Il M5S propone un “reddito di cittadinanza” contro la povertà in Toscana

L’1% del bilancio regionale per aiutare i poveri senza lavoro, cercando loro un’occupazione

[20 Ottobre 2016]

I numeri rimangono confusi, come anche i termini, ma la proposta di un “reddito di cittadinanza” avanzato dai consiglieri toscani a Cinque stelle meriterebbe ulteriori approfondimenti. «In Toscana – dichiarano i pentastellati – vivono 155 mila famiglie in povertà assoluta. Con la nostra proposta in tre anni potremmo portarle a zero, al costo di circa l’1% del bilancio regionale: 173 milioni».

In realtà le statistiche ufficiali riportano numeri più ridotti, per quanto drammatici. L’incidenza delle famiglie toscane con potenziale disagio economico, come ricordato recentemente dalla Regione, è quasi la metà di quella che si può riscontrare mediamente in Italia, e si concretizza in 54.000 nuclei familiari e 139.000 persone schiacciate nella condizione di povertà relativa, che diventano 82.200 famiglie guardando alla povertà relativa e circa 204.000 se si osservano quelle in condizione di deprivazione.

La proposta del M5S si concentra invece su «quella quota di persone con reddito irpef annuale sotto i 9360 euro e Isee inferiore a 6500, disoccupati o inoccupati, da almeno 3 anni residenti in Toscana». Tecnicamente non si tratta dunque neanche di un reddito di cittadinanza, ma di un reddito minimo garantito indirizzato a chi non ha lavoro. A questa platea la proposta M5S invita a recarsi «al Centro per l’Impiego e siglare un accordo chiamato Programma di azione individuale (Pai) mirato al loro ricollocamento. Riceveranno quanto serve loro per arrivare al tetto di dignità di 780 euro mensili di reddito netto, mentre riceveranno fino ad un massimo di 3 proposte lavorative. Se le rifiuteranno perderanno l’integrazione al reddito».

«Aiuteremo così circa 58mila toscani l’anno e in tre anni potremmo portare tutti fuori dalla povertà assoluta», ha dichiarato il primo firmatario della proposta, il consigliere regionale Andrea Quartini. Con quali risorse? «I 173 milioni ci sono, sono presi soprattutto da Fondi Liberi, non vincolati, dove la scelta è solo politica», insiste la vicepresidente della commissione Sviluppo economico e rurale Irene Galletti. «Abbiamo ricollocato alcuni fondi – dettaglia il capogruppo M5S Enrico Cantone – come quello per il sostegno all’occupazione, e soprattutto FSE del quale prendiamo il 12%. Poi abbiamo cercato di recuperare importi per noi “sprecati” come il 30% del capitolo “Interventi istituzionalità in Sanità” che non c’entrano niente con il servizio sanitario e riguardano convegni e cerimonie. Oppure la riduzione del 20% dei fondi per il Consiglio Regionale dal quale recuperiamo 4,2 milioni o ancora la riduzione del 10% del contributo a Toremar che da anni beneficia, pro domo sua, del crollo del prezzo del carburante. Abbiamo inserito tra le coperture anche alcune entrate aggiuntive, legate ai redditi alti, che però sono evitabili rimodulando ulteriormente Fse e altri Fondi Europei sull’inclusione sociale».

Giusta o sbagliata che sia la platea dei beneficiari, come quella delle fonti di finanziamento, la proposta si presenta in Consiglio regionale come un monocolore Cinquestelle e, ad oggi, sembrano più che scarse le possibilità per un successo politico. Rimane però interessante e meritevole d’attenzione il problema sollevato, e la soluzione che incrocia politiche attive per la ricerca di lavoro (qualificato, sostenibile?) con un sostegno per il periodo trascorso in assenza di reddito sufficiente.

Nonostante la performance della Toscana sia meno preoccupante della media nazionale, l’ombra della povertà avanza sul territorio e non si ritrarrà facilmente: anche se la crisi economica finalmente retrocedesse, la minaccia della disoccupazione tecnologica rimane dietro l’angolo. Il governo regionale, tra i più attivi sul tema a livello nazionale ma anche europeo, preme per l’introduzione di una misura universalistica di sostegno, puntando in particolare sul Reis (Reddito di inclusione sociale), che – esteso a tutta Italia – costerebbe 7 miliardi di euro l’anno.

Nonostante questa cifra rappresenti appena lo 0,43% del Pil italiano (che nell’anno 2015 in valori assoluti, ai prezzi di mercato è arrivato a 1.636.372.000.000 € correnti), la proposta del Reis rimane ancora al di là dall’essere accolta dalla politica nazionale, perché ritenuta poco costosa e/o per svantaggi in termini di costo opportunità politico. Perché dunque non iniziare a muoversi a livello regionale? Le varie proposte di reddito minimo garantito che vanno affollando il dibattito pubblico, è ormai evidente, non sono bloccate nel mondo delle semplici teorie per i loro costi (la più “esosa”, quella contenuta in una pdl avanzata da Sel, costerebbe a livello nazionale 23,5 miliardi di euro, circa l’1,44% del Pil). Eppure, aiuterebbero a far tornare i conti in tasca a milioni di italiani.