[09/06/2008] Monitor di Enrico Falqui

Don Chisciotte e Sancho Pansa

FIRENZE. Due anni fa, quando Virginio Bettini ritornò da un viaggio “inchiesta”in Nevada, (USA)sul deposito di rifiuti radioattivi di Yucca Mountain, mi fece leggere una lettera scritta dal legale della tribù indiana degli Shoshone, Robert Hager al Ministro per l’Energia degli Stati Uniti, Samuel Bodman.

Nella lettera si denunciava il fatto che l’appalto per il più grande deposito nucleare di tutti i tempi, da costruire nelle immediate vicinanze del Nevada Test Site, a circa 160 km da Las Vegas, (dove, a partire dal 1945 furono eseguiti tutti gli esperimenti di valutazione dell’impatto prodotto dalle esplosioni nucleari) fosse stato rilasciato attraverso false informazioni, calpestando gli accordi di Ruby Valley, attraverso i quali gli indiani Shoshone e i loro eredi avevano acquisito il diritto di proprietà della riserva, nel cui territorio è ubicata una dorsale di circa 30 km che comprende la Yucca Mountain.
Questa dorsale montana, costituita principalmente di tufo, roccia formata da ceneri vulcaniche di età stimata tra gli 11 e i 13 milioni di anni, dovrebbe diventare, in seguito alla decisione dell’attuale amministrazione Bush, il deposito di oltre 77.000 tonnellate di barre di combustibile esaurito provenienti dai 103 reattori nucleari americani entrati in esercizio dal 1982.

Da quell’epoca le società produttrici di energia nucleare negli Stati Uniti, hanno versato 12 miliardi di dollari in un Fondo per le scorie nucleari e in un deposito presso terzi ad esso correlato.
L’attuale progetto di Yucca Mountain è stato appaltato per un valore complessivo di 58 miliardi di dollari e dovrà contenere anche 380.000 mc di scorie ad alta radioattività, derivate dalla produzione di plutonio per armi nucleari. La parte più interessante di quella lettera era costituita, però, dal fatto che in essa si affermava che tali costi “ non entravano a far parte del calcolo di previsione del costo finale dell’energia elettrica prodotta” e che “eventuali costi aggiuntivi derivanti dalle difficoltà di garantire la sicurezza per l’ambiente e le popolazioni limitrofe al deposito nucleare delle scorie sarebbero state considerate esterne al costo finale del kilowattore prodotto”.

In questa breve sintesi del progetto di deposito nucleare dello Yucca Mountain, ci sono delle riflessioni che dovrebbero interessare l’attuale ministro dello Sviluppo economico, Claudio Scajola, il quale infiamma ogni giorno i cuori della potente lobby europea favorevole, ad Est come a Ovest, a un rilancio in grande stile di un’obsoleta teconologia quale è quella che utilizza l’energia da fissione per produrre elettricità.
La prima riguarda l’informazione omessa che le centrali nucleari tutte (prima, seconda e terza generazione) hanno costi “esterni” al ciclo produttivo e che tali costi non entrano a far parte del “bilancio” economico effettivo dell’impianto e della tecnologia applicata per produrre elettricità.
Sarebbe come dire che l’industria alimentare non calcola i costi necessari al trasporto delle merci nei supermercati e nei negozi per fissare il prezzo finale del prodotto al consumatore.
La seconda considerazione, riguarda invece lo stretto nesso che intercorre tra nucleare civile e nucleare militare, come si evince plasticamente anche dalla scelta fatta da parte dell’amministrazione statunitense di ubicare nello stesso deposito i rifiuti provenienti dallo smantellamento delle centrali nucleari produttrici dell’elettricità e quelli provenienti dallo smantellamento degli ordigni nucleari, in conseguenza degli accordi internazionali che, per il momento, prevedono il divieto alla proliferazione di armi atomiche.

A conferma di questo inscindibile nesso, vale la pena ricordare che, già nel 2003, il governo Berlusconi aveva deciso di stanziare 360 milioni di euro in dieci anni per la messa in sicurezza del nucleare in Russia.
La collaborazione bilaterale tra governo italiano e governo russo era fondata sulla “Global Partnership” sottoscritta nel vertice dei G8 di Kananaskis, e gestita dalla Sogin insieme a Fincantieri, Ansaldo, Techint e Duferco.
In Russia il decommissioning di centrali nucleari a fine esercizio si aggiunge al risanamento di quella vera e propria pattumiera nucleare del Mar Bianco, nel quale è ubicato il più grande deposito di sottomarini nucleari ed ordigni atomici smantellati dopo la caduta del muro di Berlino.

In un documento agli atti della Commissione speciale sui rifiuti del parlamento italiano (maggio 2005) si legge, nel corso di un’audizione tra il generale Carlo Jean, presidente della Sogin, e i deputati membri : “…i nostri amici russi sono sempre molto simili a noi, anche come fantasia! Pertanto il deposito nucleare temporaneo può arrivare fino a 100 anni. Approfittando quindi dei rapporti molto buoni con la Russia, nell’ambito della global partnership, dovremo predisporre un deposito radioattivo dei motori nucleari dei sottomarini. Il deposito sarà più grande e quindi vi saranno depositati altri materiali. Si pagherà probabilmente una locazione: l’importante è risolvere un problema di scorie radioattive che in Italia non è possibile risolvere”.

Anche in questo caso, vale la pena sottolineare qualcosa di utile alle riflessioni del Ministro Claudio Scajola, impegnato nel cercare di convincere l’opinione pubblica italiana che “ dal nucleare non si torna indietro”. E’ evidente che Carlo Jean, incaricato direttamente da Berlusconi per l’individuazione del sito di deposito nucleare italiano, è arrivato, dopo la fallimentare esperienza di Scanzano, alla conclusione che lo smaltimento di tali scorie è incompatibile con la geografia ecologica e politico-amministrativa dell’Italia.
D’altra parte, il mio amico Jeremy Rifkin conferma, in una sua recente intervista su Repubblica, che il nucleare di “terza generazione” provoca una domanda di acqua di raffreddamento per il ciclo produttivo che risulta incompatibile con le mutate condizioni climatiche di molte aree geografiche italiane, che hanno suddiviso il paese in aree a forte rischio di esondazioni fluviali e in aree a forte siccità ed avanzata desertificazione dei suoli.
Risulta perciò velleitaria anche l’idea del ministro Scajola di confermare i “vecchi” siti nucleari scelti 25 anni fa dal piano energetico Bisaglia (tragicamente scomparso alcuni anni fa), la maggior parte dei quali ubicati sul fiume Po o su alcune aree costiere, oggi “erose” e densamente urbanizzate.

Il sogno ideologico del “nucleare di terza generazione” si infrange ancora oggi sull’impossibilità di definire un “cimitero” italiano di scorie nucleari e di residui del decommissioning, nonché su un Piano dei siti di nuova localizzazione di impianti nucleari per la produzione di energia elettrica.

In un Paese dove risulta spesso “impossibile” ubicare un innocuo ma utile rotore eolico, un innocuo ma utile impianto per l’uso energetico delle biomasse, un innocuo ma utile cogeneratore, la sfida “nucleare” di Berlusconi e del suo ministro Scajola assomiglia a quella di Don Chisciotte e Sancho Pansa nelle assolate pianure della Mancia.

Tuttavia, come ci insegna l’esperienza del delegato militare Carlo Jean durante il governo Berlusconi bis, c’è sempre una Russia disponibile per una “Yucca Mountain” dell’Est e c’è sempre un’Albania per individuare i siti possibili dove installare le centrali nucleari necessarie alla produzione di energia elettrica in Italia.

Ma, ci sia consentito dirlo, la “sfida nucleare” di Scajola non doveva servire a renderci “autonomi e indipendenti” nella produzione di energia elettrica, in modo da evitare i ricatti dell’Ucraina nella distribuzione del metano ai paesi europei e quelli, ancora più temibili della Libia e dell’Algeria?

Meno male che sabato a Milano, 60.000 giovani sono sfilati con allegria e determinazione nelle vie di Milano a ricordare a tutto il popolo italiano e a chi lo governa, che tale “indipendenza” potremo conquistarcela solo puntando su quelle energie rinnovabili di cui siamo potenzialmente ricchi, sapendole combinare con le necessarie innovazioni tecnologiche e con i necessari cambiamenti di vita e di sviluppo nelle nostre città e nei nostri meravigliosi territori locali.

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