Se gli sprechi alimentari fossero un Paese, questo sarebbe il terzo produttore di CO2 dopo Usa e Cina

Sfamare 9 miliardi di persone rispettando la Cop21 di Parigi? Dieta sostenibile e basta sprechi alimentari

In Italia sprechiamo il 35% dei prodotti freschi (latticini, carne, pesce), il 19% del pane e il 16% di frutta e verdura prodotti

[22 Aprile 2016]

Oggi è l’Earth Day, la Giornata mondiale della Terra che coincide con la ratifica a New Yok dell’Accordo di Parigi sul cambiamento climatico sul quale gli Stati si sono accordati alla COP21 Unfccc il 12 dicembre 2015 e il direttore scientifico del Wwf Italia, Gianfranco Bologna riassume efficacemente le sfide e le possibilità che abbiamo di fronte: «Il mondo, così come lo abbiamo conosciuto sino ad oggi, è a forte rischio. Tutte le ricerche scientifiche che indagano i significativi cambiamenti locali e globali che la nostra specie ha provocato nei sistemi naturali della Terra documentano con chiarezza che li stiamo stravolgendo con gli stessi effetti che, sino ad oggi, sono stati causati dalle grandi forze geofisiche che hanno plasmato e modellato il nostro pianeta nei suoi 4.6 miliardi di anni di vita. Tutto questo ci suggerisce, con altrettanta chiarezza, che dobbiamo urgentemente cambiare la rotta dei nostri modelli di sviluppo sino ad ora seguiti. La sfida che abbiamo di fronte per avviare il nostro mondo sulla strada della sostenibilità è immensa, ma le soluzioni ci sono e dobbiamo essere tutti attori del cambiamento e dell’innovazione: istituzioni, imprese e società civile. Il lavoro puntuale e documentato in merito, svolto dalla Fondazione Barilla Center for Food & Nutrition, che aggiunge l’ottimo volume “Eating Planet” a quanto sinora prodotto, stimola tutti a essere consapevoli dei problemi del mondo d’oggi e a praticarne le soluzioni, obiettivi sui quali il Wwf Italia, che quest’anno compie 50 anni di vita, lavora da tempo con il suo programma One Planet Food dedicato all’alimentazione sostenibile».

Infatti  la Fondazione Barilla Center for Food & Nutrition (BCFN) ha colto l’occasione dell’Earth Day per ricrdare che «Nel 2050 la crescita demografica arriverà a oltrepassare i 9 miliardi di persone con una richiesta di cibo che crescerà del 56%. In questo scenario di possibile aumento della produzione alimentare – e di conseguente impatto ambientale – potrebbe sembrare difficile mantenere il riscaldamento globale entro i 2˚ C, obiettivo prefissato lo scorso dicembre durante la Conferenza di Parigi (COP21). Se si pensa che per sfamare il crescente numero di persone nel mondo occorre produrre di più, non è questa la soluzione. In realtà, attualmente sprechiamo un terzo della produzione globale di alimenti, che equivale a quattro volte la quantità necessaria a dare da mangiare a 795 milioni di persone denutrite nel mondo, oltre ad avere una forte ricaduta sull’ambiente perché mentre il cibo si decompone rilascia gas metano, un gas serra 20 volte più potente dell’anidride carbonica».

Se gli sprechi alimentari fossero un Paese, questo sarebbe il terzo produttore di CO2 dopo Usa e Cina. In Italia sprechiamo il 35% dei prodotti freschi (latticini, carne, pesce), il 19% del pane e il 16% di frutta e verdura prodotti, con una perdita di 1.226 milioni di m3 all’anno di acqua, il  2,5% dell’intera portata annua del fiume Po, e con l’emissione di 24,5 milioni di tonnellate CO2 all’anno.

Ma lo spreco di cibo riguarda l’intera  catena alimentare: distribuzione, vendita,  consumo e anche la perdita durante la produzione agricola, dopo la raccolta e con la trasformazione degli alimenti.  La BCFN spiega che «Sprechi e perdite sono profondamente influenzati dalle condizioni locali specifiche dei diversi Paesi. Lo spreco di cibo da parte dei consumatori è in media tra i 95 e i 115 kg pro capite all’anno in Europa e nel Nord America mentre i consumatori di Africa sub-sahariana, sud e sud-est asiatico, ne buttano via circa 6-11 kg all’anno. Nei Paesi in via di sviluppo il 40% delle perdite avviene dopo la raccolta o durante la lavorazione, mentre nei Paesi industrializzati più del 40% delle perdite si verifica nelle fasi di vendita al dettaglio e consumo finale. Complessivamente, tuttavia, i Paesi industrializzati e quelli in via di sviluppo tendono a dissipare all’incirca la stessa quantità di cibo, rispettivamente 670 e 630 milioni di tonnellate».

Secondo la Fao, questo modello di produzone e consumi ha gravemente danneggiato il  25% dei suoli del pianeta e solo il 10% mostra qualche miglioramento, negli ultimi 40 è diventato improduttivo il 30% dei terreni coltivabili. In Europa, tra insediamenti abitativi, sistemi di produzione – incluse agricoltura e silvicoltura – e infrastrutture, il suolo sfruttato raggiunge l’80%. Ma intanto l’agricoltura sostenibile e quella urbana stanno rivelandosi come una delle vie percorribili per mitigare gli effetti del cambiamento climatico, ridurre le patologie legate all’alimentazione e i costi connessi e per rendere le città più vivibili.

Parte della soluzione sta nell’adottare una dieta sostenibile secondo il modello della doppia piramide alimentare e ambientale, che promuove la dieta mediterranea con benefici per la salute dell’uomo e dell’ambiente – di pari passo con la lotta allo spreco di cibo per ridurlo del 50% entro il 2020, diventano i passi fondamentali da compiere per intraprendere uno stile di vita sano e sostenibile.
La BCFN sottolinea che «Si fa sempre più forte, inoltre, la necessità di ridurre le emissioni di gas serra dovute all’utilizzo dei combustibili fossili, deforestazione tropicale e intensificazione dell’agricoltura. La deforestazione tropicale legata all’espansione di nuove terre agricole, infatti, produce emissioni pari a 3,6 miliardi di tonnellate di COall’anno, ma è l’attività agricola quella che ha un impatto senza precedenti sulle emissioni di gas serra, con circa 6,2 miliardi di tonnellate di CO2 equivalenti, e che si conferma come il primo settore per emissioni di gas serra prima di energia e trasporti». Come evidenzia anche il Wwf, «E’ l’agricoltura a sfruttare maggiormente la superficie globale delle terre emerse: quasi il 40% della superficie terrestre, infatti, è sottoposto alle attività agricole e zootecniche, provocando il 70% dell’utilizzo di acqua dolce a livello mondiale per l’irrigazione dei campi coltivati e causando la più grande perdita di biodiversità».

Il vice ministro alle politiche agricole, alimentari e forestali,  Andrea Olivero, conclude: «Dobbiamo mantenere alta l’attenzione sulle sfide che ci attendono. Occorre un salto di qualità che ci consenta di mantenere gli impegni assunti in COP 21, coniugando adeguati modelli di sviluppo economico, sociale e culturale, il diritto al cibo sano, la promozione della dieta mediterranea e la lotta allo spreco alimentare in una univoca visione strategica. Tale impegno comporta necessariamente un più efficiente utilizzo delle risorse naturali, una riduzione degli impatti ambientali e un modello produttivo che sia sostenibile anche dal punto di vista sociale; il cibo diventa il fattore che collega la salute dell’uomo alla salute del pianeta».