Non c’è benessere equo e sostenibile senza fiducia negli altri

Istat: «Si registra un quadro di progressivo impoverimento delle relazioni sociali». Nell’ultimo anno il risultato peggiore dal 2010

[18 Dicembre 2018]

Non basta la crescita del Pil (che pure in Italia non brilla, anzi) a misurare lo sviluppo sostenibile di una nazione: la realtà è più complessa di un numero, e per darne una rappresentazione più coerente l’Istat pubblica oggi la sesta edizione del suo rapporto sul Benessere equo e sostenibile (Bes). Qui non viene preso in esame un unico indicatore ma 130, articolati in varie dimensioni che vanno a indagare la salute come l’istruzione, l’ambiente come la qualità dei servizi, le relazioni sociali come la sicurezza.

Ne esce un quadro nazionale in miglioramento per il 53,4% degli indicatori osservati dal 2010 a oggi, anche se la quota di quelli «che peggiorano è significativa (36,2%), evidenziando un gap rispetto al pieno recupero delle condizioni di benessere sperimentate prima dell’ultima crisi economica, specialmente per i domini relazioni sociali, paesaggio e patrimonio culturale, benessere economico».

Per quanto riguarda la dimensione ambientale lungo questi anni «prevalgono largamente i segnali positivi», soprattutto nell’Italia centrale, ma si tratta in gran parte di un’eredità che si sta esaurendo: le emissioni di gas serra ad esempio sono calate durante la crisi economica, ma nel 2017 anno sono rimaste sostanzialmente costanti a «7,2 tonnellate pro capite»; le energie rinnovabili sono cresciute, ma le politiche attualmente perseguite non stanno permettendo di inseguire obiettivi ambiziosi; anche gli incoraggianti segnali che arrivano dal fronte del Consumo di materiale interno (Cmi), cioè la quantità di risorse materiali utilizzate come input dall’economia italiana (pari a 514 milioni di tonnellate nel 2017, con il più basso valore procapite dell’Ue), non risulta adeguatamente valorizzato a causa da un’inesistente regia nazionale per l’economia circolare. In compenso nell’ultimo anno peggiorano sia la qualità dell’aria urbana sia la quota di popolazione esposta a rischio frane o alluvioni.

Ma ancor più della dimensione ambientale preoccupa quella sociale. In particolare, l’Istat sottolinea che «nel medio periodo si registra un quadro di progressivo impoverimento delle relazioni sociali per tutte le ripartizioni geografiche, confermato anche nell’ultimo anno». In altre parole, nel 2017 si registra «il valore più basso dal 2010» nel dominio “relazioni sociali”, e «la quota di persone che esprimono fiducia negli altri si conferma molto bassa (19,8%)». Non sorprende che anche la soddisfazione per la propria vita presenti «una nuova flessione nel 2017. Sono meno soddisfatte le donne (38,6% contro 40,6% degli uomini) e gli anziani (33,9% delle persone di 75 anni e più, 52,8% tra i 14 e i 19 anni)».

Si tratta di numeri che portano dritti a quel “sovranismo psichico” messo in evidenza dal Censis nel suo 52° rapporto sulla situazione sociale del Paese, dove da un’Italia del rancore si passa a quella della cattiveria. Un seme di speranza però può ancora fiorire, con l’Istat che registra un miglioramento nelle aspettative per il futuro dichiarate dalla popolazione italiana: «In lieve aumento la quota di individui che ritiene che la propria situazione migliorerà nei prossimi 5 anni (27,2%), sostanzialmente stabile quella dei pessimisti (15%)», ma si tratta ancora di un quadro molto frammentato. Perché anche queste nuove speranze non si trasformino in frustrazioni è necessario offrire loro terreno fertile per crescere;  progettare la transizione verso uno sviluppo più sostenibile rimane imperativo per il nostro Paese, anche se le istituzioni nazionali sembrano andare in tutt’altra direzione.