Cacciatori, pastori, da compagnia: come l’allevamento ha “riordinato” il cervello dei cani

Esistono più tipi di intelligenza canina e potrebbero aiutarci a capire come abbiamo evoluto le abilità che ci distinguono dagli altri animali

[4 Settembre 2019]

Esseri umani e cani convivono da migliaia di anni e l’uomo ha selezionato e allevato una moltitudine di razze di cani, dall’enorme Alano al minuscolo chihuahua, ora il nuovo studio “Significant neuroanatomical variation among domestic dog breeds” pubblicato sul Journal of Neuroscience da un team di ricercatori statunitensi guidato da Erin Hecht del Department of human evolutionary biology dell’Harvard University, rivela che tuto questo armeggiare selettivamente con alcune caratteristiche dei cani ha portato gli esseri umani ad avere un ruolo anche nel modellare il cervello dei cani.

E’ noto che le diverse razze canine hanno spesso diverse caratteristiche comportamentali e i ricercatori dicono che «Queste differenze comportamentali devono essere il risultato di sottostanti differenze neurali, ma sorprendentemente, questo argomento è rimasto ampiamente inesplorato».

La Hecht, parlando sia da scienziata che di amante dei cani, ha spiegato in un’intervista alla The Havard Gazette come ha messo insieme le due cose: «Chiedono di essere analizzati. Ti ritrovi a pensare costantemente a cosa succede nelle loro teste».

Lo studio pubblicato dal team della Hecht ha così scoperto che «Razze di cani diverse hanno diverse organizzazioni cerebrali a causa della selezione umana di tratti specifici». Utilizzando l’imaging a risonanza magnetica (MRI) su 63 cani di 33 razze, la Hecht ha scoperto caratteristiche neuroanatomiche correlate a diversi comportamenti come la caccia, la guardia, la pastorizia e la compagnia. Per esempio, la caccia e il riporto della selvaggina sono entrambi legati a una rete neuroanatomica che interessa regioni coinvolte nella vista, nel movimento degli occhi e nello spostamento nell’ambiente.

La Hecht  è rimasta abbastanza sconcertata dalla facilità con la quale ha scoperto tutto questo: «Finora nella mia carriera, ci sono state un paio di volte in cui ho guardato delle immagini grezze e ho saputo che c’era qualcosa ancora prima di fare delle statistiche. Questa è stata una di quelle volte. E’ stato come scoprire la “vacca sacra”! Come mai nessun altro lo aveva fatto?».

La giovane ricercatrice non è del tutto sicura del perché finora i cani non fossero stati ritenuti dei veri e propri soggetti di studio, ma propende a credere che sia facile ignorare quel che hai sempre tra i piedi. «Quando ho cominciato a farlo nel 2012 era una cosa strana. Quando lo dicevo alla gente, alcuni dicevano: “Oh, è carino”. Ci è voluto molto tempo per convincere altri scienziati e agenzie che erogano finanziamenti che i cani potevano davvero dirci qualcosa sull’evoluzione del cervello».

La Hecht è arrivata a studiare i cani attraverso un progetto secondario mentre era all’Emory University per studiare l’evoluzione del cervello umano. Sette anni fa, si è trovata a guardare alla TV una sua collega che, in una trasmissione dedicata ai cani domestici e all’allevamento selettivo di volpi russe parlava di  genetica ed evoluzione, ma non di neuroscienze. La Hecht ricorda: «Ho pensato: “Come è possibile? Nessuno ha pensato di guardare nel loro cervello”?». E’ cos’ che si è messa in contatto con Lyudmila Trut, dell’Istituto di citologia e genetica dell’’Accademia delle scienze russa, in Siberia, che a a sua volta l’ha messa in contatto con ricercatori che lavoravano con le volpi domestiche e che le fornirono una mezza dozzina di cervelli per uno studio pilota. Nello stesso periodo, Hecht ha incontrato Marc Kent , un neurologo veterinario del College of Veterinary Medicine dell’Università della Georgia, che ha condiviso con lei  molte scansioni MRI dei suoi pazienti a quattro zampe.

La Hecht spiega: «Avevo questo dataset e mi sentivo fortunata ad avervi  accesso. Dopo un paio d’anni, la National Science Foundation ha finanziato lo studio per continuare a studiare i cani e quelle volpi».

Nel suo ufficio al Museum of Comparative Zoology, circondata ai suoi pastori australiani, Lefty e Izzy, la Hecht spiega ha detto alla The Havard Gazette  «Io e i miei collaboratori siamo stati in grado di vedere che le differenze delle razze non erano distribuite casualmente, ma erano, in effetti, concentrate in alcune parti del cervello». Hanno quindi esaminato la variabilità, individuando «6 reti del cervello in cui l’anatomia si correlava con i tipi di elaborazione importanti per le diverse razze: ricompensa, olfatto, movimento degli occhi, azione sociale e cognizione superiore, paura e ansia, elaborazione e visione dei profumi».

E la Hecht fa notare che «Ci sono state alcune sorprese. Ad esempio, l’abilità nella caccia con l’odorato non era associata all’anatomia del bulbo olfattivo. Piuttosto, questa abilità era collegata a regioni di ordine superiore che sono coinvolte in aspetti più complessi dell’elaborazione dei profumi. Non si tratta di avere un cervello in grado di rilevare se il profumo è lì. Si tratta di disporre dei macchinari neurali per decidere cosa fare di tali informazioni».

Il laboratorio della Hecht studia anche l’evoluzione del cervello negli esseri umani, ma lei è convinta che «Continuare la ricerca sui cani fornisce una finestra per comprendere la mente umana. I Border Collie sono pastori straordinari, ma non sono nati sapendo come guidare (le pecore). Devono essere esposti alle pecore; c’è coinvolta un bel po’di formazione. L’apprendimento svolge un ruolo cruciale, ma c’è chiaramente qualcosa nella pastorizia che è già nel loro cervello quando nascono. Non è un comportamento innato, è una predisposizione all’apprendimento di quel comportamento. E’ analogo a quel che accade agli esseri umani con il linguaggio. Non escono dal grembo materno essendo in grado di parlare, ma chiaramente tutti gli esseri umani sono predisposti,  in modo molto significativo, a imparare la lingua. Se riusciamo a capire come l’evoluzione ha trasformato queste abilità nel cervello dei cani, potrebbe aiutarci a capire come gli esseri umani hanno evoluto le abilità che ci separano dagli altri animali».

Per questo, ora la Hecht sta studiando cani appositamente allevati per alcuni tipi di prestazioni. Con l’aiuto di Sophie Barton , della Graduate school of arts and sciences di Harvard, , il laboratorio sta attualmente reclutando una serie di razze di cani da lavoro, tra cui pastori tedeschi altamente qualificati impegnati nella schutzhund (obbedienza militare), border collie che competono in gare di cani pastori, cani da recupero che eccellono nelle prove sul campo e altri ancora. Le due scienziate stanno studiando sia i cani campioni che i loro fratelli di cucciolata molto meno abili e la Hecht spiega ancora: «Stiamo cercando animali allevati nello stesso ambiente tra i quali,  per un qualsiasi motivo, uno ha eccelso e uno ha abbandonato. Questo darà ai ricercatori una migliore prospettiva su come la recente evoluzione del cervello dei cani abbia modellato l’anatomia ereditata dai loro antenati, anche se si tratta di un battito di ciglia evolutivo».

E, per quanto riguarda la domanda che le viene posta di più: «Qual è il cane più intelligente?», la Hecht risponde diplomaticamente: «Questa ricerca suggerisce che non esiste un tipo di intelligenza canina. Ne esistono più tipi».