[29/11/2006] Rifiuti

La Germania ci fa da pattumiera: perché l´Italia è più ambientalista?

LIVORNO. Non ci sono solo i traffici illegali verso la Cina, come quello di cui si parla nell´articolo precedente. E´ partito ieri mattina, poco dopo le 11,15, dallo scalo ferroviario interno allo stabilimento Acna di Cengio, un treno carico di rifiuti provenienti dai lagoons con destinazione la miniera di salgemma Gts di Teutchsental, nell´ex Germania dell´Est. Il convoglio è l’ultimo di una lunga serie che è iniziata quattro anni e che ha trasferito nel deposito tedesco 132.015 tonnellate di sali essiccati corrispondenti a 90.224 big bags. Prima fase della bonifica dell’area occupata un tempo dall’Acna e adesso di proprietà Syndial, società del Gruppo Eni, che ha rilevato il sito ex Acna con il compito di bonificarlo.

Dalla Campania per adesso i rifiuti accumulati per l’ennesima fase di emergenza non andranno in Germania, che ne ha accolti due anni fa diverse migliaia di tonnellate, perché per il momento saranno sufficienti le discariche di altre regioni che per federalismo solidale o business si sono dette disponibili a supportare la fase di emergenza.

Ma l’ex paese del marco, preso spesso a modello per aver fatto da apripista nel settore della gestione dei rifiuti, è non solo in casi eccezionali capolinea di rifiuti che provengono anche da altre regioni italiane e non in emergenza, come la Lombardia e la Toscana. Rifiuti che vanno, rifiuti che vengono, potremo dire.

Non è infatti un segreto, anche se da questo punto di vista le notizie sono in genere molto meno prolifiche, che dalle regioni industrializzate e organizzate del centro nord in maniera più ordinaria che straordinaria, si effettuino trasferimenti dei rifiuti prodotti nei loro territori e dalle loro imprese proprio nelle regioni commissariate e in emergenza in media da una decina d’anni, e spesso anche in Germania, che offre servizi efficienti a prezzi ragionevoli.

Oggetto di questi trasferimenti sono quasi sempre rifiuti che convenzionalmente vengono classificati nella categoria degli speciali, data la loro origine industriale e non domestica, ma di fatto sempre di rifiuti si tratta.

Un mercato che spesso contribuisce a ingrossare il settore delle Ecomafie, che come ha dichiarato l´alto commissario anticorruzione Gianfranco Tatozzi nel presentare al Cnel lo studio realizzato dall’istituto che preside, è diventato un vero e proprio «sistema eversivo di contropotere capillare ed insidioso in grado di condizionare e gestire il mondo del lavoro e rilevanti settori economici ed amministrativi».

Un giro d´affari, quello dell´ecomafia, che è arrivato a gestire quasi 180 miliardi di euro in poco più di dieci anni e che conta oltre 200 clan criminali coinvolti nell´illegalità ambientale, come da anni Legambiente denuncia con il suo annuale rapporto sul fenomeno. E come anche lo studio dell´Alto commissario sottolinea, quando dice che ormai «il traffico di rifiuti pericolosi trattati e smaltiti con sistemi illegali costituisce una vera attività economica, lucrosa e ben sviluppata» e che produce «una pressione ambientale drammatica e l´acquisizione di rilevanti profitti per le organizzazioni criminali».

Un fenomeno conosciuto, anche nei suoi meccanismi più profondi. Un fenomeno analizzato a tutti i livelli, dalle forze dell’ordine impegnate ormai con i propri corpi specializzati in filoni di indagine che portano quasi quotidianamente ad arresti e sequestri di impianti; alla magistratura che ha aperto processi importanti, dalle istituzioni che hanno dato vita alla commissione ormai permanente sul ciclo dei rifiuti, all’associazionismo, in particolare Legambiente che ha avuto il merito di mettere in fila i tanti elementi che hanno portato a comprendere il fenomeno nella sua complessità, al giornalismo.

Si è parlato di danni all’ambiente che questo problema ha creato e da un po’ di tempo si parla anche delle devastanti ripercussioni su settori economici strategici e importanti per il paese. Si torna a chiedere a gran voce che i delitti contro l´ambiente vengano introdotti nel nostro Codice penale, Legambiente lo chiede da anni, per contrastare il fenomeno.

Ma se è sicuramente importante e urgente una riforma essenziale del nostro ordinamento in materia di tutela giuridica dell´ambiente che possa contrastare il fenomeno dell´ecomafia, è altrettanto importante e urgente agire anche dal lato prevenzione oltrechè dal lato repressivo. Come denuncia anche chi opera in prima linea in questa lotta impari. Donato Ceglie alla domanda se basta la repressione per sconfiggere l’ecomafia, postagli in una intervista di Peppe Ruggiero (pubblicata su Pianeta Rifiuti) risponde infatti: «Non c’è dubbio che l’articolo 51 bis ha dato la possibilità al mio e ad altri uffici di procedere ad arresti e dare risposte repressive molto efficaci» e che «l’inserimento degli articoli sui nuovi reati ambientali nel nuovo codice penale (…)rappresenterebbero uno strumento di gran lunga più efficace (…)La soluzione del problema passa attraverso una più diffusa coscienza e sensibilità istituzionale e attenzione al rispetto delle regole (e quanto siano chiare le regole lo rilevava anche ieri greenreport, ndr). Il sistema Italia si deve munire di impianti e di reti che consentano una corretta gestione del ciclo dei rifiuti».

E’ evidente quindi che una sanzione penale oltrechè di tipo economico e amministrativo sarebbe un importante deterrente soprattutto per sfilacciare il fenomeno dei traffici illeciti nel settore dei rifiuti, ma il problema andrebbe affrontato soprattutto all’origine, ovvero a livello strutturale e di controllo laddove i rifiuti vengono prodotti.

Si legge infatti in un passo delle conclusioni del documento della Commissione parlamentare d´inchiesta sul ciclo dei rifiuti e sulle attività illecite ad esso connesse, approvato dalla Camera il 25 ottobre 2000, che «ad alimentare il mercato illecito sono anche industrie a rilevanza nazionale ed internazionale, comprese aziende a rilevante partecipazione di capitale pubblico. Per tutte il minimo denominatore comune e` la ricerca dello smaltimento al minor costo, senza alcun controllo sulla destinazione finale del rifiuto. Nella gestione illecita del ciclo dei rifiuti non si registrano forme di concorrenza o scontri come invece accade in altri settori criminali (traffico degli stupefacenti o controllo del racket): il business e` evidentemente talmente consistente da rendere preferibile la collaborazione alla concorrenza spietata. (...)».

Controlli alla fonte (cioè alla produzione) e dotazione infrastrutturale dunque. Senza questi due elementi, per dirla con il lessico antagonista, la Germania continuerà a «farci da pattumiera» e il dubbio di chi sia sulla strada sbagliata continuerà a non venire a nessuno.

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