Agricoltura in Maremma, Cia: cerealicoltura allo stremo

Legambiente: «Non è più il tempo di rimandare a domani ciò che possiamo e dobbiamo fare oggi. Puntiamo sul Distretto agroalimentare in chiave eco-sostenibile per aiutare l’economia e salvaguardare l’ambiente»

[10 Settembre 2019]

L’allarme era stato lanciato da Enrico Rabazzi,  direttore della Confederazione italiana agricoltori (Cia) di Grosseto, «E’ oramai codice rosso: dopo le molte sollecitazioni da parte del mondo agricolo la cerealicoltura oggi è allo stremo e continuando di questo passo anche a Grosseto si smetterà di seminare. Negli ultimi anni la cerealicoltura grossetana ha perso oltre il 30% della superficie coltivata a grano duro con la conseguenza che oggi, non essendoci altre colture remunerative per le aziende, migliaia di ettari sono abbandonati e incolti. Si tratta di un dato in continuo aggiornamento in perdita per Grosseto, che sta lasciando tante vittime lungo il cammino e rischia di rappresentare il definitivo abbandono di questo settore. La cerealicoltura è a serio rischio, come sono in ginocchio le cooperative di servizio agricole per i prezzi irrisori e la carenza di semina. Se non ci sarà un’inversione di tendenza a subirne le conseguenze saranno non solo aziende e l’indotto, ma anche l’ambiente perché terreni incolti e abbandonati sono un potenziale pericolo idrogeologico. Da non trascurare la questione della sicurezza alimentare: senza un giusto reddito non è possibile chiedere agli imprenditori di continuare a lavorare e si dovrà dunque importare grano da altri Paesi».

Rabazzi aveva sottolineato: «Non è mai stato nostro compito commentare le vicende politiche e non intendiamo farlo ora, cosa invece compete a noi è tutelare non solo chi vive di agricoltura ma l’intero comparto agricolo. Non lo facciamo per un mero tornaconto reddituale lo facciamo perché consapevoli che se gli imprenditori agricoli possono sopravvivere, i vantaggi si riverseranno sull’ economia, l’ambiente e la salute dei cittadini. Oggi migliaia di aziende sono allo stremo e ci auguriamo che nell’agenda ministeriale del nuovo Governo possano trovare spazio anche le molte risposte di cui il settore primario ha bisogno, primo tra tutti quello cerealicolo che, dopo le tante promesse sembra essere stato relegato a settore di serie B. A causa delle calamità di ogni tipo, alla concorrenza sleale, ai costi sempre più alti della burocrazia e all’aumento dei prezzi di produzione, la cerealicoltura ha vissuto una delle peggiori stagioni degli ultimi anni e le prospettive non sembrano, allo stato attuale, promettere nulla di buono».

Secondo i dati della Borsa Merci, nel 20119 c’è stato un lieve aumento dei prezzi per i produttori di grano duro, Ismea sottolinea che «I prezzi hanno cominciato a rivalutarsi su base congiunturale in conseguenza di prospettive poco soddisfacenti per i raccolti nazionali e mondiali per l’anno in corso; attualmente il grano duro viene pagato circa 20 euro a quintale. Un lieve recupero rispetto ai 15/16 euro del 2018 ma largamente inferiore ai 35euro che sono la giusta remunerazione perché per coltivare un ettaro di terreno servono circa 900 euro».

Ma Rabazzi ha evidenziato che «La questione è diventata strutturale. La conseguenza è che sempre più aziende smettono di seminare lasciando i campi incolti. Altra questione che colpisce il nostro grano è quella delle “proteine raccomandate”: la grande industria predilige grano con una percentuale di proteine superiore al 13%, caratteristica che non sempre è garantita dalla produzione nazionale e questo perché la scelta è di non utilizzare diserbanti in preraccolta che, vale ricordarlo, in Italia sono vietati ma che sono ammessi nell’Ue e in altri paesi che ci forniscono il grano. Come Confederazione non abbiamo mai auspicato dazi o blocchi, ciò che pretendiamo però è che vi siano controlli prima che il grano sbarchi in Italia perché la dicitura “miscela di grani” nelle etichette, a dir nostro, non fa altro che penalizzare il Made in Italy. Serve infine riequilibrare gli ingiustificati aumenti che riscontriamo lungo la filiera e che fanno guadagnare lauti compensi senza che all’agricoltore venga riconosciuto alcun aumento».

Sulla questione interviene oggi anche Angelo Gentili, responsabile agricoltura di Legambiente, accendendo nuovamente i riflettori sul distretto agroalimentare che «Rappresenterebbe per l’intero territorio una importante occasione di rilancio oltre che una presa di posizione importante in difesa dell’ambiente. I dati parlano chiaro: nell’ultimo periodo, la cerealicoltura grossetana ha dovuto fare i conti con un’inflessione di oltre il 30% della superficie coltivata a grano duro. Tale situazione è stata causa dell’abbandono di migliaia di ettari di terreno, non essendoci al momento colture altrettanto remunerative per i produttori. Tra l’altro, è utile precisare che si tratta di un dato in costante aggiornamento e che le proiezioni per il prossimo periodo non sono affatto confortanti. L’intero settore è a rischio come lo sono le cooperative agricole a causa della carenza di semina e dei prezzi decisamente troppo irrisori. E ad essere in pericolo è l’intero territorio: i terreni abbandonati rappresentano un potenziale rischio idrogeologico che non deve essere affatto sottovalutato. Per non parlare poi della sicurezza alimentare che viene messa a repentaglio a causa della difficoltà degli imprenditori locali di continuare a lavorare a favore di importazioni dall’estero. Al momento, il grano duro viene pagato circa 20 euro a quintale. Un lieve recupero rispetto ai 15/16 euro del 2018 ma un dato molto al di sotto dei 35 euro che rappresentano la giusta remunerazione, considerando che per coltivare un ettaro di terreno servono circa 900 euro».

Il presidente Cia Grosseto Claudio Capecchi, aggiunge: «Ci aspettiamo che la promessa dei fondi sui contratti di filiera venga mantenuta e, come si è fatto per altri comparti, chiediamo la costituzione di un tavolo regionale permanente, dove possano confrontarsi tutti i protagonisti del settore per affrontare le dinamiche della produzione a livello mondiale, quelle di mercato e la tracciabilità della filiera attraverso il passaggio e la condivisione delle informazioni. Riteniamo infine sia giunto anche il momento di discutere della possibilità di un accordo con la ricerca per fornire alle filiere varietà più consone ai nostri territori, dal basso contenuto di glutine e più resilienti ai cambiamenti climatici».

Gentili conclude: «La situazione è molto preoccupante, ma oltre a preoccuparci, deve vederci tutti in prima linea per individuare strategie attraverso cui sostenere l’agricoltura e garantire lo sviluppo dei nostri territori. L’auspicio di Legambiente è che da parte del nuovo Governo ci sia una sempre più mirata attenzione al settore dell’agricoltura e che si dia seguito a misure di natura strutturale attraverso le quali sostenere le attività e rilanciare l’intero settore. La fase di rilancio dell’agricoltura in Maremma deve però passare anche dalla strutturazione organica del Distretto agroalimentare in chiave sostenibile. Come abbiamo più volte ripetuto, credere nel distretto significa credere nel futuro dell’agricoltura locale e farlo attraverso una forte attenzione all’ambiente, privilegiando agricoltura biologica e riduzione dell’utilizzo di molecole di sintesi. Questo ci permetterebbe di essere più competitivi nei mercati, favorendo prodotti con forte identità territoriale e, al tempo stesso, sani e genuini.  Per tale ragione, non è più il tempo di rimandare a domani ciò che possiamo e dobbiamo fare oggi. Puntando con forza e determinazione sul distretto agroalimentare sostenibile non solo si avrà la certezza di operare una scelta competitiva e lungimirante, ma si avrà anche la possibilità di rivitalizzare l’intero settore agricolo, evitare l’abbandono e salvaguardare l’ambiente. Certo, ancora c’è molto lavoro da fare e non sarà affatto una strada in discesa. Di sicuro, però, è fondamentale partire dal presupposto che la crisi in cui sta versando l’agricoltura maremmana possa e debba essere considerata un’opportunità. Ragionando in questa ottica, si avrà finalmente la possibilità di individuare quell’unità di intenti necessaria a dare gambe e fiato al distretto agroalimentare di cui il nostro territorio ha più che mai bisogno».