La “tempesta perfetta”: conflitti, crisi climatica e politiche che schiacciano i piccoli produttori

Oxfam e Slow Food sul rapporto Onu: la vergogna della fame nel mondo

«Italia e comunità internazionale non possono continuare a girarsi dall’altra parte»

[16 Luglio 2019]

Per Oxfam quello che emerge dal rapporto “The State of Food Security and Nutrition in the World 2019. Safeguarding against economic slowdowns and downturns” pubblicato da 5 Agenzie Onu è «Uno status quo inaccettabile», di fronte al quale «Lancia oggi un appello urgente alla comunità internazionale e all’Italia, affinché smettano di “ignorare” un tema centrale per il futuro del pianeta e al contrario, intervengano non solo con maggiori e immediati aiuti nei paesi più colpiti, ma mettendo in campo, allo stesso tempo, politiche efficaci in grado di eliminare nel medio periodo le cause che sono all’origine di quest’emergenza globale».

Per l’ONG internazionale quella che viene fuori dal rapporto Onu è «La “tempesta perfetta”: conflitti, crisi climatica e politiche che schiacciano i piccoli produttori. Alla base dello scenario attuale, vi è un concorso di cause, dato dal protrarsi di conflitti drammatici e dall’acuirsi di fenomeni climatici estremi, a cui si uniscono gli effetti di decenni di politiche economiche che alimentano le disuguaglianze tra grandi oligopoli transnazionali del cibo e milioni di produttori di piccola scala, da cui dipende la maggior parte della produzione globale. Il risultato, ad esempio in molti paesi dell’Africa sub-sahariana, è che decine di milioni di persone in questo momento sono allo stremo a causa di conflitti regionali o di siccità durissime e sempre più prolungate che impediscono l’accesso a cibo e a mezzi di produzione».

Giorgia Ceccarelli, policy advisor per la sicurezza alimentare di Oxfam Italia, sottolinea che «Il tema della sicurezza alimentare è vergognosamente scomparso dall’agenda politica globale. Sono passati ben dieci anni dalle due consecutive crisi alimentari, che hanno avuto impatti devastanti sulle persone più povere del mondo e sulla loro capacità di nutrirsi adeguatamente, eppure nulla è cambiato. I dati di oggi ci confermano che fin quando non si affronteranno le cause strutturali, fame e povertà continueranno ad aumentare. Per contrastare la crescita della fame a livello globale è quindi necessaria una chiara inversione di marcia: mettere al centro i diritti umani e costruire un sistema alimentare equo e sostenibile. La fame non è un fenomeno casuale, ma è figlia di un sistema alimentare globale che mette sempre di più gli interessi commerciali, davanti ai bisogni delle comunità più povere e vulnerabili. Un trend che colpisce in primis i piccoli agricoltori che sono i primi produttori di cibo al mondo e soprattutto sono i promotori di un modello di agricoltura sostenibile per l’uomo e il pianeta. Invertire la rotta significa innanzitutto investire maggiormente nell’agricoltura di piccola scala. Significa anche intervenire per una riduzione massiccia delle emissioni di gas serra, prodotte in buona parte da un modello di agricoltura intensiva e quindi insostenibile per l’ambiente. In secondo luogo, sostenere l’adattamento dei piccoli agricoltori, soprattutto nei paesi poveri, ad un clima sempre più estremo e instabile. E’ inoltre fondamentale sostenere le tantissime donne che lavorano in agricoltura, che pur rappresentando oltre la metà dei produttori agricoli nei paesi in via di sviluppo, spesso sono le più discriminate e colpite dalla fame».

Oxfam ricorda che la promozione della sicurezza alimentare, dell’agricoltura e dello sviluppo rurale rappresentano da molti anni uno dei pilastri della politica di Cooperazione Italiana allo Sviluppo, ma anche che nonostante i proclami e il mantra leghista dell’aiutiamoli a casa loro, «Il livello di impegno finanziario del nostro Paese risulta costantemente inadeguato». Secondo i dati Ocse, nel 2017 l’Italia ha destinato solo l’1,7% dell’Aiuto Pubblico allo Sviluppo (APS) alla cooperazione bilaterale, a sostegno dell’agricoltura e dello sviluppo rurale. «Una percentuale irrisoria per la sfida in essere e in diminuzione rispetto agli anni precedenti» dicono a Oxfam e la cEccarelli conclude: «E’ prioritario che il Governo italiano, così come la comunità internazionale faccia molto di più, mantenendo le promesse con maggiori investimenti e politiche mirate a sostegno dei piccoli produttori agricoli del Sud del Mondo. Ne va del futuro di milioni di persone, che devono la propria sopravvivenza all’agricoltura di piccola scala nei paesi poveri. In continenti come l’Africa, dove paradossalmente chi produce cibo, spesso è il primo ad essere colpito dalla fame».

Di fronte all’allarmante quadro dipinto dal rapporto Onu, Carlo Petrini, presidente internazionale di Slow Food e ambasciatore del programma Fame Zero per la Fao, ha commentato: «Per il quarto anno di seguito il rapporto evidenzia una situazione in peggioramento, il che significa che siamo in presenza di una tendenza. Sembra incredibile che nel 2019 l’homo sapiens sia ancora alle prese con la lotta contro la fame, e ancor più incredibile è constatare che stiamo perdendo! Slow Food ormai da molti anni è impegnata in questa lotta: il quadro che emerge oggi dalla nuova edizione del rapporto Onu ci chiama a un ulteriore impegno, con forza e urgenza. Il rapporto ci dice anche che il problema non è la quantità di cibo globalmente a disposizione, come sostengono le multinazionali dell’agro-industria, ma la sua disponibilità per chi è in condizioni economiche e sociali svantaggiate. È un tema di diritti negati e non di incremento della produzione. Servono quindi politiche coraggiose dei governi di tutto il Pianeta, per il contrasto alla povertà, alle disuguaglianze e all’emarginazione, che adottino e promuovano un modello di produzione alimentare agro-ecologico, inclusivo e socialmente equo».

Le alternative ci sono, come spiega l’agronomo ugandese Edie Mukiibi, del Comitato Esecutivo Internazionale di Slow Food, «I 3,207 orti agroecologici che Slow Food ha creato in 35 Paesi africani costituiscono oggi un piccolo ma significativo contributo al problema della malnutrizione, un modello positivo di partecipazione e di organizzazione dal basso. E soprattutto un modello facilmente replicabile: noi, con le nostre forze, (relativamente scarse rispetto a quelle delle istituzioni e dei governi) siamo riusciti a realizzare oltre 3 mila orti. E ognuno di questi orti coinvolge circa 120 persone in maniera continuativa, contribuendo in molti casi a evitare che questi individui vadano a far lievitare le già drammatiche cifre che l’Onu ci ha consegnato».

Attraverso il progetto degli orti Slow Food in Africa sono stati realizzati finora 1.585 progetti nelle scuole e 1.622 progetti nelle comunità, per un totale di 3.207 orti attivi che coinvolgono circa 305.000 studenti (la metà ragazze) e oltre 40.000 adulti (in questo il 72% donne). Per Sloe Food, «Questi orti sono un chiaro segno che gli africani sono impegnati ad affrontare in prima persona i problemi di fame e malnutrizione».

Mukiibi conclude evidenziando che «Gli orti Slow Food non sono solo fonti di cibo per le comunità, ma anche strumenti educativi e culturali per tutti i soggetti coinvolti. Aumentano la quantità e la varietà di cibo fresco disponibile per l’autoconsumo, diminuendo la dipendenza dal mercato per i semi e le integrazioni della dieta. La riscoperta degli ecotipi vegetali locali e la reintroduzione della loro coltivazione – più adattabile all’ecosistema locale – può inoltre essere fondamentale per assicurare la resilienza delle comunità che devono affrontare gli effetti negativi dei cambiamenti climatici. Un sistema alimentare che si basa su un’ampia varietà di piante coltivate infatti è più forte, non solo perché permette di superare i problemi che in ogni stagione possono colpire alcune piante, ma garantisce anche maggiore salubrità della dieta e del contesto ambientale in cui l’orto è realizzato».