione rivestirebbe un ruolo centrale - ma operano tagli lineari. I dati raccolti da Nielsen (azienda leader nelle informazioni di marketing) nel suo ultimo rapporto per l'Italia danno una dimensione di questa tendenza: a gennaio 2013, rispetto all'anno precedente, la raccolta pubblicitaria è diminuita del 15,3%.

Nel mondo, invece, per la pubblicità quella del 2012 più che una crescita è già una fase di ripresa graduale, dopo che nel 2009 la spesa pubblicitaria mondiale aveva subito un crollo del 9,6% a causa della crisi economica globale.

«La spesa pubblicitaria ha risposto ai cambiamenti nei media popolari - dice Vital Signs - Nel 2012 la pubblicità su Internet è stata quella in più rapida crescita del settore e rappresenta ormai il 18% del totale. La crescita della spesa pubblicitaria su Internet è stata trainata dallo sviluppo dei social media e della pubblicità video online.  Per esempio, negli Stati Uniti i mobile e social media rappresentano oggi più della metà di tutte le entrate pubblicitarie, con un incremento di oltre il 30% per entrambi nel 2011 e 2012. La quota crescente della pubblicità su Internet è stato accompagnato da una notevole diminuzione della pubblicità sulla stampa. In particolare, negli ultimi 10  anni, l'importanza della pubblicità sui quotidiani è diminuita in modo significativo, passando da quasi un terzo di tutte le spese nel 2002 a meno di un quinto nel 2012.  Nel frattempo, l'espansione della quota globale della pubblicità televisiva si è stabilizzato dopo decenni di crescita: è aumentata dal 36% al 40% delle spese in pubblicità tra il 2000 e il 2012».

L'autrice dello studio, Shakuntala Makhijani, ricercatrice per clima ed energia del Worldwatch Institute, spiega che «I marketers si adattano molto bene ai cambiamenti ambientali, nutrendosi del cambiamento di attitudini e comportamenti dei consumatori. Mentre i consumatori hanno trovato il modo per evitare e respingere le forme tradizionali di pubblicità (digital TV recorders ed AdBlock Plus per esempio), gli inserzionisti si sono rivolti a tecniche più sottili come il materiale promozionale sui blog, product placement, e pubblicità interattiva sui social media come Facebook e Twitter».

La Makhijani parla di "Consumer Culture Plague"  e fa anche un esempio finora tipicamente americano ma che sta cominciando a diffondersi anche in Europa: la pericolosa infiltrazione della pubblicità nelle scuole, fino ad infiltrarsi in quasi tutti gli aspetti della vita studentesca. Gli esempi di questo includono le copertine dei free book con le Pop Tarts della Kellogg's ed i personaggi della Fox TV, i curricula nutrizionali forniti dalla Hershey Corporation, i "business course curriculum" di McDonald's che danno istruzioni agli studenti per presentare domanda di assunzione nella catena di fast-food ed i video sui temi ambientali prodotti dalla Shell Oil».

La ricercatrice evidenzia che «Mentre alcuni analisti salutano il recupero della spesa pubblicitaria come un segno di ripresa economica, la traiettoria attuale ha gravi implicazioni negative. Gli impatti della pubblicità e del consumismo su tutti gli aspetti della società e della cultura, dalle scelte alimentari all'immagine di sé stesse delle ragazzine, sono ben documentati. La pubblicità mirata sui  bambini è particolarmente penetrante e influente, definendo la loro identità di consumatori fin dalla più tenera età ed interferendo con il normale sviluppo dell'infanzia. L'evidenza dimostra che i bambini stanno sperimentando un aumento del danno fisico, emotivo e sociale come risultato del consumerismo attraverso la pubblicità».

La Makhijani affronta anche il tema del greenwashing: «Gli Inserzionisti hanno anche cercato di investire nella crescente preoccupazione dell'opinione pubblica per le minacce ambientali attraverso il "green" marketing. Tuttavia, la pubblicità e le dichiarazioni ambientali false e ingannevoli sono diventati così dilaganti che nel 2012 la Federal Trade Commission Usa ha istituito Green Guides  aggiornate che permettono di adottare misure esecutive contro il marketing ambientale ingannevole. Le linee guida scoraggiano l'uso di termini generici e privi di fondamento, come "eco-friendly" e comprendono forti linee guida per l'utilizzo di termini come "biodegradabile" e "riciclabile". Mentre i controlli regolamentari in materia di pubblicità falsa come Green Guides sono uno sviluppo positivo, in ultima analisi, la vera sostenibilità richiede il consumo di meno materiale e quindi più forti limiti generali in materia di pubblicità per arginare la sua crescita globale e la crescente presenza nella vita quotidiana».

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