[15/01/2007] Energia

"I veri costi dell´energia nucleare", ma i conti non tornano

PISA. Conveniente, veloce da realizzare, senza emissioni, con una vita più lunga e un rendimento migliore. E’ questa la via italiana del ritorno al nucleare pensata e presentata, in uno studio di una ventina di pagine intitolato "I veri costi dell´energia nucleare" dal dipartimento di ingegneria meccanica nucleare e della produzione dell’Università di Pisa (a firma di due dottorandi, Vincenzo Romanello e Guglielmo Lo Monaco, e del professor Nicola Cerullo).

Colpiscono in particolare 5 punti di questo studio prodotto del novembre del 2006 e ripreso dal Sole 24Ore di sabato scorso: il costo di produzione dell’energia che scenderebbe fino a 3 centesimi di euro; i cinque anni di tempo previsti per costruire una nuova centrale (“dal primo tratto di penna sul progetto all’accensione dei reattori”); il prolungamento della vita dell’impianto a 60 anni; il rendimento del 37%. Colpisce inoltre l’assenza o quasi di spiegazioni relative a come superare il problema della sicurezza e quello delle scorie e del decommissioning. Abbiamo quindi chiesto un commento a Massimo Scalia, ex deputato dei verdi, ex presidente della commissione parlamentare d´inchiesta sul ciclo dei rifiuti, membro del comitato scientifico di Legambiente.

Scalia, che ne pensa di questa tesi che arriva dall’università di Pisa?
«Andiamo con ordine e partiamo dalla questione del tempo necessario a costruire un impianto. Loro parlando di 5 anni, ma la tempistica media varia da 11 a 18. Prendiamo ad esempio l’ultima centrale in costruzione, quella a Olkiluoto in Finlandia. Ebbene, se ne è cominciato a parlare nel 97 e ne hanno cominciato la costruzione un anno e mezzo fa. Peraltro in questo primo anno e mezzo hanno già accumulato 10 mesi di ritardo. Tutto perché vengono continuamente posti problemi di sicurezza da parte delle amministrazioni locali».

Parliamo dei costi di produzione e della vita di una centrale.
«Il costo di produzione nei Paesi dove c’è il nucleare varia da 5,3 centesimi in Francia a 6,1 negli Usa. Come in Italia si possa riuscire ad arrivare a 3 centesimi proprio non lo capisco. Terzo punto, il prolungamento della vita di una centrale può, in teoria, essere maggiore di quello attuale. Va detto però che nessuna delle centrali in funzione ha ancora compiuto 60 anni, perché sono state costruite negli anni Cinquanta e diverse delle prime sono state già smantellate. Quindi è teoria, come è teoria, anche se possibile, che si possa innalzare l’aumento di rendimento dall’attuale 30-31% al 37. Fin qui i punti della tesi, ma ci sono altre cose da dire».

Quali?
«Innanzi tutto che in Italia non si costruisce una centrale nucleare dagli anni Ottanta e quindi non se ne sa praticamente più nulla. Oltretutto il know how anche allora era degli americani e gli italiani dovevano chiamarli per ogni minimo problema agli impianti. Lo stesso Rubbia ha poi posto 15 anni fa il problema di trovare un processo veramente sicuro cominciando a ricercare la cosiddetta sicurezza intrinseca, ovvero data dalla fisica e non da apparecchiature di controllo. Nello studio di Pisa, invece, questo problema non viene quasi affrontato. Come non viene affrontato quello delle scorie. Infine, va fatta una valutazione di fondo: la comunità scientifica mondiale pone come priorità per la lotta alle emissioni quella del risparmio energetico. Perché allora noi italiani, veramente con un atteggiamento da provinciali, vogliamo ogni tanto tornare a metterci su questa strada del nucleare che neppure la comunità scientifica considera prioritaria?».

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