[26/05/2009] Comunicati

Globalizzazione e ambiente

ROMA. Fiumi d’inchiostro sono stati versati e nubi di bit sono state insufflate sugli effetti economici e sociali della globalizzazione. Sappiamo che l’apertura dei mercati, dopo il crollo del muro di Berlino e almeno fino alla grande crisi che stiamo vivendo in questi mesi, ha determinato un forte aumento dell’economia mondiale, ma anche un insopportabile stress sociale. Mai la Terra è stata così ricca, mai sulla Terra c’è stata tanta disuguaglianza.

Ma qual è stato l’effetto ambientale della globalizzazione? La risposta non è chiara. Tuttavia il recente articolo, The environmental consequences of globalization, pubblicato sull’ultimo numero di Ecological Economics da Jungho Baek e Yongsung Cho, dell’università del North Dakota (Usa), insieme a Won W. Koo, dell’università Corea di Seul (Corea del Sud), ci forniscono buone indicazioni.

I tre studiosi hanno preso in esame una serie di paesi – a economia sviluppata e a economia in via di sviluppo – cercando di verificare quale impatto sulle emissioni di anidride solforosa hanno avuto sia l’aumento della ricchezza, sia l’apertura dei mercati.

Lo studio è molto articolato. Ma in estrema sintesi i risultati sono questi. Nelle economie avanzate sia l’aumento della ricchezza sia l’apertura dei mercati è stata accompagnata da un miglioramento della qualità ambientale. L’inquinamento da anidride solforosa è diminuita ed è diminuita anche l’intensità di emissione (le emissioni per unità di ricchezza). In realtà ciò si è verificato dopo che i paesi hanno raggiunto l’apice della curva di Kuznets: la curva che correla appunto inquinamento e ricchezza prodotta. Questa curva, storicamente, ha un andamento a campana. Dapprima l’aumento della ricchezza si traduce in un aumento dell’inquinamento. Ma, toccato un apice, si verifica il disaccoppiamento: le ricchezza continua a crescere, mentre l’inquinamento diminuisce. La qualità ambientale diventa un valore.

L’apertura dei mercati ha accentuato questo andamento nelle grandi economie dell’occidente – dagli usa al Giappone, dalla francia alla Gran Bretagna.

Esiste tuttavia una zona grigia in cui questo andamento non si è confermato. In paesi come la Grecia, il Portogallo e la stessa israele sembra che il punto di svolta nella curva di Kuznets non sia stato raggiunto.

Ciò è ancora più vero nei paesi in via di sviluppo. Dalla Turchia allo Sri lanka, dal Messico al Perù sia l’aumento della ricchezza, sia la maggiore apertura dei mercati ha prodotto maggiore inquinamento. La globalizzazione ha prodotto un peggioramento della qualità ambientale.

C’è una sola eccezione a questa regola generale: la Cina. Nel grande paese asiatico l’intensità delle emissioni è diminuita con l’aumentare della ricchezza e l’apertura dei mercati. La Cina si sta già comportando come una grande economia matura.

Ma c’è un altro aspetto che i tre studiosi sottolineano: ed è il nesso di causalità. Nelle economie avanzate è l’aumento della ricchezza e l’apertura dei mercati che determina una maggiore qualità ambientale. Nelle economie emergenti l’apertura dei mercati ha determinato un deterioramento dell’ambiente, corroborando la cosiddetta pollution haven hypothesis: in pratica le industrie più inquinanti sono migrate dai paesi a economia matura ai paesi a economia emergente, attratti dalla mancanza di norme stringenti. In pratica in questi paesi è il peggioramento della qualità ambientale che ha aiutato la crescita della ricchezza e l’aumento dei commerci.

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