Antartide: l’oceano si riscalda e il krill antartico si ritira verso sud

Un grosso guaio (previsto ma in anticipo) per balene, pinguini, pesci, foche e pescatori

[23 Gennaio 2019]

Il krill antartico (Euphausia superba) è un crostaceo simile a un gamberetto che vive in ammassi enormi nel freddo Oceano Meridionale che circonda l’Antartide, svolgendo un  ruolo essenziale nella catena alimentare e nel trasporto del carbonio atmosferico verso l’oceano profondo. Ma dallo studio “Krill (Euphausia superba) distribution contracts southward during rapid regional warming” pubblicato su Nature Climate Change da un team di ricercatori britannici, statunitensi, canadesi e tedeschi, emerge che «Importanti habitat del krill sono minacciati dal cambiamento climatico« e che l’areale dell’ Euphausia superba  si è contratto, ripiegando verso il continente antartico. «E questo ha importanti implicazioni per gli ecosistemi che dipendono dal krill», dice il team di scienziati guidato da  Simeon Hill, del British Antarctic Survey (Bas), e da Angus Atkinson, del Plymouth Marine Laboratory, che  ha analizzato i dati sulla quantità di krill catturati nelle reti durante le indagini scientifiche svolte nello Scotia Sea e nella Penisola Antartica, la regione dove abbonda il krill. Il team internazionale di ricerca ha scoperto che «Negli ultimi quattro decenni, il centro della distribuzione del krill si è spostato verso il continente antartico di circa 440 km (4° di latitudine)».

Il krill antartico vive principalmente nella colonna superiore dell’acqua dell’Oceano Antartico, ma si trova anche nelle acque più profonde e nei fondali marini. Si nutre di piccoli organismi di plancton ed è a sua volta l’alimento base per pesci, pinguini, foche e balene. I krill vengono anche pescati industrialmente per il consumo umano. nell’Oceano Antartico ci sono tra 100 e 500 milioni di tonnellate di krill, più o meno il peso dell’intera popolazione umana mondiale.

In un articolo di commento allo studio pubblicato sempre su Nature Climate Change, Margaret McBride, del Norwegian institute of marine research, ricorda che «I modelli avevano predetto che il krill in futuro si sarebbe spostato verso sud, mentre la nuova ricerca suggeriva che questa contrazione era già in atto. Questo fornisce per il krill antartico un finale fortemente negativo, ma molto plausibile, il che ha gravi implicazioni sia per la rete alimentare dell’Oceano Meridionale che per la gestione sostenibile delle attività di pesca che prendono di mira questa specie».

Il krill antartico sostiene un’importante attività di pesca internazionale, che attualmente raggiunge circa 250.000 tonnellate all’anno e che è gestita dalla Commission for the conservation of antarctic marine resources (Ccamlr) che pone limiti di cattura ben applicati e prudenti, rispetto alle dimensioni attuali degli stock. Ma la pesca è concentrata soprattutto nello Scotia Sea e al largo della Penisola Antartica che stanno subendo un rapido riscaldamento climatico che si prevede continuerà, con conseguenze sconosciute per krill. Per comprendere le ripercussioni della rete alimentare, del ciclo biogeochimico e della gestione della pesca è essenziale comprendere come il krill stia rispondendo ai cambiamenti in corso in quest’area.

Partendo da ricerche scientifiche risalenti al 1926, il team ha compilato due grandi dataset riguardanti la densità, la struttura e le dimensioni della popolazione di krill. Oltre agli dataset pubblicati, gli autori hanno recuperato le informazioni dai vecchi taccuini, creando un prezioso database che si estende per quasi un secolo.

Nell’analizzare i dati, la spedizione scientifica ha tenuto in grande considerazione il “ rumore di sottofondo”: «Molti fattori, oltre al cambiamento a lungo termine, influenzano la quantità di krill catturata in una qualsiasi rete».  Ma anche dopo aver tenuto conto di questi fattori, il team ha trovato «un trend costante in tutti i dati che indica nel tempo un cambiamento sostanziale nella popolazione di krill».

Gli scienziati dicono che il cambiamento nella distribuzione e nella densità del krill «E’ un chiaro segnale che emerge nei dati dalla fine degli anni ’80 in poi. Corrisponde a un cambiamento di fase in un’oscillazione climatica nota come Southern Anular Mode» (Sam) che è il modello dominante delle zone di pressione nell’emisfero meridionale al di fuori dei tropici. Questo cambiamento ancora in corso ha prodotto un clima più caldo, più nuvoloso, più ventoso e molto meno ghiaccio marino nelle aree in cui il krill tendeva a radunarsi. In particolare, lo stadio larvale di questi crostacei è fortemente legato alla presenza di un habitat con ghiaccio marino.

Lo studio rafforza l’ipotesi dell’esistenza di un meccanismo che è alla base di questi cambiamenti: «un clima sempre più sfavorevole che porta a un minor numero di giovani krill che reintegrano la popolazione. Questo ha portato a una popolazione più piccola dominata da krill vecchi e più grandi. Queste acque a nord si sono riscaldate e le condizioni in tutto lo Scotia Sea sono diventate più ostili, con venti più forti, tempo più caldo e meno ghiaccio. Questa è una brutta notizia per un giovane krill».

Secondo Atkinson, «Questo è un bell’esempio di cooperazione internazionale in Antartide. È solo quando mettiamo insieme tutti i nostri dati che possiamo guardare su grandi scale spaziali e temporali, per capire  come le popolazioni di specie polari chiave stanno rispondendo ai rapidi cambiamenti climatici».

Il Wwf UK ha detto che lo studio dimostra «la necessità di proteggere le acque al largo della Penisola Antartica con un’efficace rete di aree marine protette, ponendo la conservazione al di sopra degli interessi della pesca».

Hill conclude: «I sondaggi che hanno fornito questi dati non erano destinati a monitorare il cambiamento su scale spaziali di grandi dimensioni o per oltre 90 anni. Il fatto che vediamo un segnale tra tutto questo rumore è un’indicazione di quanto la popolazione sia cambiata nel tempo. Questi cambiamenti sembrano essere guidati dal clima globale. La continua gestione precauzionale della pesca del krill è importante, ma non può sostituire l’azione globale sui cambiamenti climatici. I nostri risultati suggeriscono che negli ultimi 40 anni la quantità di krill è in media diminuita e anche la posizione del krill si è ridotta a molto meno del suo habitat, il che suggerisce che tutti gli altri animali che mangiano krill si troveranno ad affrontare una competizione molto più intensa tra loro per questa importante risorsa alimentare»