[31/05/2013] News

Tipping point planetario, stiamo tracciando la linea che trasformerà il mondo?

La ricerca scientifica e il dibattito sugli ormai sempre più dibattuti tipping points (i punti critici) che l'impatto umano può provocare nei sistemi naturali a livello globale, si sta arricchendo sempre di più.

Il tipping point viene generalmente definito come il punto critico che si manifesta quando forti comportamenti non lineari, che non seguono quindi una semplice logica di causa - effetto,  hanno luogo nelle relazioni esistenti tra le strutture, i processi e le funzioni degli ecosistemi (cioè gli "ecosystem attributes" che riguardano quindi la ricchezza della biodiversità, la struttura delle comunità, i flussi di energia e di materia, i cicli dei nutrienti ecc.) e la dimensione delle forze di pressione e modifica che hanno luogo.

L'attenzione degli scienziati è particolarmente rivolta al ruolo che l'intervento umano esercita in questo senso, come autentico principale driver delle pressioni sull'ambiente, ed alle possibilità di cui possiamo disporre per intervenire prima che eventuali punti critici vengano sorpassati. Infatti, una volta sorpassata la soglia del punto critico, il cambiamento verso un nuovo stato del sistema naturale è generalmente rapido e può essere irreversibile o manifestare fenomeni di isteresi. L'isteresi è un termine scientifico (che deriva dal greco Hysterisis che vuol dire ritardo) e costituisce la caratteristica che ha un sistema di reagire in ritardo alle sollecitazioni subite e con una dipendenza rispetto allo stato precedente le sollecitazioni. In fisica l'isteresi costituisce un fenomeno in cui il valore di una grandezza che è funzione di altre grandezze, dipende, in un dato istante, non solo dai valori che queste hanno in quell'istante ma anche di quelli che esse hanno assunto in istanti precedenti ( e per questo viene definito anche fenomeno di ereditarietà).

Lo scorso anno, poco prima della Conferenza delle Nazioni Unite sullo Sviluppo Sostenibile la rivista scientifica Nature ha pubblicato (nel numero apparso il 6 giugno 2012), alcuni lavori scientifici estremamente significativi sullo stato di salute dei sistemi naturali e sul ruolo e gli effetti documentati e registrati della pressione dell'intervento umano. Un lavoro molto importante è quello dovuto al lavoro di 22 scienziati di fama internazionale dal titolo Approaching a state shift in Earth's biosphere ( Barnosky A.D. et al., 2012, Approaching a state shift in Earth's biosphere, Nature, Vol. 486, No. 7402, June 6, 2012).

In questo lavoro, il paleoecologo Anthony Barnosky e gli altri studiosi che lo hanno elaborato, fanno presente che la nostra conoscenza, derivante da decenni di ricerche sulla dinamica dei sistemi naturali, ci ha portati a comprendere come diversi ecosistemi possono transitare, in maniera repentina e irreversibile, da uno stato ad un altro quando sono forzati ad attraversare una soglia critica.

Oggi, secondo Barnosky e gli altri, cominciamo ad avere le evidenze scientifiche che l'ecosistema globale, la nostra meravigliosa biosfera dalla quale dipende la nostra stessa esistenza, può reagire in modi similari avvicinandosi ad una transizione critica a livello planetario, come risultato degli effetti pervasivi e di ampie dimensioni esercitate dall'intervento umano.

Gli scienziati quindi ritengono plausibile il raggiungimento di un punto critico (tipping point) su scala planetaria che richiede ovviamente una grandissima attenzione da parte di noi tutti, ed una raffinata capacità scientifica di registrare i primi segnali di allerta che preludono ad un passaggio di transizione critica su scala globale come sta già avvenendo a scala locale, per essere capaci di individuare i feedback che promuovono questa transizione. Conseguentemente diventa sempre più urgente, come richiedono gli studiosi anche in questa bella pubblicazione apparsa su Nature, agire sulle cause alla radice del come gli esseri umani stanno forzando i cambiamenti biologici planetari.

I 22 studiosi sottolineano come le ricerche sin qui svolte sulle dinamiche degli ecosistemi a piccola scala dimostrano che percentuali che vanno da almeno il 50% fino al 90% delle aree stesse analizzate, risultano alterate e che interi ecosistemi stanno sorpassando punti critici che li stanno conducendo verso stati differenti da quelli originali.

A scala più ampia i ricercatori fanno presente che per sostenere una popolazione di più di 7 miliardi di abitanti, ormai il 43% della superficie delle terre emerse è già stato convertito ad agricoltura, e che infrastrutture, aree urbane e profonde modificazioni di tanti ecosistemi sono continuamente in atto. La crescita della popolazione (si prevede che saremo 9 miliardi al 2045), fa ipotizzare quindi uno scenario dove almeno metà delle terre emerse saranno profondamente disturbate già entro il 2025. Questo aspetto viene ritenuto dagli studiosi un profondo disturbo che è molto vicino a rappresentare il verificarsi di un punto critico su scala planetaria.

Recentemente è apparso un altro interessantissimo studio di cinque scienziati che si interrogano sul tema del possibile passaggio di un punto critico planetario (vedasi Brook B.W. et al., 2013, Does the terrestrial biosphere have planetary tipping points?, Trends in Ecology & Evolution) .

La posizione espressa dagli autori, Barry Brook, Erle Ellis, Michael Perring, Anson Mackay e Linus Blomqvist, è differente rispetto a quella di Barnosky e gli altri che hanno firmato il paper su Nature. Questi cinque scienziati sottolineano come la biosfera sia stata abbondantemente trasformata dall'intervento umano, che ha agito, per quanto riguarda i cambiamenti registrati negli ecosistemi terrestri, in particolare su quattro principali driver dovuti all'intervento umano: ossia, il cambiamento climatico, il cambiamento di uso dei suoli, la frammentazione degli habitat e la perdita di biodiversità. Tali trasformazioni non hanno precedenti nell'arco della storia umana.

Sul punto relativo alle possibilità che ci si stia avvicinando ad un tipping point biosferico planetario l'opinione di Brook, Ellis e colleghi diverge e il noto ecologo Erle Ellis, di cui ho più volte scritto in questa rubrica avendo egli originato la classificazione dei biomi antropogenici ha voluto chiarire bene questa opinione con un articolo su New Scientist l'11 marzo scorso.

Gli ecologi sanno bene che i tipping point esistono e si manifestano negli ecosistemi a livello locale e regionale e tantissime situazioni sono state ormai ben studiate e approfondite. Per fare solo un semplice esempio, se ad lago vengono aggiunte parecchie sostanze nutrienti, le sue proprietà ecologiche tendono a continuare finché il lago improvvisamente entra in un nuovo stato, in una situazione di eutrofizzazione dove le acque da limpide diventano torbide e le comunità di piante e pesci ed altri organismi cambiano completamente. Riportare le condizioni del lago allo stato preesistente è possibile ma a costo di sforzi imponenti e costosi per le società umane.

I tipping point hanno luogo quando le componenti di un sistema rispondono gradualmente alle forze esterne sino a quando viene raggiunto un livello di cambiamento significativo al quale le risposte sono non lineari e sinergiche. Ciò amplifica l'effetto delle forze e il sistema rapidamente transita in una nuova situazione. In genere per rispondere in questo modo, il sistema deve incontrare certe caratteristiche: le forze esterne sono applicate in maniera uniforme e ciascuna parte del sistema risponde allo stesso modo oppure il sistema è altamente interconnesso per consentire alle risposte sinergiche di emergere, oppure vi possono essere entrambe le situazioni.

Brook e gli altri non ritengono che queste condizioni si possono applicare globalmente alla biosfera planetaria. Per avere un tipping point planetario, essi ritengono che le forze prodotte dall'umanità dovrebbero essere praticamente uniformi su tutta la biosfera, tutti gli ecosistemi dovrebbero rispondere a tali forze nelle stesse maniere e questo dovrebbe essere trasmesso rapidamente attraverso i vari ecosistemi nei vari continenti.

Persino i fenomeni dovuti al cambiamento climatico, così evidenti in tutto il pianeta, non rispondono a questi requisiti secondo gli autori del paper su "Trends in Ecology & Evolution". Infatti alcuni ecosistemi in diverse regioni subiscono, ad esempio, prolungati periodi di siccità ed altri invece forti e concentrati periodi di piovosità.

In realtà, secondo Brook e colleghi, l'umanità sta producendo massici cambiamenti nei sistemi naturali della biosfera, con effetti diversi nei diversi ecosistemi, comunità o specie. La risposta della biosfera alle pressioni umane è rappresentata dalla somma di tutti questi cambiamenti. Diventa quindi sempre più importante comprendere e gestire l'evoluzione degli ecosistemi a livello locale e regionale. La frontiera delle ricerche sui cambiamenti globali diventa sempre più affascinante, ma soprattutto densa di sfide.

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