Il mondo è diventato più verde, grazie a Cina e India

Uno studio guidato dalla Nasa spiega il greening della Terra negli ultimi 20 anni

[13 Febbraio 2019]

Secondo lo studio “China and India lead in greening of the world through land-use management”, pubblicato da un team internazionale di ricercatori su Nature Sustainability, il mondo è letteralmente un luogo più verde di 20 anni fa e i dati provenienti dai satelliti della Nasa hanno rivelato che l’origine di questo fenomeno è controintuitiva: gran parte di questi nuova copertura vegetale è in Cina e India, due dei Paesi più inquinati e inquinanti del pianeta.  La Nasa spiega che «Il nuovo studio dimostra che i due paesi emergenti con le popolazioni più grandi del mondo stanno guidando l’aumento dell’inverdimento sulla Terra. L’effetto deriva principalmente dagli ambiziosi programmi di piantumazione di alberi in Cina e dall’agricoltura intensiva in entrambi i Paesi».

Alla Nasa ricordano che «Il fenomeno del greening è stato rilevato per la prima volta utilizzando i dati satellitari a metà degli anni ’90 da Ranga Myneni, della Boston University, e colleghi, ma non sapevano se l’attività umana fosse una delle sue cause principali e dirette». La nuova mappatura della copertura vegetale del mondo è stata resa possibile grazie a quasi 20 anni di dati raccolti da uno strumento della Nasa  in orbita su due satelliti attorno alla Terra, il Moderate Resolution Imaging Spectroradiometer, o Modis, e i suoi dati ad alta risoluzione forniscono informazioni molto accurate, aiutando i ricercatori a capire i dettagli di ciò che sta accadendo alla vegetazione della Terra, fino a 500 metri sul livello del mare.

Alla Nasa dicono che. Messi tutti insieme questi dati, «L’inverdimento del pianeta negli ultimi due decenni rappresenta un aumento dell’area ricoperta da fogliame su piante e alberi equivalente all’area coperta da tutte le foreste pluviali amazzoniche». Ora, rispetto ai primi anni 2000, ci sono oltre 2 milioni di miglia quadrate in più all’anno di superficie ricoperta da piante con fogliame: un aumento del 5%.

Il principale autore dello studio, Chi Chen del Department of Earth and environment della Boston University, sottolinea che «La Cina e l’India rappresentano un terzo del greening, ma contengono solo il 9% della superficie terrestre coperta di vegetazione: una scoperta sorprendente, se si considera la nozione generale di degrado dei terreni a causa del sovrasfruttamento nei Paesi popolosi»,

Un vantaggio del sensore satellitare Modis è l’intensa copertura che fornisce, sia nello spazio che nel tempo: ogni giorno, negli ultimi 20 anni, Modis ha effettuato fino a quattro scatti di ogni luogo sulla Terra e uno degli autori dello studio, Rama Nemani, del Ames Research Center della Nasa della Silicon Valley, evidenzia che «Questi dati a lungo termine ci permettono di scavare più a fondo. Quando per la prima volta è stato osservato l’inverdimento della Terra, pensavamo che fosse dovuto a un clima più caldo e più umido e alla fertilizzazione proveniente dal biossido di carbonio aggiunto nell’atmosfera che,  per esempio, avrebbe portato a una maggiore crescita delle foglie nelle foreste settentrionali. Ora, con i dati di Modis che ci permettono di capire il fenomeno a una scala veramente piccola, vediamo che anche gli esseri umani stanno contribuendo».

Lo straordinario contributo della Cina a questo trend globale al greening arriva per ben il 42% dai programmi di conservazione ed espansione delle foreste, sviluppati dal governo comunista nel tentativo di ridurre gli effetti dell’erosione del suolo, dell’inquinamento atmosferico e dei cambiamenti climatici. Insomma, i rimboschimenti dei pionieri cinesi non sono solo propaganda del regime: funzionano. Un altro 32% – e l’82% degli inverdimenti visti in India – proviene da coltivazioni intensive di coltivazioni ad uso alimentare. Quindi, l’India più che nella ricrescita delle sue foreste punta sull’agricoltura.

Dallo studio emerge che «L’area terrestre utilizzata per coltivare colture in Cina e in India è paragonabile: oltre 770.000 miglia quadrate e non è cambiata molto dai primi anni del 2000. Eppure, queste regioni hanno notevolmente aumentato sia la loro superficie verde annuale totale ricoperta da fogliame che la loro produzione alimentare. Ciò è stato ottenuto attraverso pratiche di coltivazione multiple, in cui un campo viene ripiantato per produrre un altro raccolto diverse volte all’anno. Dal 2000, per alimentare le loro grandi popolazioni, la produzione di cereali, verdure, frutta e altro è aumentata del 35-40% circa».

A livello globale, diversi recenti studi scientifici hanno avvertito che quest’anno la CO2 nell’atmosfera potrebbe raggiungere livelli record  a causa del riscaldamento nel Pacifico tropicale che è probabile che riduca l’assorbimento di CO2 da parte delle piante. Anche gli autori del nuovo studio sottolineano che «L’incremento del verde osservato in tutto il mondo e dominato da India e Cina non compensa il danno derivante dalla perdita di vegetazione naturale nelle regioni tropicali, come il Brasile e l’Indonesia. Le conseguenze per la sostenibilità e la biodiversità in quegli ecosistemi restano».

Anche Myneni ha ribadito a BBC News che «La crescita extra delle piante non compenserebbe il riscaldamento globale, l’innalzamento del livello del mare, lo scioglimento dei ghiacciai, l’acidificazione degli oceani, la perdita ghiaccio marino artico e la previsione di tempeste tropicali più forti». Ma è noto che, che sebbene l’assorbimento di CO2 da parte delle piante sia stato preso in considerazione nei modelli dell’Intergovernmental panel on climate change (Ipcc), resta una delle principali fonti di incertezza nelle previsioni climatiche future.

In che modo questo trend al greening  potrebbe cambiare in futuro dipende da numerosi fattori, sia globali che locali: «Ad esempio – dicono  all’ Ames Research Center – l’aumento della produzione alimentare in India è facilitato dall’irrigazione con le acque sotterranee. Se l’acqua sotterranea si esaurisce, questa tendenza potrebbe cambiare». Nemani aggiunge: «Ma ora che sappiamo che l’influenza umana diretta è un elemento chiave del greening della Terra, dobbiamo tenerne conto nei nostri modelli climatici. Questo aiuterà gli scienziati a fare previsioni migliori sul comportamento dei diversi sistemi terrestri, che aiuteranno i paesi a prendere decisioni migliori su come e quando agire».

Il nuovo studio internazionale arriva subito dopo che un rapporto del think tank britannico  Institute for Public Policy Research ha avvertito che i governi non dovrebbero concentrarsi su ogni singolo problema ambientale, ma riconoscere il vasto insieme di problemi ambientali che affliggono il mondo, compresa la perdita di suolo che sta già riducendo la fertilità e la resa agricola in molte aree.

Nel complesso, Nemani vede nelle nuove scoperte un messaggio positivo: «Una volta che le persone si rendono conto che c’è un problema, tendono a risolverlo. Negli anni ’70 e ’80 in India e Cina, la situazione riguardo alla perdita della vegetazione non era buona; negli anni ’90, la gente se ne accorse e oggi le cose sono migliorate. Gli umani sono incredibilmente resilienti. Questo è ciò che vediamo nei dati satellitari».