[08/04/2011] News

Conferenza Rio+20: il nodo sarà finalmente l'economia (ecologica)

ROMA. Il 2012 sarà un anno particolarmente importante perché la comunità internazionale ha fissato l'appuntamento della Conferenza delle Nazioni Unite sullo sviluppo  sostenibile, definita Rio+20  perché avrà luogo a Rio de Janeiro dal 4 al 6 giugno, come il grande Earth Summit, la Conferenza Onu su Ambiente e Sviluppo del giugno 1992. A chi ci legge potrebbe sorgere spontanea la reazione di riflettere sulle tante conferenze Onu che si sono avute nell'arco di questi due decenni (soprattutto le cosiddette Conferenze delle Parti per l'applicazione delle Convenzioni internazionali, come quelle sul clima, sulla biodiversità, sulla desertificazione ecc.) e a quali siano stati i loro risultati concreti, ad avere quindi un po' la sensazione di grandi eventi internazionali, più o meno di effetto mediatico ma, tutto sommato, occasioni di grandi sprechi di risorse finanziarie e di scarsi o nulli risultati operativi.

La Conferenza del 2012 (vedasi il sito della stessa www.uncsd2012.org) avrà luogo in un periodo particolarmente significativo per tutte le società umane. Siamo dal 2008 in una profonda crisi finanziaria ed economica che ha dimostrato la grande fragilità del nostro sistema economico dominante, ormai quasi fuori controllo, lasciato volutamente libero di operare senza le regole dettate dalla politica.

Come ricorda il brillante economista britannico Tim Jackson, autore del bellissimo volume "Prosperità senza crescita. Economia per il pianeta reale" (Edizioni Ambiente,  di cui ho avuto il grande piacere di curare l'edizione italiana e che sarà ospite del Wwf Italia il prossimo fine settimana all'assemblea nazionale dell'Associazione che si terrà a Foligno), in particolare nell'ultimo mezzo secolo, soprattutto nelle economie di mercato liberali, i governi hanno favorito in modo sistematico l'individualismo materialistico e incoraggiato i consumatori a cercare sempre ulteriori novità in una forte spirale di crescita continua del consumo. Questo trend è stato perpetuato, quasi sempre di proposito, dando per scontato che il consumismo fosse utile alla crescita economica, proteggesse i posti di lavoro e servisse a mantenere la stabilità. Il risultato è che lo stato si è convinto ancora di più, rispetto alle già consolidate impostazioni di economia della crescita esistenti in precedenza, che la crescita debba venire prima di qualsiasi altro obiettivo politico.

Ma il perseguimento della crescita fine a se stessa comporta una terribile distorsione del bene comune e dei valori umani di base, che mina la legittimità del ruolo del governo. Uno stato che si limita a proteggere la libertà di mercato a favore del consumismo sfrenato non ha nulla a che fare con un contratto sociale che si possa dire sensato. Lo stato dovrebbe essere il dispositivo di impegno per eccellenza della società, in prima linea nella difesa di una prosperità condivisa: è cruciale che si affermi una nuova concezione di governo che comprenda questo ruolo.

Oggi i segnali che ci indicano forti possibilità che  la società consumistica possa dirigersi verso un'autodistruzione sono veramente tantissimi ma smantellare il sistema esistente sarà realmente difficile. Di fronte a uno scenario così delicato potremmo essere tentati di rinunciare all'impresa.

L'iniziativa delle Nazioni Unite del 2012 va invece proprio nella direzione opposta.

La Conferenza cercherà proprio di individuare un terreno comune e condiviso per passare, di fatto, ad una nuova impostazione economica, basata sulle numerose riflessioni ed azioni che ci sono state in tutto il mondo in questi ultimi anni verso una Green Economy e per fornire realmente una struttura integrata alle politiche di sostenibilità.

Riuscire a realizzare questi cambiamenti si pone certamente come la sfida più grande mai affrontata dalla società umana. Inevitabilmente ci si interrogherà , tra le altre cose, sulla natura e sul ruolo degli stessi governi.

Il mondo politico, infatti, contribuisce in maniera notevole alla struttura del sistema educativo e scolastico, all'importanza accordata agli indicatori economici,agli indici di performance del settore pubblico, alle politiche di approvvigionamento, all'impatto dei piani regolatori sugli spazi pubblici e di socializzazione, all'influenza della politica salariale sull'equilibrio vita-lavoro, al peso della politica occupazionale sulla mobilità economica (e quindi sulla struttura e stabilità della famiglia), alla presenza o meno di standard obbligatori sui prodotti (per esempio in termini di durata), al grado di regolamentazione imposto alla pubblicità e ai media e al sostegno offerto a iniziative locali e gruppi religiosi.

La politica plasma e contribuisce a creare il mondo sociale in tutti questi ambiti. Questo significa che l'idea che sia legittimo per lo stato intervenire sulla logica sociale del consumismo è molto meno problematica di quanto alcuni vogliano far credere. Come ricorda Jackson quello che dobbiamo fare a questo punto è identificare e correggere gli aspetti della nostra complessa struttura sociale che incentivano l'individualismo materialistico a discapito di una potenziale prosperità condivisa.

Scrive Tim Jackson: «In un certo senso torniamo a una questione che accompagna l'umanità da sempre: si tratta, almeno in parte, di bilanciare le libertà del singolo individuo rispetto al bene comune. I meccanismi di governo sono emersi nella società umana proprio per questo. Se ne iniziano a comprendere anche i fondamenti evoluzionistici: le società in grado di proteggere il comportamento sociale hanno maggiori possibilità di sopravvivere.

Il compito principale del governo è assicurare che i beni pubblici di lungo periodo non siano compromessi dagli interessi privati di breve periodo. è dunque ironico, o meglio tragico, che i governi di tutto il mondo, in particolare quelli delle economie di mercato liberali, siano sempre stati così solerti nel promuovere la ricerca della libertà assoluta dei consumi: spesso sono arrivati al punto di mettere la sovranità dei consumatori davanti agli obiettivi sociali, e di incoraggiare l'espansione del mercato in nuove aree della vita personale degli individui.

Superare questo dilemma è fondamentale perché cambiare sarà impossibile se non abbiamo una guida determinata che ci mostri la via: i singoli individui sono troppo esposti ai messaggi della società e alla competizione con gli altri, e le imprese sono in balia delle condizioni del mercato. Prima di poter passare dal fare i nostri interessi al comportarci in modo sociale, o dalla continua novità all'attenzione per le cose che vale la pena conservare, occorre cambiare la struttura di base rafforzando l'impegno per il futuro e incoraggiando il comportamento sociale. Tutto questo richiede un'azione da parte del governo».

E' evidente che la Conferenza Rio+20 non riuscirà certo a risolvere l'incredibile groviglio di problemi che abbiano creato con un'impostazione economica che continua imperterrita a perseguire una crescita economica materiale e quantitativa, ma non possiamo considerare con sufficienza un segnale più che mai significativo, il fatto che una grande conferenza Onu finalmente affronti il vero nodo centrale di tutti i nostri problemi, l'attuale impostazione della nostra economia.

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