[26/05/2008] Recensioni

La Recensione. State of the World 2008 del Worldwatch Istitute

“Il mondo è molto diverso, filosoficamente e fisicamente da quello noto ad Adam Smith, David Ricardo e agli economisti del 18° secolo; diverso al punto da rendere inutilizzabile nel 21° secolo i punti chiave dell’economia convenzionale. Il rapporto con l’umanità con la natura, la comprensione delle fonti di ricchezza e degli scopi stessi dell’economia, l’evoluzione dei mercati, degli assetti statali e dei singoli individui come attori economici, tutte queste dimensioni dell’attività economica sono cambiate talmente tanto negli ultimi 200 anni da dichiarare chiusa un era economica e indispensabile un cambiamento”. Usano queste parole Gary Gardner e Thomas Prugh i coordinatori del Worldwatch Istitut nel primo capitolo della pubblicazione dello State of the World dedicato per il 2008 alle innovazioni per una economia sostenibile.

Il rapporto affronta quindi il nodo delle questioni fondamentali del nostro immediato futuro che riguarda proprio la capacità di riformare in senso ecologico l’economia. “Perché tutti i dati scientifici a nostra disposizione ci indicano che ormai è assolutamente necessario voltare pagina e imboccare strade alternative che non perseguano più la crescita materiale e quantitativa come obiettivo finale”.

Le conseguenze ambientali della corsa della crescita economica minacciano la stabilità dell’economia globale. Se poi a tutto ciò aggiungiamo gli impatti socio economici della vita moderna (come che i 2,5 miliardi di persone vivono con 2 dollari al giorno o che nelle società industrializzate è sempre più in aumento l’obesità, le malattie correlate e i disturbi psichici) ecco che la necessità di ripensare obiettivi e modalità delle economie moderne diventa evidente. Perché l’economie basate sul modello convenzionale dove la natura non è altro che un serbatoio dal quale attingere, dove il profitto è l’unico scopo sono sempre più distruttive e disinteressate al benessere dell’essere umano. E del resto per molto tempo la risposta che veniva data alla domanda “a cosa serve un economia?” è stata: produrre quantità sempre crescenti di merci e servizi.

Secondo il Worldwatch infatti, gran parte dell’attività economica tradizionale è anche indifferente al concetto di benessere dell’essere umano ossia alla soddisfazione di bisogni fondamentali come il cibo, la casa, una buona salute, relazioni solide e la possibilità di realizzare il potenziale di ogni singolo individuo. E gran parte dei consumatori-individui, ma anche dei governi credono che al crescere dei consumi corrisponda un miglioramento del benessere. Da questo punto di vista si spiega perché il perseguimento del maggior Pil sia diventato uno degli obiettivi politici fondamentali di quasi tutti i Paesi (compresa l’Italia e lo è dimostrazione il discorso di insediamento al governo del presidente Berlusconi che ha parlato esclusivamente di crescita e non di sviluppo sostenibile).

Ma la tesi secondo cui più si consuma più siamo felici secondo Tim Jackson si rivela errata, perché il livello di soddisfazione di vita a un certo punto non tende ad aumentare all’aumento del reddito: negli Stati uniti il livello del reddito pro capite dal 1950 è triplicato, ma la percentuale degli individui che dichiara di essere molto soddisfatto negli anni 70 ha registrato un calo e nel Regno unito la percentuale di individui che si dichiara molto soddisfatta è passata dal 52% del 1957 al 36% di oggi. Per non contare l’aumento delle depressioni o dei disagi psichici: il 15% degli americani (Usa) di 35 anni ha già sofferto di una forte depressione e il suicidio è la terza causa di morte più comune tra i giovani adulti.

Sembra dunque esserci una correlazione tra la crescita del Pil, quindi la crescita dei consumi e l’erosione delle cose che rendono felici le persone, in particolare le relazioni sociali.
E allora come fare? Al centro della “rivoluzione della sostenibilità” presentata da scienziati ed economisti del Worldwatch Institute c’è la proposta di affrontare la crisi ecologica - oltre che con gli investimenti nelle nuove tecnologie ecocompatibili e nella pratica del risparmio energetico (visto da alcuni come il passaggio fondamentale per arrivare alla vera svolta) - con gli strumenti del mercato. Per esempio si propone di pagare i servizi della natura: non privatizzare, ma assegnare un valore ad acqua e anche alle biodiversità. Del resto la risorsa acqua gioca un ruolo fondamentale nella partita della sostenibilità.

L’acqua infatti è fondamentale sia per l’economia sia per la vita umana: l’acqua potabile è necessaria per garantire la salute della popolazione (ma solo il 10% del consumo mondiale dell’acqua è destinato all’uso domestico), in agricoltura l’acqua è necessaria per produrre culture alimentari e fibre. E’ alla base di tutti i processi produttivi industriali, è fondamentale per produrre energia idroelettrica e per il raffreddamento delle centrali termoelettriche. E i laghi e i fiumi sono utili per il trasporto oltre a essere luoghi di pesca e attività ricreative.

Oggi l’acqua è una risorsa scarsa, ma la mancanza d’acqua deriva dalla crescita dell’economie, dall’aumento della popolazione e dal cambiamento dello stile di vita. Secondo Ger Bergkamp e Claudia W. Sadoff la sempre maggiore consapevolezza del valore dell’acqua per le economie e la sua incipiente scarsità “rappresentano una opportunità per indirizzarsi verso un economia globale sostenibile”. E i passi da fare verso questa direzione comprendono decisioni più trasparenti e condivise, investimenti nelle nuove tecnologie per la gestione della risorsa, per l’utilizzo più efficiente e un attento allineamento degli incentivi da parte dei governi (gli incentivi in generale dovrebbero convincere le imprese ad abbracciare nuovi sistemi produttivi). Innovazioni della tecnologia, nella gestione e negli strumenti di mercato (tariffazioni e prezzo del servizio).

Il Rapporto quindi non manca di annoverare alcuni esempi virtuosi come Singapore per la gestione delle acque urbane (che ha diversificato le fonti di erogazione idrica sfruttando le innovazioni nel riutilizzo dell’acqua, nella desalinizzazione, nella gestione delle acque piovane, nella gestione della domanda,negli interventi per le perdite nella rete di distribuzione e la ridristribuzione della tariffazione e delle politiche d’accesso al servizio), come la regione Heredia della Costa Rica (dove il fornitore dei servizi idrici paga i proprietari terrieri per proteggere le foreste).

Come dicevamo se dalla gestione dell’acqua e in generale di tutte le risorse naturali dipendono le prestazione e le strutture dell’economia, le politiche economiche e commerciali influiscono sulle condizioni delle stesse risorse. Ecco dunque che il Worldwatch non manca di dedicare un intero capitolo alla governance, sul ruolo che le istituzioni dovrebbero assumere per la governance economica globale in un era dove il mondo si trova in uno stato di grave confusione a causa dei profondi e frenetici cambiamenti nell’equilibrio dei poteri (crisi del Wto, ascesa di Cina e India, discesa del peso degli Usa e dell’Europa). Per Mark Halle concepire le istituzioni per la governance significa ridefinire il ruolo e i confini della supremazia degli stati tradizionalmente intesi. “Occorre trovare un nuovo assetto geopolitico, importante quanto quello emerso dal caos della seconda guerra mondiale e fondato sul riconoscimento dell’interdipendenza. Sarà anche necessario trovare il giusto ruolo per una serie di nuovi soggetti della governance globale, soprattutto imprese, organizzazioni e reti della società” Perché la sfida della governance economica globale consiste nella gestione della multidimensionalità e in questo l’Ue – sempre secondo Mark Halle - può rappresentare un possibile modello istituzionale.

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