Fondazione Finanza Etica, azionista critica di Acea: l'acqua di Roma sacrificata in nome del profitto

Nel Lazio acquedotti colabrodo. A Roma in 6 anni perdite dal 27% al 44,4%

Legambiente: «Crisi idrica nata da mancati investimenti, altro che svuotare i laghi!»

[31 Luglio 2017]

Legambiente Lazio ha messo insieme i numeri delle ultime 6 edizioni di Ecosistema Urbano dal 2011 al 2016 e ne è venuto fuori il  rapporto “Acquedotti Colabrodo”, dal quale emerge «un peggioramento repentino e costante in questi anni. Se infatti era chiaro a tutti l’enorme portata di acqua dispersa dalle reti, il trend in peggioramento mette ancora più in chiaro alcune dinamiche, ed emerge che negli ultimi anni i gestori in determinati territori, hanno smesso di investire causando un sostanziale raddoppio della dispersione. Se la dispersione idrica a Roma era al 27% nel 2011, arriva al 44,4% con un costante peggioramento anno dopo anno. Dato ancor peggiore quello di Frosinone, ambito gestito da AceaAto5 da 5 anni, che passa dal 39% nel 2011, ad un impressionante 75,4% del 2016. Diverso il discorso per gli altri capoluoghi con dispersione grave ma più stabile, la perdita a Rieti che passa dal 45% al 53,8% e Latina dal 62% al 67%. Viterbo la miglior provincia fino al 2013 con il 14% di dispersione, ha cessato di inviare i dati negli ultimi 3 anni».

Secondo Roberto Scacchi, presidente di Legambiente Lazio, «I dati sulla dispersione sono raddoppiati a Roma e Frosinone negli ultmi 6 anni, ed è vergognoso se si pensa alla crisi idrica attuale che nasce da mancati investimenti del recente passato se infatti era chiaro a tutti che gli acquedotti perdono una quantità indecente di acqua, si aggiunge il fatto che solo pochi anni fa i numeri erano ben altri. Sembra come se i gestori abbiano smesso completamente di investire nella manutenzione acquedottistica e a fronte di ciò cerchino di emungere più acqua possibile dalle risorse naturali straordinarie del Lazio come il Lago di Bracciano, il Peschiera nel reatino, l’Acqua Marcia dai Simbruini o la captazione del Pertuso che ha fornito acqua alle tubature colabrodo, mandando il fiume Aniene sotto la soglia minima vitale di portata. Stiamo in queste ore difendendo il Lago di Bracciano, sostenendo i Comuni rivieraschi e il provvedimento di blocco delle captazioni di Regione Lazio, e siamo convinti che se i gestori del servizio idrico avessero con urgenza messo mano alle condutture ad inizio della crisi, quando non pioveva o nevicava lo scorso inverno, tutto questo non sarebbe successo. Gravi responsabilità ha quindi Acea ma anche il Comune di Roma che da proprietario dell’azienda, non ha mai inciso, tanto più nell’ultimo anno, con la politica aziendale, e continua a non incidere anche in queste ore. Da Dicembre scorso era chiaro a tutti gli operatori del settore, gli ambientalisti e gli abitanti di Anguillara, Bracciano e Trevignano, che iniziava una captazione drammatica dell’acqua del lago; invece di fare scelte concrete e strutturali, chi poteva evitarla, ha iniziato a fare la danza della pioggia, evidentemente poco efficace e con conseguenze drammatiche per Roma. Invece di rivolgersi alle istituzioni minacciando blocchi dei flussi o aumento delle tariffe se non ci saranno investimenti, Acea ripari le condotte con i dividenti che sono andati evidentemente ovunque tranne che in manutenzione».

Sulla questione prende posizione anche La Fondazione Finanza Etica (Ffe), che era già intervenuta come azionista critica all’assemblea generale di Acea del 27 aprile scorso, evidenziando che «nei bilanci della società del periodo 2012-2015 mancano all’appello investimenti in manutenzione, condotte idriche e fognarie e altre infrastrutture per circa 375 milioni di euro da parte di Acea Ato 2 (la controllata di Acea che gestisce la distribuzione dell’acqua a Roma e in altri 110 Comuni)».

Ffe sottolinea che «Le domande poste durante l’assemblea non hanno ancora ricevuto risposte, mentre le drammatiche conseguenze della scelta di remunerare azionisti pubblici e privati invece di investire nel miglioramento della rete sono ora sotto gli occhi di tutti: il razionamento dell’acqua a Roma è stato scongiurato, con un compromesso trovato in extremis ai danni dell’ecosistema del lago di Bracciano, già messo duramente alla prova dalla siccità, dall’evaporazione causata dal sole e dai prelievi operati da Acea per rifornire di acqua la capitale».

Fondazione Finanza Etica fa notare che «Una lettura affrettata dei fatti potrebbe far pensare che Acea sia vittima di eventi climatici che non può influenzare, ma in realtà la faccenda è più seria e va al di là pure del semplice scontro politico tra Regione Lazio e Comune di Roma. Acea spa gestisce il sistema idrico della capitale ed è controllata al 51% dal Comune di Roma e al 49% da investitori privati, i principali dei quali sono il gruppo francese Suez (23%) e la famiglia Caltagirone (5%). La multiutility si è ridotta ad essere dipendente dal lago di Bracciano, che doveva servire solo per le emergenze, perché non ha investito abbastanza nell’approvvigionamento da fonti alternative, ma soprattutto perché non ha investito per diminuire le perdite della rete romana, che sono pari al 40% del volume di acqua distribuita. Nel triennio 2012-2017, mentre Acea tagliava le risorse destinate alla manutenzione della rete, gli utili di Acea Ato 2 sono progressivamente aumentati: dai 48,37 milioni di euro di fine 2011 ai 70,70 milioni di euro del 2015. Visto che si tratta di un business completamente regolamentato, l’aumento dei ricavi e degli utili si spiega quasi esclusivamente con un aumento del costo dell’acqua in bolletta per i cittadini. Un aumento che non è stato però accompagnato dagli investimenti promessi e ha quindi inciso positivamente solo sui profitti dell’impresa e dei suoi azionisti.

 

Nel 2016 l’utile netto di Acea Ato 2 è  salito ancora, toccando gli 89,85 milioni di euro (+86% rispetto al 2011), grazie soprattutto a un aumento nelle tariffe giustificato da un “premio di qualità contrattuale” per 23,06 milioni di euro».

Andrea Baranes, presidente Ffe, conclude: «Non solo Acea non fa gli investimenti previsti per il miglioramento della rete idrica ma si paga anche un premio per la qualità dei servizi erogati. Oltre al danno la beffa. I maggiori utili di Acea Ato 2, ottenuti grazie ad aumenti tariffari che non si accompagnano agli aumenti previsti degli investimenti, sono poi quasi interamente distribuiti ad Acea SpA, e quindi al Comune di Roma, ai francesi di Suez e a Caltagirone, che non si limitano a incassare i dividendi ma li reintroducono in Acea Ato 2 come crediti, su cui la controllata paga poi interessi di mercato. Pagare interessi sui propri utili è una perversione. Una delle tante che stanno strozzando Acea Ato 2 e l’acqua di Roma. Con o senza i cambiamenti climatici. Dal 2008 Fondazione Finanza Etica partecipa come azionista critico alle assemblee delle società italiane quotate in borsa. Nel 2017  abbiamo deciso per la prima volta di intervenire – insieme ai Movimenti per l’Acqua Bene Comune – all’assemblea di Acea SpA perché era evidente che la situazione stava diventando preoccupante».