[16/06/2009] Rifiuti

Assoambiente: pochi impianti per trattare i rifiuti e poco mercato per i prodotti riciclati

LIVORNO. Non sono scenari ottimisti quelli disegnati dal rapporto su “Gli impianti per il trattamento dei rifiuti in Italia”, presentato stamane a Roma da Fise Assoambiente, l’associazione che in Confindustria rappresenta le aziende che operano in campo ambientale.
Nei prossimi due anni le discariche distribuite sul territorio nazionale raggiungeranno i limiti autorizzati e non potranno, salvo eventuali nuove autorizzazioni o ampliamenti delle capacità esistenti, accogliere ulteriori quantità di rifiuti. Quindi la situazione d’emergenza vista in Campania e adesso anche in Sicilia, potrebbe diventare lo standard di molte regioni. A patto che non vengano individuate e progettate tempestivamente soluzioni di smaltimento alternative.
La ricerca, curata dalla Fondazione Sviluppo Sostenibile, ha preso in esame gli impianti di trattamento dei rifiuti presenti in Italia, evidenziando come, tra le diverse modalità di gestione, il conferimento in discarica ricopra ancora un ruolo dominante sia per i rifiuti urbani (47%), sia per quelli speciali, pericolosi e non (44%).

Dati questi numeri, a breve l’Italia dovrà fare i conti con l’esaurimento delle capacità residue disponibili e in assenza di necessarie soluzioni alternative in linea con i principi fissati in ambito europeo, non sarà possibile gestire a livello nazionale i rifiuti non avviabili al riciclo (circa 59,3 milioni di tonnellate nel 2007) e quelli prodotti al termine dei processi stessi del riciclo.
A rendere la situazione più allarmante ci sono i tempi amministrativi e tecnici che allungano in genere di molto l’iter dalla pianificazione alla realizzazione di nuovi impianti, che in media si aggirano da un minimo di quattro anni ad un massimo di quasi sei.

«Per evitare future probabili situazione di emergenza- ha dichiarato Pietro Colucci, Presidente di Fise Assoambiente – è necessario promuovere un sistema impiantistico integrato, generazionale (almeno 20 anni), supportato da un quadro normativo stabile ed omogeneo, caratteristica fondamentale per garantire i necessari investimenti. A ciò si deve aggiungere una regolazione del mercato che favorisca lo sbocco dei materiali riciclati, per evitare la sottoutilizzazione delle capacità autorizzate, il blocco dello sviluppo di processi tecnologici e il mancato raggiungimento degli obiettivi di riciclaggio fissati in ambito europeo».

Insomma si deve avviare un sistema di gestione dei rifiuti, così come si dice dalla riforma avviata ormai nel secolo scorso dal decreto Ronchi, ma che ancora non ha visto la luce nel nostro paese, se non in qualche rara eccezione e che principalmente la si trova nelle regioni del nord.
Dal rapporto emerge bene la forte disomogeneità nella distribuzione degli impianti di trattamento e di smaltimento sul territorio nazionale.

Gli impianti dedicati al recupero dei rifiuti sono 6.404, con una capacità di trattamento autorizzata annua di 150,8 Mton., distribuita in modo disomogeneo in ambito nazionale. E su questo settore gravano oggi numerosi fattori che ne ostacolano un potenziale ulteriore sviluppo industriale. I motivi – si legge nel rapporto- sono legati non solo alla possibilità di migliorare la qualità delle raccolte differenziate e allo sviluppo tecnologico degli impianti di riciclo, ma soprattutto alle difficoltà relative alla creazione ed al potenziamento degli sbocchi di mercato per le Mps (materie prime secondarie), in particolare nell’attuale momento di crisi dei mercati e di crollo delle quotazioni dei materiali riciclati, anche per la concorrenza con i mercati esteri.

Sullo smaltimento l’alternativa alla discarica è ad oggi poco praticata. La percentuale dei rifiuti, urbani e speciali, con o senza recupero energetico, avviati all’incenerimento in Italia è pari al 12% (la media in ambito europeo è di oltre il 20%). E anche in questo caso la capacità di recupero energetico è distribuita in modo disomogeneo sul territorio nazionale: 69,8% al Nord, 14,6% al Centro e 15,6% al Sud.

Ma la disomogeneità la si riscontra anche nei sistemi autorizzativi in ambito nazionale, non solo per le diverse modalità di attribuzione dei codici di smaltimento o recupero, ma anche per i differenti livelli di efficacia ambientale delle stesse autorizzazioni/comunicazioni.

Per questa ragione Assoambiente da anni sostiene la necessità di linee guida nazionali in grado di risolvere, ed evitare in futuro, questa grave disomogeneità che porta anche come conseguenza al turismo dei rifiuti tra una regione e l’altra, quando non addirittura all’esportazione verso altri Paesi, europei e non, come evidenziato dal rapporto che sempre Fise Assoambiente ha presentato qualche tempo su “Il movimento transfrontaliero dei rifiuti”.

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