Nesos, il vino marino degli antichi greci, rivive all’Elba grazie alla scienza e alla passione enologica (FOTOGALLERY)

L’università di Pisa partner dell’esperimento condotto dall'Azienda Agricola Arrighi di Porto Azzurro

[13 Novembre 2019]

Stappare una bottiglia di vino e tornare indietro nel tempo, è possibile grazie ad un esperimento scientifico unico al mondo condotto all’isola d’Elba. Nesos, il vino marino che è stato presentato in anteprima assoluta stamattina a Firenze in un convegno organizzato dall’università di Pisa in collaborazione con Regione Toscana, Toscana Promozione Turistica, Vetrina Toscana, Fondazione Sistema Toscana., Il vino marino Nesos, ricavato da un esperimento enologico realizzato dall’Azienda Agricola Arrighi di Porto Azzurro, all’isola d’Elba in collaborazione con il professor Attilio Scienza, ordinario di viticoltura dell’università degli studi di Milano e Angela Zinnai e Francesca Venturi del corso di viticoltura ed enologia dell’uUniversità di Pisa.

Proprio l’ateneo pisano spiega che «Le 40 bottiglie di vino presentate in anteprima assoluta a Firenze sono state prodotte secondo una tecnica utilizzata nell’isola di Chio ai tempi dell’antica Grecia e che prevede di immergere i grappoli integri in mare aperto. Dopo circa 2500 anni questo metodo è stato riproposto all’Elba utilizzando l’ansonica, un’uva bianca coltivata sull’isola, con caratteristiche simili a quelle di due antiche uve dell’Egeo, il Rhoditis ed il Sideritis, e caratterizzata da una polpa croccante e una buccia resistente che ne ha permesso la permanenza in mare. Le uve sono state immerse in mare per 5 giorni a circa 10 metri di profondità, all’interno di nasse di vimini. Questo processo ha consentito di eliminare parte della pruina superficiale, cioè il velo ceroso che riveste gli acini, mentre il sale marino per “osmosi” è parzialmente penetrato all’interno. Nella vinificazione delle uve sono state impiegate anfore di terracotta ottenendo, dopo un anno di affinamento in bottiglia, un vino estremamente naturale, molto simile a quello prodotto 2500 anni fa».

Ono stati utilizzati gli acini con tutte le bucce, dopo la separazione dei raspi. La presenza di sale nell’uva, con effetto antiossidante e disinfettante, ha permesso di provare a non utilizzare i solfiti, arrivando a produrre, dopo un anno in affinamento in bottiglia, un vino estremamente naturale, molto simile a quello prodotto 2500 anni fa. Nella vendemmia 2018 sono state prodotte solo 40 bottiglie; quella 2019 è nelle anfore di terracotta ancora a contatto con le bucce.

La Zinnai sottolinea che «Il contributo alla ricerca dell’università di Pisa è stato importante, a partire da quello di una mia studentessa, Naomi Deaddis, che ha dedicato la sua tesi di laurea all’esperimento e che ha reperito le particolari nasse che sono servite per immergere l’uva sino alla definizione del protocollo sperimentale e delle verifiche sia chimiche che sensoriali del vino che ho realizzato con la collega Francesca Venturi».

Dalle analisi svolte dall’università di Pisa è emerso che «Il contenuto in fenoli totali del vino marino è il doppio rispetto a quello prodotto tradizionalmente, e questo grazie alla maggiore estrazione legata alla parziale riduzione della resistenza della buccia.  Dal punto di vista sensoriale il vino mostra infine abbondanti “riflessi dorati” con sentori di frutta matura a polpa bianca e gialla con un’evidente punta di salinità e una minore acidità titolabile legata all’incremento delle ceneri del vino».

L’idea di ripercorrere dopo 2500 anni, sulle tracce di un mito, le varie fasi della produzione di un vino antico, nacque proprio all’Elba, quando Antonio Arrighi, piccolo produttore dell’isola, che da oltre dieci anni sperimentava e vinificava nelle anfore di terracotta di Impruneta, sentì il Professor Scienza parlare della sua ricerca sul vino dell’isola di Chio. I vini di Chio, piccola isola dell’Egeo orientale, facevano parte di quella ristretta élite di vini greci considerati prodotti di lusso sul ricco mercato di Marsiglia e successivamente di Roma. Varrone li definiva “vini dei ricchi” e, come ricorda Plinio Il Vecchio, Cesare li offrì al banchetto per celebrare il suo terzo consolato.

Come i vini di Lesbo, Samos o di Thaso, quello di Chio era dolce e alcolico – unica garanzia per sopportare i trasporti via mare – ma aveva qualcosa che gli altri vini non avevano, un segreto che i produttori di Chio custodivano gelosamente e che rendeva questo vino particolarmente aromatico: la presenza del sale derivante dalla pratica dell’immersione dell’uva chiusa in ceste, nel mare, con lo scopo di togliere la pruina dalla buccia ed accelerare così l’appassimento al sole, preservando in questo modo l’aroma del vitigno. L’uva utilizzata per ricreare questo particolare metodo di vinificazione è l’Ansonica, uva bianca tipica dell’Elba, probabile incrocio di due antiche uve dell’Egeo, il Rhoditis ed il Sideritis, varietà caratterizzate da una buccia molto resistente ed una polpa croccante che ha permesso una lunga permanenza in mare.

Il legame di questo vino mitologico con l’isola d’Elba è anche di tipo storico. Come tutti i commercianti greci anche quelli del vino di Chio, facevano scalo sulla via del ritorno in patria, all’isola d’Elba e a Piombino, per caricare materiali ferrosi, venendo quindi a contatto con il mondo etrusco. I ritrovamenti di anfore in relitti di navi affondate, nelle tombe o nella costruzione di drenaggi, testimoniano che molte città costiere della Toscana etrusca erano tra i luoghi di maggior frequentazione dei commercianti di Chio. Inoltre, analizzando il DNA di un set di vitigni dell’Isola del Giglio e della Toscana tirrenica e confrontandoli con altri provenienti dal bacino del Mediterraneo, i ricercatori del DIPROVE dell’Università di Milano hanno trovato notevoli analogie genetiche tra il vitigno Ansonica-Inzolia e due vitigni provenienti dall’Egeo orientale, il Rhoditis ed il Sideritis.

La particolare vocazione enologica dell’isola d’Elba è documentata da Franco Cambi e Laura Pagliantini dell’Università degli studi di Siena, co-direttori dello scavo archeologico della villa rustica romana di San Giovanni, nella rada di Portoferraio. Gli scavi, infatti, hanno portato alla luce delle anfore vinarie e in particolare i dolia defossa: grandi vasi interrati che contenevano ciascuno più di mille litri. I cinque doli ritrovati potevano contenere circa 6.000 litri.

Al convegno fiorentino è stato proiettato in anteprima italiana il documentario Vinum Insulae diretto e prodotto da Stefano Muti (Cosmomedia), che racconta l’esperimento enologico di Nesos e che ha vinto primo premio come Miglior Cortometraggio al 26° Festival International Œnovidéo di Marsiglia. Il documentario   è attualmente in concorso anche alla IX edizione del  Most Festival 2019, Festival internazionale del cinema del vino e della cava, che si sta svolgendo in Spagna a Vilafranca del Penedès, durante la celebrazione della Giornata europea del turismo del vino. Il corto partecipa nella sezione competitiva: “Collita” composta da 36 film provenienti da tutto il mondo. Il 17 Novembre ci sarà l’annuncio dei vincitori e la premiazione.

L’assessore regionale al turismo, Stefano Ciuoffo ha detto che «Oggi presentiamo un percorso di recupero della storia. Un’esperienza di produzione di vino che ha radici antiche, che oggi viene riproposta e che racconta molto del mare toscano, del suo Arcipelago e dell’Isola d’Elba. Un metodo di produzione che risale all’antica Grecia e che ha lasciato le sue tracce nel Mediterraneo, in particolare lungo la costa e le isole toscane. Il commercio di questo vino nelle corti romane è documentato. Questo tentativo di produzione ha dato risultati molto apprezzati e mi auguro che questo progetto possa proseguire nei prossimi anni per arrivare ad ottenere un prodotto innovativo, in grado di raccontare una storia».

Insomma, ricerca scientifica, scoperte archeologiche, cinema, passione per la coltura e la cultura della vite, un territorio ineguagliabile come quello del Parco dell’Arcipelago Toscano hanno dato vita ad un prodotto unico che racconta una storia millenaria.

Il direttore di Toscana Promozione Turistica Francesco Palumbo, ha concluso: «Un progetto che nasce con Vetrina Toscana e che è importante per tre motivi. Primo, perchè è la testimonianza della capacità dell’Italia, e della Toscana nello specifico, di fare innovazione. Secondo perché sposta l’attenzione dalla storia alla contemporaneità, con la produzione di un vino “nuovo” subito apprezzato, frutto della tradizione che si mescola con la sperimentazione. Ed infine, in chiave turistica, perché valorizza un territorio aperto ad essere vissuto anche fuori stagione».