Nel mondo ci sono 79 eco-guerre. 250 milioni di rifugiati ambientali nel 2050

Globe Italia: la sfida del clima per la sicurezza e la pace

[2 Dicembre 2015]

In occasione della Conferenza dellla parti Unfccc in corso a Parigi, l’Intergruppo bicamerale per il clima Globe Italia ha organizzato oggi alla Camera dei Deputati il convegno “La sfida del clima per la sicurezza e la pace”, che ha confermato che  «Il cambiamento climatico sconvolge gli ecosistemi e va considerato quindi sempre più un come un “moltiplicatore di minaccia” per la sicurezza globale: può rendere più vulnerabili situazioni già critiche e generare sconvolgimenti sociali e conflitti violenti».

Globe Italia sottolinea che  «Non si tratta, purtroppo, di un oscuro scenario preso in prestito da un film di fantascienza, ma di una drammatica realtà che già sconvolge molte aree del pianeta. Secondo un recente report commissionato dai paesi del G7 all’istituto tedesco Adelphi con il sostegno del Ministero degli Esteri tedesco, dal dopoguerra a oggi ben 111 conflitti nel mondo sono da imputarsi a cause ambientali. Di questi, tra i 79 ancora in corso ben 19 sono considerati di massima intensità (livello 4 su una scala di 1-4)».

«La mancanza di risorse naturali e di mezzi di sostentamento, il degrado ambientale, le catastrofi dovute al ripetersi di eventi eccezionali aumentano il rischio di conflitti e il bacino potenziale a cui il terrorismo può attingere – si legge nel documento finale –  Parliamo di conflitti come quello civile in Siria, dove fra il  2006 e il 2011 si è avuta la siccità più lunga e la perdita di raccolti più grave mai registrate fin dai tempi delle prime civiltà nella Mezzaluna fertile. Su 22 milioni di abitanti, oltre un milione e mezzo è stato colpito dalla desertificazione, che ha provocato massicce migrazioni di contadini, allevatori e famiglie verso le città. Nel 2002, 8.9 milioni di persone abitavano le città siriane; alla fine del 2010 il numero era salito a 13.8 milioni. O ancora le guerre per lo sfruttamento dei giacimenti petroliferi che hanno distrutto gli ecosistemi in Nigeria, o la guerra civile in Darfur che vede nell’accesso alle risorse idriche una delle sue cause. E poi le rivolte per l’espropriazione delle terre e la deforestazione a danno dei coltivatori e degli indigeni in Cambogia, o l’immigrazione clandestina dal Bangladesh alla regione indiana dell’Assam causata dai mutamenti climatici e i conseguenti conflitti con le popolazioni autoctone. O infine lo scontro tra le fazioni di Jikany Nuer e Lou Nuer nel Sud del Sudan per il controllo delle scarse risorse idriche, o i conflitti legati alla costruzione della diga Sardar Sarovar sul fiume Narmada in India. Solo per citare alcuni casi da un lungo elenco di tragedie e catastrofi che secondo gli ultimi dati del Unhcr si stima possa generare fino a 250 milioni di rifugiati ambientali al 2050».

In un messaggio inviato all’iniziativa organizzata da Globe Italia, il ministro degli esteri Paolo Gentiloni ha evidenziato che «La sfida contro il riscaldamento del pianeta che siamo chiamati a raccogliere in questi giorni, nello straordinario appuntamento di Cop21 a Parigi, è anche una sfida per la sicurezza globale. La mancanza di risorse e di mezzi di sostentamento e le catastrofi ambientali costituiscono dei potenziali moltiplicatori di conflitti e un terreno favorevole per il terrorismo. Basti pensare alla Siria, dove la siccità che si è abbattuta sul paese tra il 2006 e il 2011, provocando delle massicce migrazioni interne, è considerata una delle cause della guerra civile. Sappiamo che non sarà facile mettere d’accordo 200 stati ma è necessario, finalmente, passare dalla logica di Kyoto, che riguardava solo un gruppo paesi, ad un vincolo che impegni l’intera comunità internazionale».   

Secondo la presidente dell’Intergruppo Globe Italia Stella Bianchi, «Raggiungere un accordo forte e inclusivo alla Cop21 a Parigi che contenga il riscaldamento globale entro i 2 gradi, o meglio ancora entro 1,5 gradi, vuol dire anche combattere il terrorismo e una delle maggiori minacce alla sicurezza globale. gni successo che otteniamo nel ridurre il riscaldamento globale è un passo avanti per disinnescare conflitti violenti, inevitabili quando vengono a mancare acqua o terra da coltivare, e per asciugare le aree di sofferenza che possono alimentare il terrorismo e portare a milioni di rifugiati ambientali. A Parigi dobbiamo segnare l’inizio di un’economia nuova, di un nuovo modello di sviluppo per un mondo più giusto e più sicuro. La conferenza Onu di Parigi è di fatto anche una straordinaria conferenza di pace».

il convegno “La sfida del clima per la sicurezza e la pace” ha fornito qualche dato sulle eco-guerre in corso, a cominciare dalla Siria: «Le risorse idriche siriane dipendono in gran parte anche dalla portata dei fiumi che scendono dalle montagne della Turchia che controlla l’alto corso del Tigri e dell’Eufrate. Sono 14 dighe sul corso dell’Eufrate e 8 dighe sul corso del Tigri, 19 centrali idroelettriche che hanno determinato una riduzione portata dell’Eufrate in Siria del 40% e la riduzione portata dell’Eufrate in Iraq del 90%. Il controllo dei fiumi e delle risorse idriche è uno dei maggiori fattori di tensione a livello internazionale». Secondo il World Watch Institute «L’alterazione delle precipitazioni potrebbe accrescere le tensioni rispetto all’uso dei corpi idrici condivisi e aumentare la probabilità di conflitti violenti sulle risorse idriche. Si stima che circa 1,4 miliardi di persone già vivono in aree sotto stress idrico. Un numero che al 2025 potrebbe arrivare fino a 5 miliardi di persone».

Il World Watch Institute evidenzia anche che «Gli impatti diffusi dei cambiamenti climatici potrebbero portare a ondate migratorie, minacciando la stabilità internazionale. Si stima che entro il 2050, ben 250 milioni di persone potrebbero essere fuggite da aree vulnerabili per l’innalzamento del mare livelli, tempeste o inondazioni, o terreni agricoli troppo aridi per coltivare. Storicamente, la migrazione verso le aree urbane ha messo sotto pressione i servizi e le infrastrutture, alimentando la criminalità o le insurrezioni, mentre la migrazione attraverso i confini ha spesso portato a violenti scontri per la terra e le risorse».

Cina, Nepal, India e Bangladesh dipendono dai fiumi che nascono nell’Himalaya. Nell’Asia centrale ex sovietica, Tagikistan e Turkmenistan stanno costruendo enormi infrastrutture sui fiumi che minacciano i Paesi a valle come l’Uzbekistan. Sul Nilo l’Etiopia sta innalzando la Grande Diga della Rinascita, un’opera che punta a migliorare l’economia di uno dei paesi più poveri del mondo ma che rischia anche di rdurre la portata del nIlo in Suda ed Egitto. Tutti i fiumi del Sud-est asiatico vengono dalle montagne della Repubblica popolare cinese che con il loro massiccio sfruttamento a fini agricoli, industriali, energetici e potabili, sta mettendo a rischio corsi d’acqua da cui dipendono 1,5 miliardi di persone e habita che ospitano una lussureggiante biodiversità.

 

Globe Italia  conclude: «Attualmente nel mondo si contano 261 bacini idrici internazionali suddivisi tra 145 nazioni nelle quali risiede più del 40% della popolazione mondiale. I bacini idrici del il Nilo, Tigri-Eufrate, Mekong, Giordania, Indo, Brahmaputra e Amu Darya sono soggetti ad uno sfruttamento intensivo e rischiano di alimentare i conflitti tra le nazioni che li condividono. Il rapporto della Cia “Global Water Security” le ha indicate come le aree del pianeta a maggiore rischio. Secondo il rapporto la scarsità di acqua ostacolerà la produzione di cibo e la produzione di energia in Paesi chiave, rappresentando così un rischio per la sicurezza alimentare globale mercati e la crescita economica. Il Nord Africa, il Medio Oriente, il sud est asiatico si troveranno ad affrontare grandi sfide che riguardano il loro sviluppo economico e demografico».

 

Per saperne di più:
https://www.newclimateforpeace.org/
http://pacinst.org/
http://www2.worldwater.org/conflict/list/
http://www.worldwatch.org/node/77