[14/06/2007] Energia

Comprare il petrolio per lasciarlo dov´è: la scommessa dell´Ecuador per salvare la foresta amazzonica

LIVORNO. Le modalità per fare valere il patrimonio di cui i paesi in via di sviluppo sono ricchi, si arricchiscono di una ulteriore possibilità. Dopo Chevez che va in giro per il mondo a chiedere servizi per ammodernare il paese in cambio di greggio, dopo Lula che pensa di trasformare in commodities i biocarburanti che può produrre nei suoi estesissimi territori, adesso il presidente dell’Ecuador, Correa lancia da Quito una proposta innovativa per proteggere l´ambiente e le popolazioni indigene del parco nazionale Yasuní, che si trova nell´Amazzonia centro-meridionale ecuatoriana dichiarato patrimonio dell´umanità dall´Unesco nel 1979 per il suo inestimabile valore ecologico, facendo comunque perno sui giacimenti petroliferi che esistono in quell’area.

L’idea del presidente dell’Ecuador è quella di vendere il petrolio presente nel suo paese, senza però estrarlo. Correa ha presentato infatti la proposta di vendere “crudo represado”, cioè petrolio che rimanga compresso nel sottosuolo, per impedire che nel parco Yasuní, che non è stato risparmiato in questi anni dalle attività impattanti dell´industria petrolifera, si apra una nuova ferita di 200.000 ettari, che sarebbe rappresentata dall’estrazione nel blocco Ishipingo-Tambococha-Tiputini (ITT), che fino a poche settimane fa si stava negoziando con l´impresa statale brasiliana Petrobras.
In pratica di metterebbe in vendita il “titolo” rappresentato dalla presenza di greggio, anziché la possibilità di estrarre materia prima per l’industria della raffinazione: il patrimonio anziché i benefit da esso derivati.

La proposta del “crudo represado” è partita originariamente dalla società civile ecuadoriana e da alcune organizzazioni ambientaliste, ed è stata poi fatta propria dal ministro dell´energia Acosta nel marzo 2007, che l´ha inserita nello spettro di possibilità su cui il presidente Correa avrebbe dovuto deliberare.

Le varie possibilità che si prospettavano nell’ambito delle comuni procedure erano infatti o lasciare che l´impresa statale brasiliana sviluppasse il campo petrolifero con mezzi propri per trarne poi le classiche royalties, oppure la ricerca di alleanze strategiche con altre imprese statali latino-americane, o infine che si aprisse una fase di licitazione a cui partecipassero imprese statali internazionali. La scelta di Correa è andata invece verso quella che sembrava la meno scontata, anche perché apparentemente quella che avrebbe portato meno soldi nelle casse statali. Dal momento che lo sfruttamento del pozzo presente nel parco Yasuní , avrebbe potuto produrre ben 108.000 barili al giorno nei primi 17 anni, con una entrata economica notevole per il paese.

Correa ha infatti optato per una scelta senza precedenti, comunicando che il petrolio rimarrà nel sottosuolo, e attraverso quali meccanismi si cercherà di ottenere una compensazione economica equivalente a quella di sfruttare la risorsa.
Il governo emetterà dei buoni per vendere il greggio senza estrarlo, con la speranza che a comprarli siano persone, gruppi, ong, organizzazioni a livello nazionale e internazionale, e di cooperazione governativa. Una sorta di azionariato popolare verso un capitale naturale, con l’obiettivo di salvaguardare adesso il territorio e le popolazioni che lo abitano e lasciare alle future generazioni il patrimonio che contiene in termini di petrolio. L’operazione sarà gestita nella sua fase dal gruppo Amazzonia per la vita, mentre il governo si occuperà di verificare e controllare l´interesse dei paesi stranieri a comprare i buoni.

Il prezzo di un buono, una sorta di barile di greggio virtuale, calcolato tenendo insieme sia il costo effettivo di un barile di greggio sia il valore di una tonnellata di anidride carbonica evitata, sarà di 5 dollari e potrà essere comprato attraverso il web, campagne locali di raccolta fondi, donazioni della cooperazione, ed altre opportunità tipo i convegni tra i governi per condonare il debito estero. In questo modo si pensa di poter coprire il 50% dei guadagni che si otterrebbero con l´estrazione del petrolio, a cui vanno aggiunti i costi risparmiati dallo Stato per non dover bonificare l´area di estrazione petrolifera.
I fondi ricavati saranno destinati ad attività tese a liberare il paese dalla dipendenza dalle esportazione del petrolio e al consolidamento della sovranità alimentare dell´Ecuador. E a prima vista sembrerebbe di poter dire che per una volta il bilancio ambientale e anche quello sociale potrebbero essere in attivo.

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