[15/04/2011] News

L'impatto umano sui sistemi naturali

ROMA. L'impatto umano sui sistemi naturali non sembra affatto in riduzione e, purtroppo, a fronte di questa situazione non corrisponde un'adeguata reazione del mondo politico ed economico. Nonostante i continui avanzamenti della conoscenza scientifica in merito, grazie soprattutto alle straordinarie ricerche dell'Earth System Science (vedasi il sito della più grande ed autorevole partnership mondiale dei maggiori programmi internazionali di ricerca globale, l'Earth System Science Partnership che in questa rubrica sono sempre protagonisti, www.essp.org) il vuoto politico è imbarazzante e, quando qualche cosa si muove appare lenta e sfocata.

Proprio recentemente lo scorso febbraio, durante il meeting annuale della prestigiosa American Association for Advancement of Sciences (AAAS), la struttura che pubblica settimanalmente una delle più autorevoli riviste scientifiche al mondo, la ben nota "Science", i grandi studiosi esperti del ciclo dell'azoto che fanno parte dell' International Nitrogen Initiative (vedasi il sito http://nitrogen.org ) hanno nuovamente espresso grandi preoccupazioni sulle profonde modificazioni che l'intervento umano ha prodotto al ciclo planetario dell'azoto, ben sintetizzate nel 5° Congresso mondiale sull'azoto tenutosi lo scorso dicembre a Nuova Delhi (vedasi sito www.n2010.org ) . Non solo, ma per sottolineare l'importanza anche di un impegno diretto a ridurre il nostro specifico impatto su questo ciclo, hanno anche presentato un'eccellente iniziativa per sensibilizzare tutti, compreso i singoli cittadini, al nostro impatto sul ciclo dell'azoto, attraverso un sito dedicato proprio al calcolo della nostra impronta di azoto (vedasi www.n-print.org).

La sensazione che il tempo passi senza che abbiano luogo significative reazioni ad una situazione che, purtroppo, si deteriora sempre di più è ormai molto evidente e stridente.
Importanti personaggi come, ad esempio, James Gus Speth, che oltre ad essere preside della ben nota facoltà di Forestry della Yale University, è stato tra i fondatori del World Resources Institute (che normalmente ogni due anni produce un ampio rapporto sulle risorse mondiali dal titolo "World Resources" una vera summa di dati ed informazioni aggiornate sullo stato delle risorse del pianeta) ed ha svolto il ruolo di direttore esecutivo dell'United Nations Development Programme (UNDP), hanno sottolineato il profondo senso di frustrazione rispetto al tempo che passa ed ai problemi ambientali e sociali che si aggravano.

Nel suo ultimo libro "The Bridge at the Edge of the World", Speth ricorda quando collaborò con l'allora presidente statunitense Jimmy Carter, nel gruppo di lavoro che elaborò il bellissimo rapporto "Global 2000" prodotto nel 1980.

Si tratta del famoso Rapporto al Presidente USA "The Global 2000 Report to the Presidente" realizzato dal Consiglio per la Qualità Ambientale del Dipartimento di Stato USA.
Nel Rapporto una serie di illustri studiosi fa il punto sulla grave situazione planetaria di allora e sulla necessità e l'urgenza di porvi rimedio indicando anche le strade alternative da percorrere ( Council on Environmental Quality, 1980, The Global 2000 Report to the President, United States Department on State, due volumi).

Il Rapporto esordisce con queste dichiarazioni: "Se continueranno le tendenze attuali, il mondo del 2000 sarà più popolato, più inquinato, meno stabile ecologicamente e più vulnerabile alla distruzione rispetto al mondo in cui ora viviamo. Le gravi difficoltà che riguardano popolazione, risorse e ambiente progrediscono visibilmente. Nonostante la maggiore produzione materiale, sotto molti aspetti la popolazione mondiale sarà più povera in futuro di adesso. Per centinaia di milioni di persone disperatamente povere, le prospettive di disponibilità di cibo e di altre necessità vitali non miglioreranno. Per molti anzi peggioreranno. Salvo progressi rivoluzionari nella tecnologia, la vita per la maggior parte delle persone sulla Terra sarà più precaria nel 2000 di adesso - a meno che le nazioni mondiali agiscano in maniera decisiva per modificare l'andamento attuale".

Parole che, come molte altre apparse in importanti documenti internazionali pubblicati in quegli anni, il documento ha assunto un'importanza particolarmente significativa dal momento che si trattava di un rapporto ufficiale dello Stato leader dei paesi ricchi e industrializzati della Terra, gli USA che riconoscevano ufficialmente, con dovizia di dati e informazioni, lo stato deteriorato dei sistemi naturali e la pressione umana esercitata su di essi e cercava di fornire un'autentica "sveglia" alle istituzioni per passare all'azione.

"Global 2000" ebbe infatti una vasta eco anche fuori degli Stati Uniti anche per la qualità degli specialisti che era riuscito a mettere insieme per questo straordinario sforzo collettivo di analisi e proposta.
Al rapporto ha fatto seguito, nel gennaio 1981, l'ulteriore documento "Global Future: Time to Act"( Council on Environmental Quality, 1981, "Global Future: Time To Act. Report to the President on Global Resources, Environment and Population" United States Department of State).che cerca di fornire indicazioni su cosa gli USA avrebbero dovuto fare per migliorare la situazione planetaria.

Ma quando "Global Future" fu pubblicato Jimmy Carter aveva già perso le elezioni presidenziali ed alla Casa Bianca si era insediato Ronald Reagan. "Global 2000" e "Global Future" finirono, nel migliore dei casi, nei cassetti degli uffici dell'amministrazione statunitense.

Ho seguito con grande interesse e passione il lancio dei due rapporti dei quali ho la fortuna di avere una copia e che, all'epoca, lessi con grande attenzione.
Rileggerli oggi produce certamente un effetto particolare. All'epoca non avevamo certo la conoscenza scientifica che abbiamo accumulato in questi ultimi decenni, particolarmente grazie alle ricerche delle scienze del sistema Terra ed ai numerosi satelliti da telerilevamento che ormai ci forniscono miriadi di dati sulla situazione di tutti gli ecosistemi della Terra, ma, con grande onestà, va detto che "Global 2000" rappresenta indubbiamente una sorta di summa della migliore conoscenza scientifica dell'epoca.

I migliori dati disponibili allora sul clima e le sue modificazioni, sulla perdita di biodiversità, sulla desertificazione, sugli inquinamenti, le contaminazioni ecc. erano tutti presenti e ben presentati ed argomentati.

Oggi la situazione complessiva è certamente peggiorata e, apparentemente, la sensibilizzazione di base su questi grandi temi che dovrebbero costituire il primo punto all'ordine del giorno della politica internazionale, sembra aver fatto importanti passi in avanti ma, ancora, non assistiamo ad una reazione adeguata.

Il tempo che passa, come spero abbiamo ormai tutti imparato, non gioca a nostro favore. L'inazione e il rimando è la peggior risposta da dare alle grandi emergenze planetarie che, ormai, sono palesi ed evidenti di fronte ai nostri occhi.

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