[22/02/2006] Consumo

Martini a greenreport: «L’ecoefficienza è la strada per la sostenibilità»

FIRENZE. La Toscana che verrà nell’analisi del suo governatore, il presidente della giunta regionale Claudio Martini (nella foto). Greenreport gli ha posto alcune domande su crescita, ambiente e sostenibilità.
Tutte le analisi convergono del delineare la Toscana come regione in stagnazione-recessione economica. Il gruppo di studio «Toscana 2020» prevede un futuro di slow groth (crecita lenta). In questa situazione alcuni parametri, come l’occupazione, sembrano, almeno al momento, andare in controtendenza (Istat). Lo stato dell’ambiente invece, sembra non svincolarsi dalla tenaglia fra salvaguardia e degrado e di non saper imboccare la strada dell’ecoefficienza. Quantità e qualità dello sviluppo, anche in Toscana, sono in continuo cortocircuito (infrastrutture, rifiuti, industria, turismo). Qual è la chiave secondo lei, se ce n’è una, per sintonizzare quantità e qualità, sostenibilità ambientale, sociale ed economica?
«Ecoefficienza e buone pratiche di sostenibilità. Sono le parole d’ordine per uno sviluppo intelligente dell’economia toscana, un percorso che la Regione ha già intrapreso attraverso tutta una serie di azioni e strategie inserite nel Piano regionale di azione ambientale. Il Piano regionale definisce, per le politiche settoriali come energia, acqua, aria, rifiuti, obiettivi concreti da conseguire. Un programma di azioni trasversali alle diverse tematiche ambientali (come ricerca e innovazione, educazione ambientale e comunicazione). Un unico documento che recepisce le indicazioni dei piani e degli atti di indirizzo approvati a livello nazionale e internazionale. La strategia del Piano definisce e delinea le priorità ambientali in riferimento a 4 diverse aree di azione: cambiamenti climatici, natura e biodiversità, ambiente e salute e qualità della vita uso sostenibile delle risorse naturali e gestione dei rifiuti. Il Piano si rivolge sia alle imprese che alle istituzioni pubbliche ed ai cittadini, per incentivare il cambiamento verso l’uso efficiente dell’energia e la consapevolezza nei comportamenti individuali e collettivi a favore di una sostenibilità di lungo periodo. Nel 2000 avevamo una percentuale di energia da fonti rinnovabili calcolata rispetto al fabbisogno toscano del 25% contro una percentuale attuale del 30%. Ci poniamo l’obiettivo al 2012 di raggiungere il 50% della copertura del fabbisogno elettrico con fonti rinnovabili ed il 20 % del fabbisogno complessivo di energia. Sul terreno della sostenibilità ambientale l´obiettivo è di ridurre al 2012 di almeno 4 milioni di tonnellate di anidride carbonica – rispetto al livello del 2002 – le emissioni di gas serra prodotte dal settore energetico, raggiungendo gli obiettivi del Protocollo di Kyoto.
Un’altra via che vogliamo continuare a percorre è quella delle certificazioni, sia di tipo ambientale che di tipo sociale. La Regione Toscana è venuta incontro alle piccole e medie imprese mettendo a disposizione fondi pubblici per l´acquisizione della certificazione di responsabilità sociale Sa 8000 e degli altri standard relativi alla qualità e all’ambiente (Iso 9001: Vision 2000, Iso 14001, Emas, Ecolabel). In oltre abbiamo esteso l’agevolazione sull’Irap che scende al 3,75 per le aziende Sa 8000. Grazie anche a interventi come questi la Toscana è divenuta la Regione con il maggior numero di imprese certificate (84 e, in arrivo, ce ne sono altre 200) in Italia e nel mondo».

Un grande pensatore del secolo scorso ebbe modo di rilevare che la quantità senza la qualità è possibile, l’opposto non è possibile. Ma è possibile pensare e pianificare una crescita quantitativa dell’economia illimitata, sia pure di qualità?
«Ritengo che un’economia del «vivere bene» sia possibile. Una sorta di soft economy fondata su valori non misurabili esclusivamente con il metro della quantità: la cultura, il paesaggio, le valenze simboliche, la creatività, la storia. Esistono, nel nostro Paese, molti casi di successo imprenditoriale, di chi non ha voluto violentare il territorio e l´ambiente naturale e storico, ma ha saputo rispettarlo e valorizzarlo, facendo leva sulle nuove tecnologie per farlo diventare un´occasione produttiva straordinaria.
L’Italia è il Paese del buon gusto, dello stile, della dimensione estetica come una dimensione essenziale della vita. Non si tratta soltanto di un dato culturale ma economico come testimonia il fatto che il Made in Italy in mille settori sia sinonimo di qualità, forza e buon gusto. Si tratta di trasformare l’orgoglio italiano in possibilità di sviluppo. Trasformare la cultura, la storia, l’attualità del nostro territorio in ricchezza, lavoro e anche orgoglio».

Le discussioni sulla crescita economica sono sempre e comunque basate sulla misurazione attraverso lo strumento del Pil. Quasi tutti sono consapevoli della incapacità di questo strumento di misurare il livello di benessere e di qualità della vita complessiva (si sommano i mali con i beni). Tuttavia un analogo strumento per misurare la sostenibilità delle attività economiche e dell’uomo sulla natura non è ancora stato attivato (o non è utilizzato). Bilanci ambientali, Contabilità ambientale, Vas, Agende 21, non si incrociano, né si integrano minimamente con le scelte economiche. Il dibattito è strabico, come la lotta politica: sull’economia si discute in termini di indicatori e di numeri, sull’ambiente si discute in termini politico-filosofici e di punti di vista astratti da misurazioni. Come si fa a discutere di quantità della crescita se non sappiamo quanta aria, quanta acqua, quanto territorio, quante risorse abbiamo a disposizione? Come si fa uscire dalle secche dell’ideologia il concetto di sostenibilità se non si sa qual è il limite oltre il quale c’è l’insostenibilità? Non sarebbe il caso che la discussione sul prossimo Piano regionale di sviluppo si facesse partire da come si recupera questo deficit di conoscenza? Cioè, dallo stabilire quali sono i limiti entro i quali deve svilupparsi la crescita economica e, quindi, dove si ritiene prioritario sviluppare scelte di qualità per non superare questi limiti? Non sarebbe il caso di affiancare (anzi, di far precedere) ad uno strumento come il Prs un analogo strumento (Prca, Piano regionale di contabilità ambientale) che metta finalmente anche «la natura nel conto»?
«Nel caso della Toscana sappiamo che, in base a un sistema di calcolo approssimativo ma corretto, consumiamo il doppio di risorse che ci potremmo permettere in termini di equità, cioè in termini di equa ripartizione nel pianeta delle risorse naturali disponibili. Il grande problema per il futuro dell’umanità e delle grandi questioni che oggi attanagliano il pianeta dal punto di vista della sostenibilità ambientale e del funzionamento dei processi economici è come mettere in discussione questa domanda, come governare questa domanda crescente di energia, di acqua, di servizi legati all’aumento della produzione e come trattare il problema dei rifiuti non solo nella fase «finale» dello smaltimento. Non possiamo permetterci di pensare solo in termini di produzione di beni materiali ma sempre di più in termini di qualità della vita. Bisogna puntare sempre di più sull’ecoefficienza, che significa mettere in discussione il modo in cui si produce e si consuma, ed è questo l’approccio, preventivo e integrato, che abbiamo cercato di dare al Piano regionale di azione ambientale.
Per quanto riguarda il Prs occorre sostenere le nostre produzioni con forza ed intelligenza. Vogliamo far crescere la proiezione internazionale delle imprese toscane nel mondo e l’aumento del flusso di investimenti nel territorio della nostra regione. Nel riorganizzare e qualificare la nostra struttura produttiva grande attenzione sarà posta alle politiche di filiera e alla necessità di aggregarsi. Il nuovo Prs prende le mosse da un incontro tra tutti gli istituti di ricerca, a tutti i livelli: va creata una base di partenza alla cui costruzione devono partecipare tutti. Se saremo capaci di questo nuovo slancio riusciremo a garantire un modello culturale e di sviluppo fondato sulla qualità e sulla sostenibilità. Quando parliamo di sostenibilità, dobbiamo considerare che questo è un concetto globale e per quanto noi possiamo fare, intendo noi paesi europei più “sensibili” al problema ambientale, dobbiamo tenere conto dei processi in atto nei grandi paesi del nuovo sviluppo in particolare in Asia. Senza un coordinamento globale e un sistema di scelte condivise a quella scala sarà difficile «essere sostenibili» in un solo paese.

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