[20/10/2008] Comunicati

La via ecologica al cambiamento è quella che dà maggiori risultati: sempre

LIVORNO. Oggi e domani al consiglio dei ministri europei dell’ambiente l’Italia andrà a perorare la causa che non si può andare avanti con la strategia delle tre venti, perché i costi che il nostro paese dovrebbe sostenere sono troppo alti e, di fronte alla recessione che incombe, non se li può proprio permettere.

Una posizione di retroguardia, sostengono in molti. Una reticenza al cambiamento verso un futuro che potrebbe -invece – far bene al nostro paese per evitare di perseguire la strada del declino. Verso cui d’altronde, la politica del governo, pare intenzionata a proseguire a marcia sostenuta.
Non è infatti solo l’opportunità data dalle politiche europee d’incentivazione di strategie energetiche meno impattanti sul clima ad essere messa in discussione. Ma nel suo complesso una visione di cambiamento verso un diverso assetto capace di reinventare un futuro in cui la questione ambientale, quella sociale e quella economica divengano parte dello stesso disegno.

In questo senso anche la riforma del sistema scolastico e i tagli alla ricerca muovono tutti nella stessa direzione. Che è quella di una destrutturazione dei settori che potrebbero fornire la marcia in più per uscire dal declino: formazione, ricerca pubblica e indirizzi per favorire quella privata, attraverso incentivi all’innovazione e alla riconversione di sistemi industriali in crisi. Una destrutturazione che favorisce lo status quo e fa perdere speranze di cambiamento negli strati sociali (scuola, università, impresa) che potrebbero perpetrarlo. Che avrebbero, a maggior ragione in un periodo di crisi planetaria che investe l’ambiente e l’economia, un bisogno ineludibile di strumenti per poter andare avanti, dimostrando (se ancora ve ne fosse bisogno) quanto il primo sia sovraordinato al secondo e non viceversa.

Invece si frena sulle misure per contrastare i cambiamenti climatici non mettendo nemmeno a tema quanto questi potrebbero significare in sviluppo di filiere economiche basate su nuove tecnologie, in crescita nel campo della ricerca, dell’impresa, della conoscenza, di nuova e stabile occupazione. Si taglia il settore della ricerca, si prevedono misure di salvataggio per alcuni settori della grande industria, e si lascia al suo destino tutto il resto.

Ignorando anche quel poco che già esiste e che sta dimostrando che la strada, se percorsa con i mezzi giusti, porta lontano. Salvo poi elogiare – con un andamento a corrente alternata- quei settori che con numeri alla mano dimostrano che la via ecologica al cambiamento è quella che dà maggiori risultati. Come ha fatto il Ministro dell’ambiente, Stefania Prestigiacomo, riguardo ai risultati della ricerca condotta da Ambiente Italia, sul riciclo dei rifiuti che dimostra che operare in quel settore offre (oltre ad essere un elemento di civiltà per un paese) anche una straordinaria opportunità di ottenere benefici nel campo energetico e di riduzione delle emissioni di anidride carbonica. Risultati che secondo la Prestigiacomo attestano la possibilità di «trasformare potenziali vincoli in straordinarie opportunità sul versante industriale». Come se fossero altra cosa rispetto alle politiche europee per combattere i cambiamenti climatici, che la Prestigiacomo oggi e domani andrà a contestare a Bruxelles.

Come se non avessero bisogno quei risultati per andare avanti e per tradursi in cifra stabile non solo sul comparto del riciclo dei rifiuti, ma su tanti altri settori industriali, dal comparto energetico alla mobilità, alle risorse idriche, alla produzione di qualità, di una ricerca a supporto per potersi trasformare in «straordinarie opportunità sul versante industriale». Che si potrebbe trasferire poi in quello dei servizi e che potrebbe quindi rappresentare in una straordinaria capacità di un futuro migliore per il paese e per i cittadini.

La dimostrazione che dà di sé la politica di questo governo è invece di uno strabismo scoraggiante: si tagliano 8 miliardi in tre anni al settore della scuola, come se non fosse la cultura alla base del futuro di un paese, si toglie quel poco di ossigeno rimasto alla ricerca, togliendogli un miliardo e mezzo di finanziamento pubblico e rendendo impossibile il lavoro (già precario) dei ricercatori, come se non ne avessimo bisogno. Si frena sul pacchetto europeo clima energia per salvare l’industria e l’economia italiana e sempre con quell’obbiettivo si rispolverano incentivi alla rottamazione delle auto e si prevedono misure per rivedere ( a favore delle imprese) le previsioni di costo delle opere pubbliche in caso di aumento dei costi dei materiali da costruzione. Perché il modello è ancora quello del boom degli anni cinquanta: automobili, grandi opere e case per tutti ( e quindi via all’industria del cemento e del mattone), grandi centrali di produzione energetica (e quindi via al nucleare). E in questo modello ci sta bene anche il ritorno al maestro unico, che allora era l’unico dispensatore di istruzione per un paese di analfabeti.

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